Principî etici e Stato laico

Nel mio ultimo articolo volevo marcare una differenza: da un lato la pari dignità di opinioni personali circoscritte all’etica individuale (pro o contro i Pacs, pro o contro l’aborto, pro o contro la fecondazione assistita, ecc.); dall’altro la non equivalenza di situazioni oggettive derivanti da leggi dello Stato (Pacs consentiti o proibiti, aborto consentito o proibito, fecondazione assistita consentita o proibita, ecc.).

Non ho la verità in tasca, ma non sono affatto convinto che una legge debba essere lo specchio di una visione etica, debba cioè tradurre in norma dei principî morali assoluti. Era così nella repubblica islamica dei talebani. In uno Stato laico una legge dovrebbe fissare regole che governino la convivenza civile e prevedere sanzioni per chi non le rispetta.

C’è chi dice: “ma come faccio a votare contro le mie opinioni personali, contro le mie convinzioni religiose, contro i miei principî etici?”
Potrei rispondere che in ogni momento di partecipazione alla vita civile – quindi anche in un referendum – ci viene chiesto di esprimerci non su principî assoluti ma su leggi dello Stato. Il quesito non riguarda i massimi sistemi etici o filosofici, ma recita più o meno così: “volete voi che sia abrogato l’articolo x della legge y…?”.
Se la distinzione non sembra così facile a noi mediterranei, è più familiare agli anglosassoni, i quali hanno un approccio meno filosofico e più empirico o pragmatico nelle questioni sociali. Hanno capito meglio di noi (forse anche grazie alla Riforma?) che la politica è soprattutto il terreno del possibile, del tentativo, delle verità conquistate senza imporre la Verità.

Prendiamo la legge sull’aborto, la famosa 194. Nel 1978 lo Stato italiano ha tentato di regolamentare un fenomeno sociale che fino ad allora era massiccio e clandestino: l’ha fatto con la prevenzione, l’informazione ed il riconoscimento del diritto di aborto sotto precise condizioni. Da allora ad oggi le interruzioni volontarie di gravidanza si sono ridotte di quasi il 70%.
Lasciando un momento da parte le convinzioni personali e i principî assoluti, le due situazioni di fatto da confrontare sono:
– Fenomeno sociale non regolamentato, prima del 1978, quando l’aborto era proibito e gli aborti clandestini venivano stimati in oltre 250000 all’anno (tasso del 2,5÷3%);
– Fenomeno sociale regolamentato, dopo il 1978, quando l’aborto è diventato legale e il tasso di aborti è sceso dal 3% a meno dell’1%.
A quale delle seguenti affermazioni vi sentite di aderire, come cittadini di uno Stato laico?
1) La legge è da sostenere (magari migliorandola) perché ha ridotto i danni derivanti da un fenomeno sociale;
2) Anche se rimanesse un solo aborto, la legge è moralmente inaccettabile perché ha sancito il diritto ad abortire. L’unica legge giusta sarebbe quella che annullasse il numero di aborti senza concedere il diritto ad abortire.

Un altro esempio, sul filo della provocazione, è quello degli incidenti stradali. In Italia muoiono decine di migliaia di persone all’anno: è un fenomeno sociale che comporta danni enormi. Una buona legge in materia è quella che governa il fenomeno e riduce il numero di incidenti stradali (con informazione, prevenzione, repressione, ecc.) oppure quella che li abolisce in nome del diritto alla Vita, magari prevedendo la galera per chi li provoca?

La mia critica all’“io non lo farei dunque nessuno lo deve fare” aveva proprio questo senso: mettere in guardia dall’imporre agli altri quella che per noi è la verità, tanto più se questo comporta precludere agli altri strade che noi non vogliamo percorrere.
Due versetti del Vangelo di Luca sono più chiari di tante argomentazioni:
«Guai a voi, dottori della legge, che caricate gli uomini di pesi insopportabili, e quei pesi voi non li toccate nemmeno con un dito!» (Lc 11, 46).
«Guai a voi, dottori della legge, che avete tolto la chiave della scienza. Voi non siete entrati, e a quelli che volevano entrare l’avete impedito» (Lc 11, 52).