Per un tuffo a Marathon

Marco Mazzufferi è un giovane pilota d’aereo con una già lunga esperienza internazionale.
Pubblichiamo l’avvincente reportage del viaggio “cross-country” che ha compiuto qualche anno fa dal Texas alla Florida (e ritorno), attraverso l’Arkansas, la Louisiana, il Mississippi e l’Alabama. Due i protagonisti: oltre a Marco, il suo Cessna C152. Insieme, artefici di un’attraversata di quattro giorni nei cieli d’America.

L’articolo e’ apparso per la prima volta su Aviazione Sportiva nel luglio 2000. Buona lettura. Leggi tutto “Per un tuffo a Marathon”

Jared Diamond a Roma

Il 15 novembre l’Aurelio Peccei Lecture 2005 vedrà protagonista Jared Diamond, zoologo, antropologo, ecologo di fama mondiale. Diamond presenterà il suo ultimo libro, recentemente tradotto in italiano: Collasso, come le società scelgono di morire o di vivere (edizioni Einaudi).

La Lecture si terrà (in italiano) ai Musei Capitolini, in Piazza del Campidoglio, a Roma. Grazie a Luca per la segnalazione!

Otto Per Mille, ovvero il gioco delle tre carte

Non è tempo di dichiarazione dei redditi, ma stavolta voglio parlarvi dell’Otto Per Mille. M’è tornato in mente l’altro giorno, dopo aver letto su La Voce Misena nº 36 un trafiletto intitolato “Cavoli a merenda” (mai titolo fu più azzeccato).
Sono d’accordo col commentatore: chiediamoci che fine fanno i soldi dell’Otto Per Mille.
Ecco la risposta, direttamente dal Ministero delle Finanze.

Di seguito trovate le ripartizioni dell’Otto Per Mille ai vari soggetti coinvolti, e il dettaglio di come lo Stato e la Chiesa cattolica spendono i soldi.

Distribuzione totale 8 per mille (2004)

Totale distribuzione 8 per mille nel 2004

Distribuzione 8 per mille - chiese minori (2004)

Totale distribuzione 8 per mille nel 2004 (chiese minori)

Distribuzione 8 per mille alla Chiesa (2004) Distribuzione 8 per mille allo Stato (2004)

Distribuzione 8 per mille della Chiesa (sinistra) e dello Stato (destra)

Innanzitutto, sgombriamo il campo da un equivoco. Molti pensano che, non firmando il modulo nella dichiarazione dei redditi, la quota dell’OPM rimanga allo Stato. Falso: quei soldi sono distribuiti in proporzione alle scelte espresse da coloro che firmano.
Facciamo un esempio. Se su 100 contribuenti solo 10 firmano il modulo dell’OPM e, di questi, 9 danno il proprio OPM ad un certo soggetto, a quest’ultimo va il 90% delle scelte espresse ma anche il 90% delle scelte non espresse. Insomma, essendo stato scelto da appena il 9% dei contribuenti, quel soggetto si becca il 90% dei soldi.
Così, nel 2000 meno del 40% dei contribuenti ha firmato il modulo, dichiarando esplicitamente di voler destinare quei soldi ad uno tra i sette soggetti in lizza. Di questi contribuenti, l’87% ha scelto la Chiesa cattolica. Risultato: essendo stata preferita esplicitamente da neppure il 35% dei contribuenti, alla Chiesa è andato l’87% della torta dell’OPM.

Dovete anche sapere che con la Finanziaria 2004 lo Stato si è decurtato la sua quota OPM di 80 milioni di € all’anno. I soldi sono stati usati in parte per il cosiddetto “pacchetto sicurezza”, in parte per finanziare le missioni militari all’estero (Albania, Iraq). Dei circa 20 milioni di € rimasti dopo il taglio, lo Stato destina il 45% alla conservazione di beni culturali legati al culto cattolico.

Va da sé che Chiesa cattolica e Stato fanno la parte del leone nella spartizione, e agli altri lasciano le briciole: le comunità ebraiche e le quattro confessioni cristiane minori, messe insieme, non arrivano al 2%. Tra esse, le Assemblee di Dio in Italia e la Chiesa valdese (fino al 2004) non accettano le quote inespresse e si limitano a prendere quelle esplicitamente assegnate loro dai contribuenti.

A questo punto, alcune osservazioni.

  1. L’OPM, per com’è stato concepito dopo il Concordato del 1984, altro non è che un sistema di finanziamento pubblico della Chiesa cattolica da parte dello Stato italiano (non a caso la legge in origine non contemplava le altre confessioni religiose), ipocritamente spacciato per autofinanziamento basato sulla scelta volontaria o esempio di democrazia fiscale.
    Nessuno destina davvero i propri soldi: partecipiamo tutti ad un gigantesco sondaggio d’opinione, al termine del quale si “contano” le scelte, si calcolano le percentuali ottenute da ogni soggetto e, in base a queste percentuali, vengono ripartiti i fondi. Non volete rispondere al sondaggio? Volete “astenervi”? Non v’interessa dar soldi ad alcuna confessione religiosa? Avete il braccio ingessato e non potete firmare il modulo? La penna non funziona? Chissenefrega, tanto anche il vostro OPM va nel calderone e viene ripartito. Alla faccia vostra. Bell’esempio di rispetto delle scelte individuali. Quando fa comodo a lorsignori, astenersi è giusto e nobile; quando non fa comodo, allora vale il principio che le minoranze che si esprimono decidono per tutti.
    E badate bene: questo gioco delle tre carte è scritto in una legge, una delle tante leggi ammazza-diritto a cui siamo abituati in Italia.
  2. Contrariamente a quanto scritto da La Voce Misena, nessuno – sui giornali, in televisione, su internet, a livello locale o nazionale – ha mai sostenuto che «l’otto per mille alla Chiesa cattolica serve per finanziare le spedizioni militari all’estero». Alle missioni militari all’estero, semmai, è destinata una parte di quegli 80 milioni di € che lo Stato taglia dal proprio OPM.
  3. Il giornale si chiede «dove finiscano i soldi dell’OPM destinati allo Stato». È presto detto: 80 milioni di € vengono dirottati verso altri scopi, in barba alla legge. In questo modo uno dei soggetti in gioco (lo Stato) boicotta lo stesso meccanismo che ha contribuito a mettere in piedi, prendendo per i fondelli tutti i contribuenti. Di quel che rimane, destina quasi la metà alla conservazione dei beni culturali legati al culto cattolico. Scelta legittima, per carità (i nostri beni culturali hanno perlopiù carattere religioso), ma assai discutibile, visto che quei soldi arrivano da contribuenti che deliberatamente hanno preferito lo Stato alle confessioni religiose. Magari si poteva trovare un’altra voce di spesa per questo finanziamento…
  4. Il giornale si chiede anche «dove finiscano i soldi che allo Stato vengono fatti amministrare dalle due più piccole comunità protestanti che, non avendo in Italia le strutture adeguate, gli fanno amministrare quanto viene loro assegnato dai rispettivi fedeli».
    E qui mi par di vedere quel pugile che era convinto di darle e invece le buscò. Sì, perché è riuscito ad infilare tre fesserie nella stessa frase.
    Prima fesseria: nessuno fa amministrare i soldi allo Stato. Le comunità ricevono le quote dell’OPM, le amministrano in proprio e pubblicano i rendiconti delle spese. Ci sono – questo sì – due piccole comunità (le Assemblee di Dio in Italia e i Valdesi) che rinunciano alle quote non espresse nelle dichiarazioni dei redditi. Ma non perché non hanno le strutture adeguate: semplicemente perché, anche se la legge lo consente, non ritengono moralmente corretto intascarsi i quattrini dei contribuenti che non hanno espressamente firmato per loro.
    Seconda fesseria: per com’è concepito l’OPM, nessuna comunità riceve i soldi dai rispettivi fedeli. Tranne per ADI e Valdesi, il finanziamento non ha nulla a che vedere con la volontarietà della scelta.
    La terza fesseria è la domanda in sé. La metà di ciò che resta allo Stato dopo il taglio di 80 milioni (inclusi i soldi rifiutati da ADI e Valdesi) va alla conservazione dei beni culturali della Chiesa cattolica. È possibile che La Voce Misena, organo della Curia, non lo sappia?
  5. Invece di far la morale agli altri e scrivere falsità sui quattro soldi che vanno alle comunità protestanti, bisognerebbe chiedersi un paio di cose.
    Primo: perché la Chiesa cattolica non segue l’esempio dei protestanti limitandosi ad accettare solo i 300 milioni di € delle quote espresse?
    Secondo: come spende la Chiesa cattolica il miliardo di € del proprio OPM? Finora la CEI ha presentato il rendiconto delle spese per “opere di carità”, che sono la parte più reclamizzata ma costituiscono appena il 19% del suo OPM. E il restante 81% che fine fa? Ad esempio, dietro i 92 milioni di € di non meglio precisate “iniziative di rilievo nazionale” si nasconde per caso qualche soldino per finanziare la campagna astensionista agli scorsi referendum? Domanda nient’affatto peregrina, che è anche materia di interrogazioni parlamentari.

«Limitiamoci a rendere a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio», dice qualcuno. Sono d’accordo, ma il problema è che ormai Cesare s’è messo a fare l’esattore per conto di Dio, e quelli che dicono di rappresentare Dio in terra s’intascano anche i soldi di Cesare.

Isonzo 1917

La storia della “Grande Guerra” sul fronte italiano con una analisi approfondita dell’ “annus horribilis” 1917 con la undicesima offensiva italiana sull’Isonzo e la successiva disfatta di Caporetto.
L’autore cerca sempre di attenersi ai fatti per raccontare lo svolgersi degli eventi in maniera il più possibile imparziale, con lo stile della storiografia anglosassone. Superata infatti la retorica fascista, Silvestri delinea in maniera precisa e spietata le figure dei generali Cadorna, Capello e Badoglio mettendo l’accento sulle loro gravi responsabilità nel disastro dell’ottobre 1917. Molto belli anche gli scorci relativi alla vita della nazione durante gli anni di guerra che fanno comprendere il clima in cui si sviluppavano le vicende belliche e l’atteggiamento del popolo italiano.

Mario Silvestri, Isonzo 1917, edizoni BUR, 2001

#14: “2001: Odissea nello spazio”

La riunione numero 14 del Club Popinga vedrà protagonista il romanzo più celebre di Arthur C. Clarke, quel 2001: Odissea nello Spazio immortalato da Stanley Kubrick in versione cinematografica.

Proposto da proximity, il libro sarà discusso sabato 4 dicembre alle ore 21.30 a Senigallia (AN), presso i locali dell’ex scuola elementare di San Silvestro. Per chi non sapesse come raggiungerla, l’appuntamento è in Piazza Garibaldi (di fronte al Duomo di Senigallia) alle ore 21.

Riferimenti: il mio cellulare (333-8796943)

La fine delle libertà. Verso un nuovo totalitarismo?

Con quest’opera coraggiosa e a tratti paradossale, Gore Vidal vuole portare il lettore ad aprire gli occhi su una delle tendenze più inquietanti del governo degli Stati Uniti: quella di limitare e calpestare, con sempre maggior frequenza e intensità, i diritti e le libertà civili dei suoi cittadini.

Un percorso, quello dell’autore, che si snoda con i suoi articoli tra alcune vicende connesse al nuovo trend governativo. Tra queste, il massacro da parte degli agenti dell’FBI di 82 persone (tra cui 25 bambini) appartenenti alla setta dei Davidiani a Waco. Questo misfatto spinse poi Timothy McVeigh a far esplodere un camion-bomba contro l’edificio federale di Oklahoma City, provocando la morte di 168 persone.

In nome della lotta al terrorismo e alla droga, i Dieci Emendamenti stilati dai padri della nazione (poi confluiti in un documento che diverrà noto come Bill of Rights) si sono assottigliati sempre di più, facendo perdere agli americani la “copertura costituzionale” che li dovrebbe proteggere dal potere dello Stato. Le conseguenze sono difficili da immaginare. Avverte infatti Vidal: «Una volta alienato, un “diritto inalienabile” può essere perso per sempre, nel qual caso noi non saremmo più, nemmeno lontanamente, l’ultima e migliore speranza della terra ma solo uno squallido stato imperiale la cui maggiore preoccupazione è tenere a bada i suoi cittadini e il cui stile di morte, non di vita, viene imitato da tutti».

L’autore ha qui fornito spunti interessanti e particolari che non sono di dominio pubblico, seppure apparentemente perda, a volte, il fil rouge del suo tema. Rimane comunque esempio di uno stile che si può riscontrare ormai solo in giornalisti di vecchio stampo, contraddistinto da provocazioni e amare ironie.

Gore Vidal è nato a West Point nel 1925. E’ autore di numerosi saggi e romanzi, nonché giornalista di nota fama.

Elogio della bocciatura

Il titolo di questo pezzo m’è venuto in mente ascoltando la conferenza stampa dell’avvocato Paradisi dopo che uno studente del Liceo Classico “Perticari” era stato bocciato agli esami di maturità per la seconda volta: a luglio e a settembre, dopo il ricorso al TAR.

Il ragazzo «non è mai stato l’“Einstein dei libri”», ha detto l’avvocato; ci potrebbe però diventare, rispondo io, dato che lo stesso Albert Einstein nel 1895 fu bocciato all’esame d’ammissione al Politecnico di Zurigo per insufficienze nelle materie letterarie. Quell’ingenuo di Einstein non pensò neppure di fare ricorso, non gridò allo scandalo, non misurò quant’era durato l’«interrogatorio di terzo grado» (pardon: il colloquio orale), non si attaccò ai vizi di forma. Se avesse messo di mezzo un avvocato, la sua vita sarebbe cambiata da così a così, e a quest’ora chissà quale carriera avrebbe fatto…!
Pare invece che il ragazzo del Perticari non l’abbia presa bene. Contro la bocciatura di giugno ha fatto ricorso al TAR, contro quella di settembre staremo a vedere.
Intanto, giù tutti a solidarizzare con lo sventurato, e dalli ai professoracci cattivi che ce l’avevano con lui non si sa bene perché. E pensare che lui aveva studiato 10 ore al giorno tutta l’estate e addirittura aveva portato la tesina su Pasolini. Niente: quegli zozzoni crudeli bastardi cinici incompetenti l’hanno interrogato per un’ora e tre quarti e alla fine l’hanno bocciato di nuovo.

Non è dato conoscere tanti particolari della vicenda (a proposito: perché tante bocche cucite? Come mai non è dato conoscere il nome del ragazzo ma solo quello dell’avvocato?) e il giudizio nel merito l’ha dato il TAR.
Devo però essere sincero: quel che ho letto sui giornali non m’è piaciuto per niente. E qualcosa voglio dire, da semplice osservatore.

Premetto che, nella scuola italiana, dopo le “riforme” Berlinguer e Moratti:

  • Il sapere deve essere personalizzato, la scuola modellata sullo studente, anzi con l’autonomia degli istituti si vuole che «i docenti e i ragazzi siano chiamati a gestire la scuola» (ma quando mai nella storia del genere umano?!), si rimbocchino le maniche, adottino decisioni, trovino il modo di comporre i conflitti.
  • Non si deve più parlare d’insegnamento ma di “offerta formativa”, di “crediti” o “debiti” come davanti ad uno sportello bancario.
  • Si dovrebbe discutere di tutta la paccottiglia politicamente corretta (guerra, pace, politica, sport, sesso, AIDS, anoressia, fumo, educazione stradale, inquinamento, depressione, violenza negli stadi, pedofilia eccetera) senza capir bene quanto tempo resterebbe allo studio. Ah, scusate, per studiare intendo: sedersi su una sedia, chinarsi un po’ sul tavolo, aprire un libro ed iniziare a leggerne i contenuti fino ad averli assimilati, eventualmente ripetendo la lettura un certo numero di volte e aiutandosi con appositi esercizi.
  • C’è il condono perenne dei debiti formativi (che poi sarebbero le insufficienze) e in pratica non si boccia più nessuno dal primo all’ultimo anno. Le insufficienze gravi a giugno diventano 6 rossi e vengono perdonate.
  • Tutti devono essere ammessi all’esame di maturità, e le prove sono svolte con professori interni che conoscono il ragazzo: il rischio che l’esito dell’esame stravolga completamente quello che ci si è guadagnati nei cinque anni non esiste.

Detto questo, mi piacerebbe sapere per quale motivo i professori si sarebbero dovuti accanire contro il ragazzo, usando un potere cinico e arbitrario. Vorrei davvero che qualcuno me lo spiegasse.
Non capisco di quale potere, di quali soprusi si sta parlando. Piuttosto vedo gli insegnanti in una condizione professionalmente ed umanamente debolissima: quali leve hanno da usare con gli studenti meno capaci e volenterosi, che li prendono quotidianamente a pernacchie, forti del fatto che studiare o meno non fa più differenza?
E come mai siamo a questo punto? Perché da tempo nella scuola è venuta meno una cosa molto semplice: la meritocrazia, che vuol semplicemente dire: cari studenti, le cose da studiare e da sapere sono queste, sarete giudicati in base a quel che sapete, chi sa verrà premiato, chi non sa verrà penalizzato ed anche bocciato. Senza criteri di merito cade ogni metro di giudizio, ed allora vale tutto: il legittimo sospetto, la persecuzione, i ricorsi, il lei-non-sa-chi-sono-io, eccetera.
Vadano, vadano a vedere il livello medio di preparazione degli studenti al primo anno d’università, sia nelle facoltà scientifiche che in quelle umanistiche, e lo confrontino con quello dei loro colleghi di 15-20 anni fa.
E poi tocca sentire dal preside del Perticari che l’obiettivo è «la promozione per tutti gli studenti». Signor Preside, non le pare che l’obiettivo dovrebbe essere quello di assicurare parità di condizioni a tutti gli studenti e poi, in funzione dei risultati, premiare i bravi – ce ne sono ancora, eccome! – e bocciare i somari?

Chi si straccia le vesti per la bocciatura, farebbe meglio a preoccuparsi d’altro.
Ad esempio, quali spunti di maturazione e di crescita trarrà il ragazzo da questa storia? Cosa imparerà per il futuro? Invece di fargli capire che nella vita non sempre siamo trattati e valutati come vorremmo, e per questo dobbiamo attrezzarci, gli s’è detto che forse era vittima di un complotto, ordito non si sa bene per quale motivo. E se domani, nella vita lavorativa, non sempre vedrà il suo capo sereno nel giudicare chi si merita l’aumento o l’avanzamento di carriera, cosa farà, di nuovo ricorso al TAR?
Se, nella situazione di sfascio in cui versa la nostra scuola, introduciamo anche il legittimo sospetto allora stiamo freschi! Se inoculiamo nello studente il dubbio che i suoi successi o insuccessi scolastici dipendano non solo dalle sue capacità ma anche da eventuali congiure, allora abbiamo dato il colpo di grazia a quella che una volta si chiamava l’istituzione scolastica. Così come ci sono il giusto processo e il giudice terzo, dobbiamo aspettarci anche il giusto esame e il professore sereno, munito di bilancino e cronometro? Mi vengono i brividi al solo pensiero.
Per quel che mi riguarda, vorrei solo stringere la mano a quei professori che, nonostante tutto, vivaddio, hanno avuto il coraggio di fare il loro mestiere, rispolverare una parola desueta e metterla in pratica: bocciare.

Scozia 2005 /2

6 – E’ il giorno dell’isola di Skye. Le previsioni della BBC sono state chiare: pioggia, pioggia, pioggia fino a meta’ pomeriggio. In caso di pioggia torrenziale la grafica della BBC indica un’area verde e oggi Skye e’ costellata di aree verdi. Non a caso una delle aree piu’ piovose di tutta la Gran Bretagna. Nonostante l’evidenza scientifica il gestore del nostro B&B (lo spione) ci assicura che troveremo tempo bello perche’ quelli del meteo non ci hanno mai capito niente… Partiamo. Cielo nerissimo. Prima pioggia gia’ sul ponte che conduce all’isola. La parte sud dell’isola e’ un susseguirsi di montagne, vallate, fiordi, torrenti. Scarsissima presenza umana. Il paesaggio e’ davvero fantastico. Le nuvole che nascondono le cime delle montagne aggiungono un tocco di mistero.
Raggiungiamo il nord dell’isola (lunga circa 80km), segnalato dalle guide per le sue “stranezze geologiche”, schivando le pecore se ne stanno beatamente in mezzo alla strada, padrone incontrastate della loro isola.

Prima sosta: Old Man of Storr, un pinnacolo roccioso alto 50m (come un palazzo di 15 piani) che mi ricorda il menhir di Obelix. E che Marco1 ribattezza simpaticamente “la tega”. Per raggiungerlo dobbiamo inerpicarci per circa un’ora lungo un sentiero scosceso in mezzo alle nuvole, finche’ non ci appare in tutta la sua maestosita’. Ma arrivati in cima le nuvole si diradano e inizia a piovere: ci aspetta un’ora di discesa sotto pioggia battente, arriviamo alla macchina fradici. Ma le viste sul mare e le isolette vicine sono indimenticabili.
Seconda sosta: dopo esserci asciugati e cambiati i vestiti zuppi d’acqua ci dirigiamo alla Kilt Rock, uno strapiombo di roccia a picco sul mare cosi’ ribattezzato per la somiglianza con le pieghe del tipico gonnellino scozzese. Piove. Cielo sempre piu’ nero.
La terza sosta prevista sarebbe un’altra delle “stranezze”, ma non ci arriviamo perche’ lungo la strada ci coglie uno scroscio cosi’ violento che il tergicristallo non basta piu’ a garantire la visibilita’. Vatti a fidare dello spione… La strada in alcuni punti e’ diventata un fiume. Preferisco accostare e aspettare che passi la buriana.
Terza sosta: Portree, capoluogo dell’isola. Piove. Dopo esserci rifocillati, visitiamo il porticciolo dominato da una fila di casette variopinte. Un tocco di colore nel grigio dell’estremo nord.
Quarta sosta: Distillerie Talisker. Sono circa le 16 e come da previsioni BBC ha smesso di piovere e sta rischiarando. E’ troppo tardi per il tour guidato della distilleria, non per un assaggino. Ci incuriosisce il torrentello di scarico verso mare che emana odore di whisky…
Raggiunta Armadale nell’estremo sud dell’isola torniamo sulla terraferma con il traghetto. Passiamo la sera risolvendo un qui pro quo con un titolare di B&B che millantava una nostra prenotazione, spacciandoci un suo errore per “Highland’s ospitality”…

7 – E’ il penultimo giorno del nostro viaggio e, finalmente, c’e’ il sole! Una intera giornata di sole, dopo lo sprazzo di 3-4 ore di Edimburgo. Ci aspetta la cosiddetta “Strade per le Isole”, una cavalcata di 80km, lungo la costa da Mallaig a Fort William, famosa per ospitare alcuni degli scorci piu’ fotografati di Scozia.
Prima sosta: Mallaig, ameno porticciolo animato solo dall’arrivo di un nuovo traghetto. Sul tetto di ognuna delle belle casette a ridosso del porto c’e’ un gabbiano appollaiato.
Seconda sosta: Loch Morar, dimora del secondo mostro piu’ famoso di Scozia dopo Nessie, ma anche qui niente bestione. Che il whisky dia allucinazioni?
Terza sosta: Silver Sands of Morar, stupende spiagge di sabbia bianca che nemmeno ai Caraibi… L’acqua in compenso e’ gelida, ma c’e’ un pazzo che sta pescando immerso fino alla cintola. Potere riscaldante del whisky?
Quarta sosta: Arisaig, sonnolento (forse perche’ e’ domenica mattina?) porticciolo. L’unico segno di vita e’ un piccolo spaccio di generi alimentari. Livia si presenta alla cassa per pagare una bottiglia di whisky, ma e’ gentilmente invitata a riporla sugli scaffali: e’ domenica, niente alcolici in questa parte del mondo…
Quinta sosta: Glenfinnan, luogo caro al popolo scozzese poiche’ qui Bonnie Prince Charlie inizio’ il suo tentativo, fallito, di riconquistare la corona britannica. Il monumento commemorativo dice poco al turista italiano, ma lo scenario e’ spettacolare col fiordo da un lato e il viadotto ferroviario (altro set di un Harry Potter) dall’altro.
Sesta sosta: Neptune’s Staircase. Si tratta del sistema di chiuse che collegano il canale di Caledonia all’Atlantico. Molto interessante, ma non so se tutti hanno apprezzato.
Settima sosta: Fort William. Lo scenario, con lo sfondo del Ben Nevis, il monte piu’ alto di Gran Bretagna, e’ suggestivo, ma del forte nessuna traccia. Marco2 paga a Marco1 un pacchetto di patatine causa scnfitta a briscola a 59… Tanti negozi per turisti. E noi ci adeguiamo…
In serata ci dirigiamo verso sud, attraversando paesaggi dapprima brulli e maestosi come la Glen Coe e poi piu’ boschivi e dolci nelle Lowlands.

8 – Dopo la notte passata nello sperduto villaggio di Aberfoyle, ma con una bellissima locanda, ci apprestiamo al lungo viaggio verso l’Inghilterra con destinazione finale aeroporto di Durham Teesside.
Colazione leggera con haggis, piatto nazionale scozzese a base di interiora di agnello… A dir la verita’ Livia e’ stata l’unica coraggiosa…
Facciamo due brevi soste lungo il tragitto, nel segno del moderno e dell’antico.
A Falkirk, ancora in Scozia, visitiamo un avveniristico sistema che consente il passaggio di imbarcazioni tra canali situati a diversi livelli (diciamo che si tratta delle “chiuse del Duemila”). Ci si puo’ chiedere a cosa serva visto che i canali britannici sono in disuso, ma in compenso i turisti sono tanti.
La seconda sosta e’ in Inghilterra a visitare le rovine del Vallo di Adriano nel loro scorcio piu’ suggestivo. Ma comincia presto a piovere ed e’ ora di ripartire e non c’e’ cosi’ tempo di vedere il sicomoro immortalato nella scena iniziale del Robin Hood di Kevin Costner.

E siamo cosi’ alla conclusione del nostro viaggio. Che dire?
Bei posti (soprattutto la costa atlantica), bella compagnia, cibo cosi’ cosi’.
E portate il k-way…

Dei 30 anni e dell’amicizia…

Stavo avviandomi a compiere i miei primi 30 anni in maniera un pò malinconica e triste, dopo un anno funesto e pieno di sfortuna e con quel pizzico di tristezza che accompagna l’addio alla giovinezza e l’ingresso nella età matura.
E’ bastato però un gesto dei miei amici più cari a farmi cambiare completamente umore a farmi ricordare questo compleanno come uno dei più belli di sempre.

Questa festa a sorpresa mi ha sorpreso in maniera inaspettata facendomi quasi commuovere (e chi mi conosce sa che non è facile) ricordandomi quanto sia importante l’amicizia e quanto sia bello avere degli amici soprattutto nei momenti difficili.
Ringrazio tutti quelli che sono venuti ed anche quelli che non sono potuti venire: grazie per il fantastico regalo e per la giornata felice!
Un grazie particolare a coloro che hanno investito il loro tempo per organizzare e allestire il tutto.

Una cosa è certa: è bello avere degli amici così!!!!

Scozia 2005 /1

Protagonisti: Daniele, Livia, Marco 1, Marco 2, Michela
Periodo: 8-15 Agosto 2005
Mezzo: Aereo + Auto

1 – Viaggiamo separatamente. Io arrivo in tarda serata ad Humberside (Inghilterra) con voli KLM da Bologna. I nostri eroi atterrano invece a Durham Teesside (Inghilterra) con volo RyanAir da Roma Ciampino. Io dormo a casa a Beverley, mentre i nostri eroi raggiungono Durham coi mezzi pubblici. Non hanno pero’ tempo di vedere la bellissima cattedrale, usata da sfondo anche per un film di Harry Potter, in quanto rapiti da un ristoratore indiano.

2 – Mentre i nostri eroi visitano finalmente il bellissimo centro storico di Durham, patrimonio dell’Unesco, io li raggiungo in macchina. Sistemiamo con qualche difficolta’ valigie e zaini nel pur capiente bagagliaio della mia Chevrolet perche’ Marco1 ha portato un valigione con ricambi per 30 giorni. Ci mettiamo in viaggio verso la Scozia. Non c’e’ autostrada e Marco1 mi esorta spesso a premere sull’acceleratore. Una volta lo fa proprio mentre siamo nel mirino di uno degli innumerevoli autovelox fissi… Fortunatamente non lo ascolto. Immancabile sosta al confine con zampognaro e giapponesi che gli fanno la foto. Breve sosta a Jedburgh ad ammirare le rovine di una imponente abbazia. Raggiunta la capitale Edimburgo subito ci perdiamo, ma grazie alle indicazioni di una passante e a un po’ di fortuna finalmente troviamo il nostro B&B. Giretto pomeridiano e notturno in centro, per il famoso Royal Mile. Prima impressione: troppi italiani in giro… Siamo colpiti dalla audace architettura della nuova sede del parlamento scozzese. Prime gocce di pioggia e ci rifugiamo nel Museo di Scozia: 7 piani ricchissimi di reperti e testimonianze sulla storia della Scozia ma troppo dispersivo. Dopo un’ora e mezzo usciamo avendone visto solo una piccola parte e con la sensazione che il ricordo che ci rimarra’ piu’ impresso e’ la vista della citta’ dal terrazzo posto all’ultimo piano. E anche il ricordo di Marco2 fenomeno nella gara dei riflessi… Serata in pub a base di Guinness, steaks e jacket potatoes.

3 – Giornata interamente dedicata alla visita di Edimburgo. Raggiunto il centro con autobus a due piani in perfetto stile britannico siamo i primi a varcare la soglia della National Gallery: non sara’ quella di Londra, ma ci sono davvero tanti bei quadri. Ovviamente la sala che preferisco e’ quella degli impressionisti. Percorrendo i verdi giardini che con la ferrovia dividono in due la citta’ ci dirigiamo verso la New Town, magnifico esempio di un oculato e rigoroso sviluppo urbanistico. Insieme alla Old Town, al contrario irregolare e caotica, e’ stata designata patrimonio dell’Unesco. Torniamo quindi verso la Old Town e ci dirigiamo verso il castello. Mentre siamo in fila per l’ingresso ci informiamo sui biglietti per lo spettacolo serale (Military Tattoo) che si tiene sulla spianata. Niente da fare…i biglietti sono finiti a gennaio! E pensare che viene replicato tutte le sere di agosto e le tribune hanno una capienza di circa 10000 spettatori… Incredibile! La visita del castello e le vedute del Firth of Forth ripagano ampiamente della delusione per il mancato spettacolo. Marco1 si invaghisce del gendarme dell’One o’Clock Gun e gli da’ un bacio in bocca. Nel pomeriggio spunta finalmente il sole e ne approfittiamo per sederci su un prato e intavolare un bella partita a queen. Cena in ristorante messicano dove Michela diventa lo zimbello del cameriere.

4 – Ci lasciamo alle spalle Edimburgo attraversando il Firth of Forth in direzione nord e ci godiamo la vista del famoso Forth Bridge, ponte ferroviario in acciaio.
St.Andrews, patria del golf, mi emoziona subito. La citta’ vive per lo sport a cui ha dato i natali. Tantissima gente cammina per strada con la sacca piena di mazze, i negozi vendono abbigliamento per il golf e c’e’ anche un museo del golf. Ma e’ quel grande prato verde della buca 18 (Roberto rassegnati, non e’ la 17!) circondato dalle case e a un tiro di schioppo dalla spiaggia che ti colpisce piu’ di tutto. Provo un po’ d’invidia per quei fortunati che, avendo prenotato con un anno d’anticipo, ora possono roteare le loro mazze. Marco1 suscita l’ilarita’ di uno spettatore quando ad alta voce esprime il proprio disappunto per un “putt” sbilenco: “Nooo!!!”. Anche Livia, che non mi era sembrata felicissima dell’inserimento di St.Andrews nell’itinerario, ne rimane colpita.
Visitiamo anche le rovine del castello e della cattedrale. Nel camposanto della cattedrale attira la nostra attenzione la tomba di “Tommy”, morto il giorno di Natale del 1875 a soli 24 anni, ma gia’ tre volte vincitore del famosissimo torneo.
Lasciamo St.Andrews col rammarico di non aver imbucato nemmeno una pallina (e anche di non averla comprata… son dovuto correre perche’ scadeva il parcheggio e nel frattempo i bast…se la son comprata solo per loro…) alla volta di Inverness. Dopo cena abbiamo tempo per una passeggiata notturna lungo il fiume, dominato dal castello illuminato.

5 – E’ il giorno della traversata est-ovest che ci portera’ dal mare del Nord all’Atlantico. Piu’ ci muoviamo verso est e piu’ il paesaggio diventa selvaggio e affascinante. Inizia la Scozia che ci aspettavamo.
Prima sosta: Loch Ness alla ricerca del mostro, ma lo troviamo solo nei negozi di souvenir. In compenso la vista del lago dalle rovine dell’Urquhart Castle e’ molto suggestiva, cosi’ come la ricostruzione cinematografica della storia del maniero con tanto di sipario che si apre alla vista delle attuali rovine.
Seconda sosta: Eilean Donan Castle, un castello appollaiato su un isolotto roccioso nel bel mezzo di un fiordo e raggiungibile con un ponte in pietra. Riflessi indimenticabili. Non a caso scenario di diverse pellicole di successo.
Terza sosta: abbiamo raggiunto l’Atlantico, a Plockton, villaggio simil-caraibico con tanto di barche a vela, isoletta e palme (grazie alla corrente del Golfo). Davvero strano trovare un posto del genere in Scozia. Manca solo il sole. Hai detto niente… Abbiamo la geniale idea di avventurarci a piedi in una penisoletta raggiungibile attraversando la zona di bassa marea. Nessuno si fida di Marco1 che ha scelto la via piu’ lunga e tutti seguono me per la strada piu’ breve. Finiamo immaltati fino alle caviglie…
Quarta sosta: Kyle of Lochalsh, villaggio di pescatori dominato dalla sagoma a dorso d’asino del ponte che porta sull’isola di Skye. Ceniamo, davvero bene, nel ristorante gestito da una simpatica signora olandese. In serata raggiungiamo, poco fuori Kyle, un B&B con vista. Con con vista su un’isoletta popolata di foche, con vista sull’isola di Skye sormontata da nubi nere e con vista… del gestore su di noi (nel senso che tramite uno spioncino ci sbircia mentre giochiamo a queen in salotto… no comment). (… continua)