Una politica senza utopie?

Difficile scegliere, e ancor più difficile capirci qualcosa, quando in un dibattito sulle utopie della politica le esperienze presentate come “alternative” sono quelle di:
– un professore della Pontificia Università Gregoriana, figlio della buona borghesia cattolica veneta, già comunista, maoista, poi folgorato sulla via di Damasco, anzi nel letto di un reparto di neurologia dove si stava disintossicando dal maoismo e dall’esaurimento nervoso, alla vista d’un crocifisso;
– un giovanotto del centro sociale “Mezza Canaja”, no-global, movimentista, autonomista, bravo con la bomboletta spray, fan di Che Guevara e del subcomandante Marcos, folgorato non sulla via di Damasco ma sul lungomare Da Vinci, dagli strali di tutta l’intellighenzia cittadina, per qualche manifestino con la foto del Papa con un preservativo;
– a margine, un professore senigalliese di religione, «cristiano convinto fin dalla nascita» (già in sala parto, scommetto), ex sessantottino, ex lettore del Manifesto, ex fautore del Regno dell’Utopia escatologica, anche lui poi folgorato sulla via di Damasco una mattina, leggendo una frase del Vangelo sul giornale, ed oggi divenuto – non è dato sapere se per premio o per nemesi – responsabile del coordinamento comunale di Forza Italia.

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Il Papa e le Canaglie

Non s’era mai sentita una parola, dal Sindaco in giù, quando quelli del “Mezza Canaja”
– occupavano illegalmente il cantiere di via Dogana Vecchia (è un reato),
– attaccavano manifesti senza autorizzazione (è un reato),
– imbrattavano i muri (è un reato),
– paragonavano i carabinieri alle SS (è un reato),
– proiettavano film violando la legge sui diritti d’autore (è un reato),
– vendevano alcolici senza licenza (è un reato),
– pretendevano l’impunità per girare con un po’ di marijuana (è un reato).

È bastato attaccare qualche manifestino con la foto del Papa con un preservativo, perché si scatenasse il putiferio. E insieme al putiferio, la sagra dell’ipocrisia: giù tutti a stracciarsi le vesti per l’inaudito accostamento, e dalli ai giovinastri imbrattatori che non hanno rispetto per nessuno. Leggi tutto “Il Papa e le Canaglie”

Le stelle non sono dove sembrano essere

Nel 1687, nei Principia mathematica philosophiae naturalis, Isaac Newton aveva enunciato il principio di gravitazione universale: “due corpi si attraggono con una forza che è direttamente proporzionale al prodotto delle loro masse e inversamente proporzionale al quadrato della loro distanza”.
Questa descrizione si basa su un approccio empirico: Newton non aveva cercato spiegazioni della natura della gravità, ma dedotto le proprietà dai fenomeni osservabili. Leggi tutto “Le stelle non sono dove sembrano essere”

Otto Per Mille, ovvero il gioco delle tre carte

Non è tempo di dichiarazione dei redditi, ma stavolta voglio parlarvi dell’Otto Per Mille. M’è tornato in mente l’altro giorno, dopo aver letto su La Voce Misena nº 36 un trafiletto intitolato “Cavoli a merenda” (mai titolo fu più azzeccato).
Sono d’accordo col commentatore: chiediamoci che fine fanno i soldi dell’Otto Per Mille.
Ecco la risposta, direttamente dal Ministero delle Finanze.

Di seguito trovate le ripartizioni dell’Otto Per Mille ai vari soggetti coinvolti, e il dettaglio di come lo Stato e la Chiesa cattolica spendono i soldi.

Distribuzione totale 8 per mille (2004)

Totale distribuzione 8 per mille nel 2004

Distribuzione 8 per mille - chiese minori (2004)

Totale distribuzione 8 per mille nel 2004 (chiese minori)

Distribuzione 8 per mille alla Chiesa (2004) Distribuzione 8 per mille allo Stato (2004)

Distribuzione 8 per mille della Chiesa (sinistra) e dello Stato (destra)

Innanzitutto, sgombriamo il campo da un equivoco. Molti pensano che, non firmando il modulo nella dichiarazione dei redditi, la quota dell’OPM rimanga allo Stato. Falso: quei soldi sono distribuiti in proporzione alle scelte espresse da coloro che firmano.
Facciamo un esempio. Se su 100 contribuenti solo 10 firmano il modulo dell’OPM e, di questi, 9 danno il proprio OPM ad un certo soggetto, a quest’ultimo va il 90% delle scelte espresse ma anche il 90% delle scelte non espresse. Insomma, essendo stato scelto da appena il 9% dei contribuenti, quel soggetto si becca il 90% dei soldi.
Così, nel 2000 meno del 40% dei contribuenti ha firmato il modulo, dichiarando esplicitamente di voler destinare quei soldi ad uno tra i sette soggetti in lizza. Di questi contribuenti, l’87% ha scelto la Chiesa cattolica. Risultato: essendo stata preferita esplicitamente da neppure il 35% dei contribuenti, alla Chiesa è andato l’87% della torta dell’OPM.

Dovete anche sapere che con la Finanziaria 2004 lo Stato si è decurtato la sua quota OPM di 80 milioni di € all’anno. I soldi sono stati usati in parte per il cosiddetto “pacchetto sicurezza”, in parte per finanziare le missioni militari all’estero (Albania, Iraq). Dei circa 20 milioni di € rimasti dopo il taglio, lo Stato destina il 45% alla conservazione di beni culturali legati al culto cattolico.

Va da sé che Chiesa cattolica e Stato fanno la parte del leone nella spartizione, e agli altri lasciano le briciole: le comunità ebraiche e le quattro confessioni cristiane minori, messe insieme, non arrivano al 2%. Tra esse, le Assemblee di Dio in Italia e la Chiesa valdese (fino al 2004) non accettano le quote inespresse e si limitano a prendere quelle esplicitamente assegnate loro dai contribuenti.

A questo punto, alcune osservazioni.

  1. L’OPM, per com’è stato concepito dopo il Concordato del 1984, altro non è che un sistema di finanziamento pubblico della Chiesa cattolica da parte dello Stato italiano (non a caso la legge in origine non contemplava le altre confessioni religiose), ipocritamente spacciato per autofinanziamento basato sulla scelta volontaria o esempio di democrazia fiscale.
    Nessuno destina davvero i propri soldi: partecipiamo tutti ad un gigantesco sondaggio d’opinione, al termine del quale si “contano” le scelte, si calcolano le percentuali ottenute da ogni soggetto e, in base a queste percentuali, vengono ripartiti i fondi. Non volete rispondere al sondaggio? Volete “astenervi”? Non v’interessa dar soldi ad alcuna confessione religiosa? Avete il braccio ingessato e non potete firmare il modulo? La penna non funziona? Chissenefrega, tanto anche il vostro OPM va nel calderone e viene ripartito. Alla faccia vostra. Bell’esempio di rispetto delle scelte individuali. Quando fa comodo a lorsignori, astenersi è giusto e nobile; quando non fa comodo, allora vale il principio che le minoranze che si esprimono decidono per tutti.
    E badate bene: questo gioco delle tre carte è scritto in una legge, una delle tante leggi ammazza-diritto a cui siamo abituati in Italia.
  2. Contrariamente a quanto scritto da La Voce Misena, nessuno – sui giornali, in televisione, su internet, a livello locale o nazionale – ha mai sostenuto che «l’otto per mille alla Chiesa cattolica serve per finanziare le spedizioni militari all’estero». Alle missioni militari all’estero, semmai, è destinata una parte di quegli 80 milioni di € che lo Stato taglia dal proprio OPM.
  3. Il giornale si chiede «dove finiscano i soldi dell’OPM destinati allo Stato». È presto detto: 80 milioni di € vengono dirottati verso altri scopi, in barba alla legge. In questo modo uno dei soggetti in gioco (lo Stato) boicotta lo stesso meccanismo che ha contribuito a mettere in piedi, prendendo per i fondelli tutti i contribuenti. Di quel che rimane, destina quasi la metà alla conservazione dei beni culturali legati al culto cattolico. Scelta legittima, per carità (i nostri beni culturali hanno perlopiù carattere religioso), ma assai discutibile, visto che quei soldi arrivano da contribuenti che deliberatamente hanno preferito lo Stato alle confessioni religiose. Magari si poteva trovare un’altra voce di spesa per questo finanziamento…
  4. Il giornale si chiede anche «dove finiscano i soldi che allo Stato vengono fatti amministrare dalle due più piccole comunità protestanti che, non avendo in Italia le strutture adeguate, gli fanno amministrare quanto viene loro assegnato dai rispettivi fedeli».
    E qui mi par di vedere quel pugile che era convinto di darle e invece le buscò. Sì, perché è riuscito ad infilare tre fesserie nella stessa frase.
    Prima fesseria: nessuno fa amministrare i soldi allo Stato. Le comunità ricevono le quote dell’OPM, le amministrano in proprio e pubblicano i rendiconti delle spese. Ci sono – questo sì – due piccole comunità (le Assemblee di Dio in Italia e i Valdesi) che rinunciano alle quote non espresse nelle dichiarazioni dei redditi. Ma non perché non hanno le strutture adeguate: semplicemente perché, anche se la legge lo consente, non ritengono moralmente corretto intascarsi i quattrini dei contribuenti che non hanno espressamente firmato per loro.
    Seconda fesseria: per com’è concepito l’OPM, nessuna comunità riceve i soldi dai rispettivi fedeli. Tranne per ADI e Valdesi, il finanziamento non ha nulla a che vedere con la volontarietà della scelta.
    La terza fesseria è la domanda in sé. La metà di ciò che resta allo Stato dopo il taglio di 80 milioni (inclusi i soldi rifiutati da ADI e Valdesi) va alla conservazione dei beni culturali della Chiesa cattolica. È possibile che La Voce Misena, organo della Curia, non lo sappia?
  5. Invece di far la morale agli altri e scrivere falsità sui quattro soldi che vanno alle comunità protestanti, bisognerebbe chiedersi un paio di cose.
    Primo: perché la Chiesa cattolica non segue l’esempio dei protestanti limitandosi ad accettare solo i 300 milioni di € delle quote espresse?
    Secondo: come spende la Chiesa cattolica il miliardo di € del proprio OPM? Finora la CEI ha presentato il rendiconto delle spese per “opere di carità”, che sono la parte più reclamizzata ma costituiscono appena il 19% del suo OPM. E il restante 81% che fine fa? Ad esempio, dietro i 92 milioni di € di non meglio precisate “iniziative di rilievo nazionale” si nasconde per caso qualche soldino per finanziare la campagna astensionista agli scorsi referendum? Domanda nient’affatto peregrina, che è anche materia di interrogazioni parlamentari.

«Limitiamoci a rendere a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio», dice qualcuno. Sono d’accordo, ma il problema è che ormai Cesare s’è messo a fare l’esattore per conto di Dio, e quelli che dicono di rappresentare Dio in terra s’intascano anche i soldi di Cesare.

Elogio della bocciatura

Il titolo di questo pezzo m’è venuto in mente ascoltando la conferenza stampa dell’avvocato Paradisi dopo che uno studente del Liceo Classico “Perticari” era stato bocciato agli esami di maturità per la seconda volta: a luglio e a settembre, dopo il ricorso al TAR.

Il ragazzo «non è mai stato l’“Einstein dei libri”», ha detto l’avvocato; ci potrebbe però diventare, rispondo io, dato che lo stesso Albert Einstein nel 1895 fu bocciato all’esame d’ammissione al Politecnico di Zurigo per insufficienze nelle materie letterarie. Quell’ingenuo di Einstein non pensò neppure di fare ricorso, non gridò allo scandalo, non misurò quant’era durato l’«interrogatorio di terzo grado» (pardon: il colloquio orale), non si attaccò ai vizi di forma. Se avesse messo di mezzo un avvocato, la sua vita sarebbe cambiata da così a così, e a quest’ora chissà quale carriera avrebbe fatto…!
Pare invece che il ragazzo del Perticari non l’abbia presa bene. Contro la bocciatura di giugno ha fatto ricorso al TAR, contro quella di settembre staremo a vedere.
Intanto, giù tutti a solidarizzare con lo sventurato, e dalli ai professoracci cattivi che ce l’avevano con lui non si sa bene perché. E pensare che lui aveva studiato 10 ore al giorno tutta l’estate e addirittura aveva portato la tesina su Pasolini. Niente: quegli zozzoni crudeli bastardi cinici incompetenti l’hanno interrogato per un’ora e tre quarti e alla fine l’hanno bocciato di nuovo.

Non è dato conoscere tanti particolari della vicenda (a proposito: perché tante bocche cucite? Come mai non è dato conoscere il nome del ragazzo ma solo quello dell’avvocato?) e il giudizio nel merito l’ha dato il TAR.
Devo però essere sincero: quel che ho letto sui giornali non m’è piaciuto per niente. E qualcosa voglio dire, da semplice osservatore.

Premetto che, nella scuola italiana, dopo le “riforme” Berlinguer e Moratti:

  • Il sapere deve essere personalizzato, la scuola modellata sullo studente, anzi con l’autonomia degli istituti si vuole che «i docenti e i ragazzi siano chiamati a gestire la scuola» (ma quando mai nella storia del genere umano?!), si rimbocchino le maniche, adottino decisioni, trovino il modo di comporre i conflitti.
  • Non si deve più parlare d’insegnamento ma di “offerta formativa”, di “crediti” o “debiti” come davanti ad uno sportello bancario.
  • Si dovrebbe discutere di tutta la paccottiglia politicamente corretta (guerra, pace, politica, sport, sesso, AIDS, anoressia, fumo, educazione stradale, inquinamento, depressione, violenza negli stadi, pedofilia eccetera) senza capir bene quanto tempo resterebbe allo studio. Ah, scusate, per studiare intendo: sedersi su una sedia, chinarsi un po’ sul tavolo, aprire un libro ed iniziare a leggerne i contenuti fino ad averli assimilati, eventualmente ripetendo la lettura un certo numero di volte e aiutandosi con appositi esercizi.
  • C’è il condono perenne dei debiti formativi (che poi sarebbero le insufficienze) e in pratica non si boccia più nessuno dal primo all’ultimo anno. Le insufficienze gravi a giugno diventano 6 rossi e vengono perdonate.
  • Tutti devono essere ammessi all’esame di maturità, e le prove sono svolte con professori interni che conoscono il ragazzo: il rischio che l’esito dell’esame stravolga completamente quello che ci si è guadagnati nei cinque anni non esiste.

Detto questo, mi piacerebbe sapere per quale motivo i professori si sarebbero dovuti accanire contro il ragazzo, usando un potere cinico e arbitrario. Vorrei davvero che qualcuno me lo spiegasse.
Non capisco di quale potere, di quali soprusi si sta parlando. Piuttosto vedo gli insegnanti in una condizione professionalmente ed umanamente debolissima: quali leve hanno da usare con gli studenti meno capaci e volenterosi, che li prendono quotidianamente a pernacchie, forti del fatto che studiare o meno non fa più differenza?
E come mai siamo a questo punto? Perché da tempo nella scuola è venuta meno una cosa molto semplice: la meritocrazia, che vuol semplicemente dire: cari studenti, le cose da studiare e da sapere sono queste, sarete giudicati in base a quel che sapete, chi sa verrà premiato, chi non sa verrà penalizzato ed anche bocciato. Senza criteri di merito cade ogni metro di giudizio, ed allora vale tutto: il legittimo sospetto, la persecuzione, i ricorsi, il lei-non-sa-chi-sono-io, eccetera.
Vadano, vadano a vedere il livello medio di preparazione degli studenti al primo anno d’università, sia nelle facoltà scientifiche che in quelle umanistiche, e lo confrontino con quello dei loro colleghi di 15-20 anni fa.
E poi tocca sentire dal preside del Perticari che l’obiettivo è «la promozione per tutti gli studenti». Signor Preside, non le pare che l’obiettivo dovrebbe essere quello di assicurare parità di condizioni a tutti gli studenti e poi, in funzione dei risultati, premiare i bravi – ce ne sono ancora, eccome! – e bocciare i somari?

Chi si straccia le vesti per la bocciatura, farebbe meglio a preoccuparsi d’altro.
Ad esempio, quali spunti di maturazione e di crescita trarrà il ragazzo da questa storia? Cosa imparerà per il futuro? Invece di fargli capire che nella vita non sempre siamo trattati e valutati come vorremmo, e per questo dobbiamo attrezzarci, gli s’è detto che forse era vittima di un complotto, ordito non si sa bene per quale motivo. E se domani, nella vita lavorativa, non sempre vedrà il suo capo sereno nel giudicare chi si merita l’aumento o l’avanzamento di carriera, cosa farà, di nuovo ricorso al TAR?
Se, nella situazione di sfascio in cui versa la nostra scuola, introduciamo anche il legittimo sospetto allora stiamo freschi! Se inoculiamo nello studente il dubbio che i suoi successi o insuccessi scolastici dipendano non solo dalle sue capacità ma anche da eventuali congiure, allora abbiamo dato il colpo di grazia a quella che una volta si chiamava l’istituzione scolastica. Così come ci sono il giusto processo e il giudice terzo, dobbiamo aspettarci anche il giusto esame e il professore sereno, munito di bilancino e cronometro? Mi vengono i brividi al solo pensiero.
Per quel che mi riguarda, vorrei solo stringere la mano a quei professori che, nonostante tutto, vivaddio, hanno avuto il coraggio di fare il loro mestiere, rispolverare una parola desueta e metterla in pratica: bocciare.

Principî etici e Stato laico

Nel mio ultimo articolo volevo marcare una differenza: da un lato la pari dignità di opinioni personali circoscritte all’etica individuale (pro o contro i Pacs, pro o contro l’aborto, pro o contro la fecondazione assistita, ecc.); dall’altro la non equivalenza di situazioni oggettive derivanti da leggi dello Stato (Pacs consentiti o proibiti, aborto consentito o proibito, fecondazione assistita consentita o proibita, ecc.).

Non ho la verità in tasca, ma non sono affatto convinto che una legge debba essere lo specchio di una visione etica, debba cioè tradurre in norma dei principî morali assoluti. Era così nella repubblica islamica dei talebani. In uno Stato laico una legge dovrebbe fissare regole che governino la convivenza civile e prevedere sanzioni per chi non le rispetta.

C’è chi dice: “ma come faccio a votare contro le mie opinioni personali, contro le mie convinzioni religiose, contro i miei principî etici?”
Potrei rispondere che in ogni momento di partecipazione alla vita civile – quindi anche in un referendum – ci viene chiesto di esprimerci non su principî assoluti ma su leggi dello Stato. Il quesito non riguarda i massimi sistemi etici o filosofici, ma recita più o meno così: “volete voi che sia abrogato l’articolo x della legge y…?”.
Se la distinzione non sembra così facile a noi mediterranei, è più familiare agli anglosassoni, i quali hanno un approccio meno filosofico e più empirico o pragmatico nelle questioni sociali. Hanno capito meglio di noi (forse anche grazie alla Riforma?) che la politica è soprattutto il terreno del possibile, del tentativo, delle verità conquistate senza imporre la Verità.

Prendiamo la legge sull’aborto, la famosa 194. Nel 1978 lo Stato italiano ha tentato di regolamentare un fenomeno sociale che fino ad allora era massiccio e clandestino: l’ha fatto con la prevenzione, l’informazione ed il riconoscimento del diritto di aborto sotto precise condizioni. Da allora ad oggi le interruzioni volontarie di gravidanza si sono ridotte di quasi il 70%.
Lasciando un momento da parte le convinzioni personali e i principî assoluti, le due situazioni di fatto da confrontare sono:
– Fenomeno sociale non regolamentato, prima del 1978, quando l’aborto era proibito e gli aborti clandestini venivano stimati in oltre 250000 all’anno (tasso del 2,5÷3%);
– Fenomeno sociale regolamentato, dopo il 1978, quando l’aborto è diventato legale e il tasso di aborti è sceso dal 3% a meno dell’1%.
A quale delle seguenti affermazioni vi sentite di aderire, come cittadini di uno Stato laico?
1) La legge è da sostenere (magari migliorandola) perché ha ridotto i danni derivanti da un fenomeno sociale;
2) Anche se rimanesse un solo aborto, la legge è moralmente inaccettabile perché ha sancito il diritto ad abortire. L’unica legge giusta sarebbe quella che annullasse il numero di aborti senza concedere il diritto ad abortire.

Un altro esempio, sul filo della provocazione, è quello degli incidenti stradali. In Italia muoiono decine di migliaia di persone all’anno: è un fenomeno sociale che comporta danni enormi. Una buona legge in materia è quella che governa il fenomeno e riduce il numero di incidenti stradali (con informazione, prevenzione, repressione, ecc.) oppure quella che li abolisce in nome del diritto alla Vita, magari prevedendo la galera per chi li provoca?

La mia critica all’“io non lo farei dunque nessuno lo deve fare” aveva proprio questo senso: mettere in guardia dall’imporre agli altri quella che per noi è la verità, tanto più se questo comporta precludere agli altri strade che noi non vogliamo percorrere.
Due versetti del Vangelo di Luca sono più chiari di tante argomentazioni:
«Guai a voi, dottori della legge, che caricate gli uomini di pesi insopportabili, e quei pesi voi non li toccate nemmeno con un dito!» (Lc 11, 46).
«Guai a voi, dottori della legge, che avete tolto la chiave della scienza. Voi non siete entrati, e a quelli che volevano entrare l’avete impedito» (Lc 11, 52).

Pacs vobiscum

Sui Pacs, le unioni di fatto, il presidente della Camera Pier Ferdinando Casini ha invitato il centrosinistra a «non scomunicare chi la pensa diversamente: lasciamo la libertà di dire ai cattolici che non sono d’accordo». «Oggi c’è il diritto […] di essere d’accordo con i Pacs come c’è il nostro di non esserlo. Deve prevalere la logica della libertà di coscienza, come avvenuto per il referendum per la procreazione assistita».

A chi dice che il ragionamento di Casini non fa una piega, consiglio di leggere la favola di Fedro del lupo e dell’agnello.
A parte il fatto che nessuno vuole scomunicare nessun altro e già il lessico è inappropriato, Casini confonde l’equivalenza tra due diritti d’opinione con la reciprocità tra due situazioni di fatto.
La dignità delle due opinioni personali – pro o contro i Pacs, pro o contro la fecondazione assistita – è ovvia e nessuno (tranne Giovanardi e pochi altri) l’ha mai messa in discussione. È la reciprocità delle due situazioni di fatto che contesto.

Il punto non è essere personalmente d’accordo o meno sui Pacs (così come ieri sulla fecondazione assistita); il punto è consentire o meno di avvalersene ad altri che la pensano diversamente da noi. È una questione di facoltà.
Tradotta in norma civile, la posizione “no Pacs” vieta a chiunque di avvalersene; la posizione “sì Pacs” consente a qualcuno di avvalersene e lascia liberi di non avvalersene tutti gli altri.
Lo stesso è accaduto con la fecondazione assistita: con la legge 40 abbiamo oggi un divieto per tutti di fare qualcosa che è peccato per qualcuno: io non lo farei, dunque nessuno lo deve fare.
Nella situazione opposta avremmo avuto la facoltà per tutti di fare qualcosa che qualcuno, per sua convinzione, non farà mai: io non lo farei, ma chi vuole può farlo.
Sono situazioni reciproche? A me pare ci sia una bella differenza!
E la logica della libertà di coscienza, invocata da Casini, a quale delle due appartiene?
Voi che ne pensate?

La medium

C’è un’auto con un cadavere in fondo al lago di Como, presso Dervio (Lecco). Pare si tratti di una ragazza del posto, Chiara Bariffi, scomparsa nel nulla quasi tre anni fa. Pare, soprattutto, che l’indicazione sia venuta da una sensitiva, tale Maria Rosa Busi, alla quale i genitori della scomparsa si erano rivolti nei mesi scorsi. L’auto si trova proprio nel punto segnalato.
“Medium trova nel lago ragazza scomparsa” è il titolo emblematico del Corriere della Sera. La vera notizia, infatti, è questa: nessuno mette in dubbio che la scoperta sia davvero il prodotto di capacità paranormali. Che sia stata la medium, è già dato per acquisito.
Si accettano scommesse su ciò che accadrà da domani: giù tutti a intervistare la signora, a cercare di capire come ha fatto, che palla di vetro usa, se riceve per appuntamento. Le faranno ogni domanda, tranne una: scusi signora, chi le ha detto dell’auto in fondo al lago (spiriti a parte, s’intende)? Non sia mai che a qualcuno salti in mente di fare il giornalista…
Appresa la notizia, il leader dell’Unione Romano Prodi ha subito telefonato alla signora Busi. S’è complimentato e le ha detto di star tranquilla: se fior di Commissioni parlamentari hanno creduto a lui e al suo piattino semovente, perché i carabinieri di Lecco non dovrebbero credere alla veggente?

Il vescovo e la minigonna

Vi ricordate quell’insegnante di religione di Fano, Caterina Bonci, che qualche giorno fa il vescovo ha allontanato dall’insegnamento?
Non adatta all’insegnamento in quanto divorziata, sostiene il vescovo; discriminata per la propria avvenenza e per la minigonna, ribatte la diretta interessata.

Sulla vicenda, qualche osservazione intelligente e non convenzionale troviamo sul blog dell’ottimo Antonio Tombolini. Dell’articolo di Antonio due cose voglio riportare. Già conoscevo la prima, mi è nuova la seconda.

      • L’insegnamento della religione cattolica è pagato dallo Stato italiano coi soldi dei contribuenti, ma il Concordato prevede che assunzioni e licenziamenti siano decisi dai vescovi.
      • Una legge d’un paio d’anni fa permette agli insegnanti di religione di partecipare ai concorsi pubblici per la cattedra di ruolo. Per farlo, però, devono essere muniti di un certificato d’idoneità rilasciato discrezionalmente dal vescovo. Una volta assunti (a tempo indeterminato, s’intende), in caso di esuberi o di revoca dell’idoneità, possono passare a insegnare anche altre materie.

A parte il divorzio, la minigonna e le scollature, il succo è questo: lo Stato italiano paga gli insegnanti di religione come suoi dipendenti pubblici e poi consente che questi sottostiano alle regole di un potere altro, cioè l’autorità ecclesiastica.
Stando così le cose, ci piaccia o no, il vescovo ha ragione da vendere: lui ha semplicemente seguito la legge. Quelli che si stracciano le vesti per la poveretta ora disoccupata dovrebbero prima informarsi.

A margine, mi piacerebbe sapere – così, per curiosità – quale sia stato il comportamento della Bonci agli scorsi referendum.
Non voglio fare dietrologia di bassa lega e so bene che questo non sposta d’un millimetro i termini della questione. Dico solo che una delle conseguenze di simili leggi, in determinate situazioni, è annullare la segretezza del voto quando non addirittura limitarne la libertà.
I cattolici sanno ragionare con la propria testa, direte voi. Avete ragione, ma vi faccio una domanda: quale sarà stata, a giugno, la libertà di voto degli insegnanti di religione, ben consci di poter pagare col posto di lavoro la loro “disobbedienza” alla linea astensionista della CEI?

Quando il giornalismo va a farsi benedire /2

Da La Voce Misena nº 23 del 16/06/2005:
«Il vescovo di Senigallia, Giuseppe Orlandoni, si schiera a difesa di Padre Alberto, Parroco delle Grazie, “accusato” – pensate – di aver affisso in chiesa un manifesto con le scritte “La vita non può essere messa ai voti” e “Scegli di non andare a votare”. Ogni commento è superfluo».

In cosa consistevano le “accuse” a Padre Alberto? Da chi e perché erano state mosse? Quali erano i termini della discussione?
Mistero.