Il focarone della venuta

Anche quest’anno il gruppo “Aviatori Senigalliesi” mantiene una consolidata abitudine. Tutti al “focarone” la sera del 9 dicembre.

Il “focarone” rinnova una antica tradizione marchigiana di attesa per la festa che cade il giorno successivo. La sera della vigilia appunto le campagne marchigiane erano costellate da una miriade di fuochi. Anche dai miei ricordi infantili emerge la visione onirica della festa della Vergine Lauretana. Grandi e piccoli falò un po’ dappertutto, magari improvvisati con i soli “cannabucci” (i fusti secchi del mais). Un tempo questo appuntamento non poteva essere eluso in quanto tradizione consolidata tra gli agricoltori. I nostri nonni, i nostri padri avevano grande rispetto per questi date e per certe abitudini. Nei giorni d’inizio dicembre ci si dava tutti da fare per preparare il gran mucchio da incendiare poi – rigorosamente– solo la sera della vigilia. Era un preciso obiettivo quello di avere molto materiale per un gran focarone, possibilmente più grande e vivace di quello dei vicini. Una occasione magari anche per bere assieme, in allegria, un buon bicchiere di vin brulè o solo per assaggiare il novello. I fuochi accesi un po’ dappertutto erano sempre presidiati dai contadini, armati di robusti forconi; infatti il fuoco va sempre sorvegliato in campagna in quanto regole ferree ricordano che con “acqua e fuoco non si può scherzare”. Leggi tutto “Il focarone della venuta”

Otto Per Mille, ovvero il gioco delle tre carte

Non è tempo di dichiarazione dei redditi, ma stavolta voglio parlarvi dell’Otto Per Mille. M’è tornato in mente l’altro giorno, dopo aver letto su La Voce Misena nº 36 un trafiletto intitolato “Cavoli a merenda” (mai titolo fu più azzeccato).
Sono d’accordo col commentatore: chiediamoci che fine fanno i soldi dell’Otto Per Mille.
Ecco la risposta, direttamente dal Ministero delle Finanze.

Di seguito trovate le ripartizioni dell’Otto Per Mille ai vari soggetti coinvolti, e il dettaglio di come lo Stato e la Chiesa cattolica spendono i soldi.

Distribuzione totale 8 per mille (2004)

Totale distribuzione 8 per mille nel 2004

Distribuzione 8 per mille - chiese minori (2004)

Totale distribuzione 8 per mille nel 2004 (chiese minori)

Distribuzione 8 per mille alla Chiesa (2004) Distribuzione 8 per mille allo Stato (2004)

Distribuzione 8 per mille della Chiesa (sinistra) e dello Stato (destra)

Innanzitutto, sgombriamo il campo da un equivoco. Molti pensano che, non firmando il modulo nella dichiarazione dei redditi, la quota dell’OPM rimanga allo Stato. Falso: quei soldi sono distribuiti in proporzione alle scelte espresse da coloro che firmano.
Facciamo un esempio. Se su 100 contribuenti solo 10 firmano il modulo dell’OPM e, di questi, 9 danno il proprio OPM ad un certo soggetto, a quest’ultimo va il 90% delle scelte espresse ma anche il 90% delle scelte non espresse. Insomma, essendo stato scelto da appena il 9% dei contribuenti, quel soggetto si becca il 90% dei soldi.
Così, nel 2000 meno del 40% dei contribuenti ha firmato il modulo, dichiarando esplicitamente di voler destinare quei soldi ad uno tra i sette soggetti in lizza. Di questi contribuenti, l’87% ha scelto la Chiesa cattolica. Risultato: essendo stata preferita esplicitamente da neppure il 35% dei contribuenti, alla Chiesa è andato l’87% della torta dell’OPM.

Dovete anche sapere che con la Finanziaria 2004 lo Stato si è decurtato la sua quota OPM di 80 milioni di € all’anno. I soldi sono stati usati in parte per il cosiddetto “pacchetto sicurezza”, in parte per finanziare le missioni militari all’estero (Albania, Iraq). Dei circa 20 milioni di € rimasti dopo il taglio, lo Stato destina il 45% alla conservazione di beni culturali legati al culto cattolico.

Va da sé che Chiesa cattolica e Stato fanno la parte del leone nella spartizione, e agli altri lasciano le briciole: le comunità ebraiche e le quattro confessioni cristiane minori, messe insieme, non arrivano al 2%. Tra esse, le Assemblee di Dio in Italia e la Chiesa valdese (fino al 2004) non accettano le quote inespresse e si limitano a prendere quelle esplicitamente assegnate loro dai contribuenti.

A questo punto, alcune osservazioni.

  1. L’OPM, per com’è stato concepito dopo il Concordato del 1984, altro non è che un sistema di finanziamento pubblico della Chiesa cattolica da parte dello Stato italiano (non a caso la legge in origine non contemplava le altre confessioni religiose), ipocritamente spacciato per autofinanziamento basato sulla scelta volontaria o esempio di democrazia fiscale.
    Nessuno destina davvero i propri soldi: partecipiamo tutti ad un gigantesco sondaggio d’opinione, al termine del quale si “contano” le scelte, si calcolano le percentuali ottenute da ogni soggetto e, in base a queste percentuali, vengono ripartiti i fondi. Non volete rispondere al sondaggio? Volete “astenervi”? Non v’interessa dar soldi ad alcuna confessione religiosa? Avete il braccio ingessato e non potete firmare il modulo? La penna non funziona? Chissenefrega, tanto anche il vostro OPM va nel calderone e viene ripartito. Alla faccia vostra. Bell’esempio di rispetto delle scelte individuali. Quando fa comodo a lorsignori, astenersi è giusto e nobile; quando non fa comodo, allora vale il principio che le minoranze che si esprimono decidono per tutti.
    E badate bene: questo gioco delle tre carte è scritto in una legge, una delle tante leggi ammazza-diritto a cui siamo abituati in Italia.
  2. Contrariamente a quanto scritto da La Voce Misena, nessuno – sui giornali, in televisione, su internet, a livello locale o nazionale – ha mai sostenuto che «l’otto per mille alla Chiesa cattolica serve per finanziare le spedizioni militari all’estero». Alle missioni militari all’estero, semmai, è destinata una parte di quegli 80 milioni di € che lo Stato taglia dal proprio OPM.
  3. Il giornale si chiede «dove finiscano i soldi dell’OPM destinati allo Stato». È presto detto: 80 milioni di € vengono dirottati verso altri scopi, in barba alla legge. In questo modo uno dei soggetti in gioco (lo Stato) boicotta lo stesso meccanismo che ha contribuito a mettere in piedi, prendendo per i fondelli tutti i contribuenti. Di quel che rimane, destina quasi la metà alla conservazione dei beni culturali legati al culto cattolico. Scelta legittima, per carità (i nostri beni culturali hanno perlopiù carattere religioso), ma assai discutibile, visto che quei soldi arrivano da contribuenti che deliberatamente hanno preferito lo Stato alle confessioni religiose. Magari si poteva trovare un’altra voce di spesa per questo finanziamento…
  4. Il giornale si chiede anche «dove finiscano i soldi che allo Stato vengono fatti amministrare dalle due più piccole comunità protestanti che, non avendo in Italia le strutture adeguate, gli fanno amministrare quanto viene loro assegnato dai rispettivi fedeli».
    E qui mi par di vedere quel pugile che era convinto di darle e invece le buscò. Sì, perché è riuscito ad infilare tre fesserie nella stessa frase.
    Prima fesseria: nessuno fa amministrare i soldi allo Stato. Le comunità ricevono le quote dell’OPM, le amministrano in proprio e pubblicano i rendiconti delle spese. Ci sono – questo sì – due piccole comunità (le Assemblee di Dio in Italia e i Valdesi) che rinunciano alle quote non espresse nelle dichiarazioni dei redditi. Ma non perché non hanno le strutture adeguate: semplicemente perché, anche se la legge lo consente, non ritengono moralmente corretto intascarsi i quattrini dei contribuenti che non hanno espressamente firmato per loro.
    Seconda fesseria: per com’è concepito l’OPM, nessuna comunità riceve i soldi dai rispettivi fedeli. Tranne per ADI e Valdesi, il finanziamento non ha nulla a che vedere con la volontarietà della scelta.
    La terza fesseria è la domanda in sé. La metà di ciò che resta allo Stato dopo il taglio di 80 milioni (inclusi i soldi rifiutati da ADI e Valdesi) va alla conservazione dei beni culturali della Chiesa cattolica. È possibile che La Voce Misena, organo della Curia, non lo sappia?
  5. Invece di far la morale agli altri e scrivere falsità sui quattro soldi che vanno alle comunità protestanti, bisognerebbe chiedersi un paio di cose.
    Primo: perché la Chiesa cattolica non segue l’esempio dei protestanti limitandosi ad accettare solo i 300 milioni di € delle quote espresse?
    Secondo: come spende la Chiesa cattolica il miliardo di € del proprio OPM? Finora la CEI ha presentato il rendiconto delle spese per “opere di carità”, che sono la parte più reclamizzata ma costituiscono appena il 19% del suo OPM. E il restante 81% che fine fa? Ad esempio, dietro i 92 milioni di € di non meglio precisate “iniziative di rilievo nazionale” si nasconde per caso qualche soldino per finanziare la campagna astensionista agli scorsi referendum? Domanda nient’affatto peregrina, che è anche materia di interrogazioni parlamentari.

«Limitiamoci a rendere a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio», dice qualcuno. Sono d’accordo, ma il problema è che ormai Cesare s’è messo a fare l’esattore per conto di Dio, e quelli che dicono di rappresentare Dio in terra s’intascano anche i soldi di Cesare.

Elogio della bocciatura

Il titolo di questo pezzo m’è venuto in mente ascoltando la conferenza stampa dell’avvocato Paradisi dopo che uno studente del Liceo Classico “Perticari” era stato bocciato agli esami di maturità per la seconda volta: a luglio e a settembre, dopo il ricorso al TAR.

Il ragazzo «non è mai stato l’“Einstein dei libri”», ha detto l’avvocato; ci potrebbe però diventare, rispondo io, dato che lo stesso Albert Einstein nel 1895 fu bocciato all’esame d’ammissione al Politecnico di Zurigo per insufficienze nelle materie letterarie. Quell’ingenuo di Einstein non pensò neppure di fare ricorso, non gridò allo scandalo, non misurò quant’era durato l’«interrogatorio di terzo grado» (pardon: il colloquio orale), non si attaccò ai vizi di forma. Se avesse messo di mezzo un avvocato, la sua vita sarebbe cambiata da così a così, e a quest’ora chissà quale carriera avrebbe fatto…!
Pare invece che il ragazzo del Perticari non l’abbia presa bene. Contro la bocciatura di giugno ha fatto ricorso al TAR, contro quella di settembre staremo a vedere.
Intanto, giù tutti a solidarizzare con lo sventurato, e dalli ai professoracci cattivi che ce l’avevano con lui non si sa bene perché. E pensare che lui aveva studiato 10 ore al giorno tutta l’estate e addirittura aveva portato la tesina su Pasolini. Niente: quegli zozzoni crudeli bastardi cinici incompetenti l’hanno interrogato per un’ora e tre quarti e alla fine l’hanno bocciato di nuovo.

Non è dato conoscere tanti particolari della vicenda (a proposito: perché tante bocche cucite? Come mai non è dato conoscere il nome del ragazzo ma solo quello dell’avvocato?) e il giudizio nel merito l’ha dato il TAR.
Devo però essere sincero: quel che ho letto sui giornali non m’è piaciuto per niente. E qualcosa voglio dire, da semplice osservatore.

Premetto che, nella scuola italiana, dopo le “riforme” Berlinguer e Moratti:

  • Il sapere deve essere personalizzato, la scuola modellata sullo studente, anzi con l’autonomia degli istituti si vuole che «i docenti e i ragazzi siano chiamati a gestire la scuola» (ma quando mai nella storia del genere umano?!), si rimbocchino le maniche, adottino decisioni, trovino il modo di comporre i conflitti.
  • Non si deve più parlare d’insegnamento ma di “offerta formativa”, di “crediti” o “debiti” come davanti ad uno sportello bancario.
  • Si dovrebbe discutere di tutta la paccottiglia politicamente corretta (guerra, pace, politica, sport, sesso, AIDS, anoressia, fumo, educazione stradale, inquinamento, depressione, violenza negli stadi, pedofilia eccetera) senza capir bene quanto tempo resterebbe allo studio. Ah, scusate, per studiare intendo: sedersi su una sedia, chinarsi un po’ sul tavolo, aprire un libro ed iniziare a leggerne i contenuti fino ad averli assimilati, eventualmente ripetendo la lettura un certo numero di volte e aiutandosi con appositi esercizi.
  • C’è il condono perenne dei debiti formativi (che poi sarebbero le insufficienze) e in pratica non si boccia più nessuno dal primo all’ultimo anno. Le insufficienze gravi a giugno diventano 6 rossi e vengono perdonate.
  • Tutti devono essere ammessi all’esame di maturità, e le prove sono svolte con professori interni che conoscono il ragazzo: il rischio che l’esito dell’esame stravolga completamente quello che ci si è guadagnati nei cinque anni non esiste.

Detto questo, mi piacerebbe sapere per quale motivo i professori si sarebbero dovuti accanire contro il ragazzo, usando un potere cinico e arbitrario. Vorrei davvero che qualcuno me lo spiegasse.
Non capisco di quale potere, di quali soprusi si sta parlando. Piuttosto vedo gli insegnanti in una condizione professionalmente ed umanamente debolissima: quali leve hanno da usare con gli studenti meno capaci e volenterosi, che li prendono quotidianamente a pernacchie, forti del fatto che studiare o meno non fa più differenza?
E come mai siamo a questo punto? Perché da tempo nella scuola è venuta meno una cosa molto semplice: la meritocrazia, che vuol semplicemente dire: cari studenti, le cose da studiare e da sapere sono queste, sarete giudicati in base a quel che sapete, chi sa verrà premiato, chi non sa verrà penalizzato ed anche bocciato. Senza criteri di merito cade ogni metro di giudizio, ed allora vale tutto: il legittimo sospetto, la persecuzione, i ricorsi, il lei-non-sa-chi-sono-io, eccetera.
Vadano, vadano a vedere il livello medio di preparazione degli studenti al primo anno d’università, sia nelle facoltà scientifiche che in quelle umanistiche, e lo confrontino con quello dei loro colleghi di 15-20 anni fa.
E poi tocca sentire dal preside del Perticari che l’obiettivo è «la promozione per tutti gli studenti». Signor Preside, non le pare che l’obiettivo dovrebbe essere quello di assicurare parità di condizioni a tutti gli studenti e poi, in funzione dei risultati, premiare i bravi – ce ne sono ancora, eccome! – e bocciare i somari?

Chi si straccia le vesti per la bocciatura, farebbe meglio a preoccuparsi d’altro.
Ad esempio, quali spunti di maturazione e di crescita trarrà il ragazzo da questa storia? Cosa imparerà per il futuro? Invece di fargli capire che nella vita non sempre siamo trattati e valutati come vorremmo, e per questo dobbiamo attrezzarci, gli s’è detto che forse era vittima di un complotto, ordito non si sa bene per quale motivo. E se domani, nella vita lavorativa, non sempre vedrà il suo capo sereno nel giudicare chi si merita l’aumento o l’avanzamento di carriera, cosa farà, di nuovo ricorso al TAR?
Se, nella situazione di sfascio in cui versa la nostra scuola, introduciamo anche il legittimo sospetto allora stiamo freschi! Se inoculiamo nello studente il dubbio che i suoi successi o insuccessi scolastici dipendano non solo dalle sue capacità ma anche da eventuali congiure, allora abbiamo dato il colpo di grazia a quella che una volta si chiamava l’istituzione scolastica. Così come ci sono il giusto processo e il giudice terzo, dobbiamo aspettarci anche il giusto esame e il professore sereno, munito di bilancino e cronometro? Mi vengono i brividi al solo pensiero.
Per quel che mi riguarda, vorrei solo stringere la mano a quei professori che, nonostante tutto, vivaddio, hanno avuto il coraggio di fare il loro mestiere, rispolverare una parola desueta e metterla in pratica: bocciare.

Il 20 settembre in via Pasubio

 

La finestra di Carlo Riginelli (20 settembre 2005)

Difficile, anzi impossibile, che non ci sia alla finestra il tricolore. Dove? A Senigallia, in via Pasubio, al civico 22, 3° piano. Un po’ spiegazzato, ma il tricolore c’è! Ad opera di chi e perché? Si, è sempre lui, questo cittadino senigalliese che il XX settembre (scriviamo cosi, come consuetudine con i numeri romani) non salta l’anniversario, mentre in Italia tutt’Italia viene un po’ trascurato, anzi spesso tenuto in sordina. Leggi tutto “Il 20 settembre in via Pasubio”

Quando il giornalismo va a farsi benedire /2

Da La Voce Misena nº 23 del 16/06/2005:
«Il vescovo di Senigallia, Giuseppe Orlandoni, si schiera a difesa di Padre Alberto, Parroco delle Grazie, “accusato” – pensate – di aver affisso in chiesa un manifesto con le scritte “La vita non può essere messa ai voti” e “Scegli di non andare a votare”. Ogni commento è superfluo».

In cosa consistevano le “accuse” a Padre Alberto? Da chi e perché erano state mosse? Quali erano i termini della discussione?
Mistero.   

Quando il giornalismo va a farsi benedire /1

Ogni tanto, in qualche telegiornale capita di imbattersi in “notizie” come queste: “il tal ministro smentisce seccamente le accuse di corruzione nei suoi confronti”, oppure “il governo ribadisce la piena fiducia al tal politico investito dai violenti attacchi dell’opposizione”.
Le accuse di corruzione o i violenti attacchi non costituiscono notizie con dignità autonoma e meritevoli d’approfondimento: censurate come tali, sono riportate solo per essere neutralizzate da una tempestiva smentita.

Simili miserie, si parva licet, capita di vedere anche a Senigallia. Dopo queste note, mi riprometto di non tornar più sull’argomento. Visti gli interlocutori, conviene lasciar perdere.

Su La Voce Misena dello scorso 30 giugno è apparso un corsivo a firma di P. Alberto Teloni dal titolo “Blasfemia”. A tale articolo ho risposto l’11 luglio, inviando alcune puntuali osservazioni alla redazione del settimanale e per conoscenza all’autore. Ho chiesto che fossero pubblicate, tutte o in parte, nello spazio dedicato agli interventi dei lettori.
In assenza di un riscontro, ho reiterato la richiesta via e-mail 5 volte (20 e 22 luglio; 5, 9 e 22 agosto) sperando in una risposta, di qualunque segno fosse. Se la pubblicazione non fosse possibile – per qualsiasi motivo: contenuti, linea editoriale, mancanza di spazio, o semplicemente perché il giornale non pubblica interventi di chi si chiama Andrea – che almeno si avesse l’onestà di dirmelo. Invece nulla: silenzio assoluto.
Poi, il 25 agosto su La Voce Misena nº 29 è uscita la contro-replica di Teloni ai miei commenti mai pubblicati. Senza entrare nel merito di ciò che scrive Teloni (e ci sarebbe parecchio da dire), voglio complimentarmi con La Voce Misena per il metodo.

Un capolavoro assoluto di giornalismo surreale: si pubblica un articolo, si censura la replica di un lettore ed infine si pubblica la contro-replica dell’autore. Ovviamente l’autore fa riferimento alla replica, ma di questa ai lettori non è dato conoscere neanche una riga. Tutte le affermazioni restano allora sospese a mezz’aria, svuotate e non verificabili: da una parte ci sono i monologhi del rispettabile opinionista, dall’altra un fantasma senza voce.
Cosa capiscono i lettori dell’intera vicenda? Nulla, ma poco importa, quando l’obiettivo è evitare il contraddittorio.
Da dei giornalisti avrei gradito un minimo di professionalità, ma mi sarebbe anche bastato uno straccio di decenza e d’educazione. Sempre che, beninteso, simili metodi abbiano qualcosa a che vedere col giornalismo.
Di nuovo, i miei complimenti.

Mai sputare in alto…

Lo scorso 30 giugno su La Voce Misena, settimanale della Curia senigalliese, è apparso un articolo firmato da Alberto Teloni.
Il pezzo, una vera e propria pinacoteca di castronerie e grossolanità (opinabili), conteneva almeno due falsità (non opinabili): che Radio Radicale, definita «radio libera bestemmia», «usufruisce di generoso finanziamento pubblico perché trasmette in modo integrale le sedute parlamentari».
Senza sentire il bisogno d’informarsi prima di scrivere fandonie, l’autore era andato oltre, producendosi nel seguente capolavoro: «ma a chi interessano le sedute parlamentari? Noia infinita e dibattito scontato».

Se le sedute del Parlamento non interessano a nessuno, ci viene il dubbio che sia così anche per le sedute del nostro Consiglio comunale. Ormai da anni le trasmette in diretta Radio Duomo, che La Voce Misena del 13 luglio definisce una radio «al servizio della conoscenza e quindi della democrazia, […] un modo agile ed efficace di prendere parte alla cosa pubblica».
Per questo servizio, Radio Duomo ha chiesto e ottenuto un finanziamento pubblico – questo sì! – da parte del Comune, il quale ha concesso:
• 1549.37 € per il 2001 (delibera nº 12 del 16/01/2002);
• 2100 € più i.v.a. per il 2002 (determina nº 721 del 24/05/2002);
• 2100 € più i.v.a. per il 2003 (determina nº 914 del 12/06/2003);
• 2400 € più i.v.a. per il 2004 (determina nº 1330 del 12/10/2004).

Personalmente crediamo che il servizio offerto a Senigallia da Radio Duomo non sia meno utile di quello offerto su scala nazionale da Radio Radicale. Ma, qualora l’affermazione fatta su La Voce Misena fosse vera, il Comune starebbe sprecando soldi per qualcosa che nessuno sfrutta, o che – peggio – ha effetti narcotici sulla popolazione. In tal caso, sarebbe opportuno rivedere la scelta.
Qualche domanda semplice semplice.

All’Amministrazione comunale:
1) Sul sito istituzionale del Comune sono documentate le sole erogazioni del 2001, 2002 e 2003, a cui va aggiunta quella del 2004. Esistono finanziamenti per il 2005 e prima del 2001? Se sì, a quanto ammontano?
2) Per quale motivo non è stata fatta una gara pubblica d’appalto per le radiocronache delle sedute consiliari, come avviene per i lavori parlamentari?
3) Radio Duomo non è l’unica emittente a coprire Senigallia: si prevede di passare alla gara d’appalto per gli anni a venire? Se sì, con quali regole?
4) Si prevede di rendere disponibili le sedute consiliari anche via internet in audio oppure in audio-video?

All’Amministrazione comunale e a Radio Duomo:
5) Esiste fra il Comune e Radio Duomo un accordo che disciplina la trasmissione delle sedute, fissando un impegno minimo (numero di sedute, minuti trasmessi, diretta o differita, trasmissione integrale o parziale)?
6) L’emittente è abilitata a seguire anche i lavori delle commissioni?
7) Sono state fatte delle stime sull’audience di Radio Duomo durante la trasmissione dei lavori consiliari?

A La Voce Misena:
8) A quando, sul vostro settimanale, una bella reprimenda contro i palinsesti di Radio Duomo?

Blasfemo chi?

Quando, prima dei referendum sulla fecondazione assistita, vedemmo su un altare (laterale o meno, poco importa) della Chiesa delle Grazie di Senigallia un manifesto di propaganda per l’astensione, il parroco ci disse indispettito che era tutto regolare. Di che s’impicciano, ‘sti mangiapreti?
L’altra settimana abbiamo letto su La Voce Misena, settimanale della Curia senigalliese, una reprimenda dello stesso Padre Alberto contro i blasfemi. Lungi dall’imbarcarsi in concetti etici e in massimi ragionamenti, il Nostro non fa che indulgere in minimi slogan per tutto l’articolo, prendendosela addirittura con i bestemmiatori annidati a Radio Radicale.

Il ragionamento (si fa per dire) è questo:

1) Anche se in Italia (purtroppo) la bestemmia non è più reato, andrebbe ugualmente punita;
2) A Radio Radicale (gli hanno riferito) si bestemmia;
3) Togliamo i soldi a Radio Radicale e facciamo tacere una volta per tutte Pannella, Bonino e Capezzone!     

1) «È vero che una serie di sentenze della Cassazione e pronunciamenti della Corte costituzionale hanno svuotato di certe difese il nostro codice penale».
Siamo in attesa che la Chiesa si faccia, in quanto tale, promotrice di proposte di legge verso lo Stato italiano: non manca molto, basta dare un’occhiata al documento della Conferenza Episcopale delle Marche sul lavoro domenicale. Nel frattempo, una curiosità: qual è il codice penale di cui Padre Alberto ha nostalgia? Forse il codice Rocco?
«Bestemmiare non è lecito sia che si offenda il nome di Dio in chiave biblica o cristiana sia che si offendano altre espressioni della divinità, sia pure di modesta invenzione umana».
Condanno anch’io la bestemmia, ma lo Stato italiano l’ha depenalizzata. È un bene o un male? Siamo sempre lì, alla distinzione tra peccato e reato. In attesa che la CEI faccia reintrodurre il reato penale, un’altra curiosità: quali sarebbero le altre espressioni della divinità, sia pure di modesta invenzione umana? Forse i simboli delle altre religioni? Padre Alberto, glielo va a spiegare Lei agli ebrei e ai musulmani che il loro Dio è una modesta invenzione umana? E come la mettiamo con quegli inventori giocherelloni buddisti o induisti?   

2) Che a me risulti, a Radio Radicale non si bestemmia né più né meno di quanto si bestemmi al “Grande Fratello”. Ci sono momenti di apertura agli interventi telefonici del pubblico, senza filtri, e dunque è qui che si possono sentire volgarità.

3) Radio Radicale «usufruisce di generoso finanziamento pubblico perché trasmette in modo integrale le sedute parlamentari. OK; ma a chi interessano le sedute parlamentari? Noia infinita e dibattito scontato».
Padre Alberto, tra uno sbadiglio e l’altro, perché la CEI non propone di abolire, se non ancora le sedute parlamentari, almeno la trasmissione dei dibattiti? Le sembrerà impossibile, eppure quelle sedute noiose, quei dibattiti scontati sono l’esercizio della rappresentanza popolare, incarnano l’essenza stessa dello Stato democratico. Pensi che orrore: c’è addirittura una maggioranza e un’opposizione…!!!
Ci sarebbe da ridere, se non ci fosse da piangere. Chi un mese fa invitava all’astensione ai referendum facendo appello alla maturità del popolo italiano, adesso con aria di sufficienza snobba l’interesse di quanti vorrebbero seguire le loro istituzioni. Di grazia, Padre Alberto, quali sarebbero i canali “leciti” e non noiosi dell’informazione politica e parlamentare?

Per inciso, il generoso finanziamento pubblico a Radio Radicale per la trasmissione delle sedute parlamentari sta solo nell’immaginazione di Padre Alberto. Radio Radicale è vincitrice di un concorso pubblico (aperto a chiunque) per la fornitura delle radiocronache dei lavori parlamentari: per tale servizio le viene corrisposto il prezzo stabilito in fase di appalto.
È piuttosto la Chiesa ad usufruire di un generosissimo finanziamento pubblico da parte dello Stato, tramite l’8 per mille. E Padre Alberto non ci venga a raccontare che quello è denaro donato volontariamente da ogni contribuente con la dichiarazione dei redditi, non ci parli come il card. Ruini di democrazia fiscale. Perché lui dovrebbe sapere che la Chiesa si becca non solo quasi tutti i soldi di coloro (i due terzi dei contribuenti) che non esprimono alcuna preferenza, ma anche la metà dei soldi che vanno espressamente allo Stato. E non ci dica nemmeno che quei soldi vanno per le “opere di carità”, perché l’80% prende altre strade.
Come punizione per i blasfemi, tra il serio e il faceto Padre Alberto propone di «togliere a Radio Radicale mille euro per ogni bestemmia trasmessa. Vediamo se riescono a farsela finita», o in alternativa «di abrogare con referendum i signori Pannella, Bonino e Capezzone» (sempre che arrivi al quorum, aggiungo io…).

Sono d’accordo: togliamo a quegli sporcaccioni dei radicali il diritto di trasmettere le sedute parlamentari. Chi le vuole ascoltare vada a Roma. Le scelte – Padre Alberto concorderà – devono essere consapevoli e volontarie. Allora aboliamo anche l’8 per mille, giacché a me dà fastidio che chi non esprime preferenza sia d’ufficio buttato nel calderone di coloro che finanziano la Chiesa cattolica. E mi disturba soprattutto un sospetto, che ancora non riesco a confermare ma neppure a diradare: che il mio 8 per mille sia stato usato direttamente o indirettamente per la campagna astensionista agli scorsi referendum. 
È proprio il caso di dirlo: mai flatus vocis fu migliore investimento. Forse Padre Alberto si riferiva a se stesso.

Ora sono saliti all’altare! Non vi sembra troppo?

Manifesto sull’altare

Avevamo visto un po’ dappertutto nelle parrocchie e negli oratori, nelle sacrestie e nei circoli d’area o cattolici la ricca messe dei manifesti e degli opuscoli di Carlo Casini.
Che qualche buon prete fosse preso dall’entusiasmo fino al punto di esporli però su un altare, anzi su due altari nella medesima chiesa, questo a me sembrava davvero impossibile. Non lo avrei nemmeno immaginato!

Poi ieri, alla Messa domenicale ho fatto la sconcertante scoperta. Il primo impulso è stato quello di scrivere al Vescovo, poi di divulgare, senza alcun commento, questa fotografia.
Si l’ho scattata io, in una chiesa della Diocesi di Senigallia: è vera e non c’è alcun trucco.

Che su un altare di una chiesa cattolica oggi vi sia scritto, a carattere cubitali, ”SCEGLI DI NON ANDARE A VOTARE” confesso mi sembra davvero incredibile.

Mezza Canaja: sede nuova, mobili vecchi

Leggo su diversi quotidiani cittadini di episodi intimidatori da parte della polizia ai danni dei no-global del C.S.A. “Mezza Canaja”, nella loro nuova sede sul lungomare Da Vinci.
A voi, ragazzi del “Mezza Canaja”, a voi intimiditi, repressi e manganellati, ha già risposto 36 anni fa Pier Paolo Pasolini il quale, all’indomani degli scontri di Valle Giulia a Roma, tra l’euforia della maggioranza degli intellettuali, andò controcorrente: «siete pavidi, incerti, disperati (benissimo!), ma sapete anche come essere prepotenti, ricattatori, sicuri e sfacciati: prerogative piccolo-borghesi, cari». Leggi tutto “Mezza Canaja: sede nuova, mobili vecchi”