Elezioni: i primi risultati al Senato

Michele Pinto ci ha voluto mostrare cosa significa, in pratica, votare con le liste bloccate.

Legge elettorale alla mano, un occhio ai risultati delle ultime elezioni politiche e una molletta sul naso (immagino), Michele s’è preso la briga di calcolare chi sarà “eletto” il prossimo 13 aprile. Ha fatto i conti per il Senato, dove la cosa è più semplice essendoci un premio di maggioranza su base regionale.
Ne è venuto fuori questo: al 99%, cioè salvo improbabilissimi colpi di scena, già sappiamo chi siederà sui banchi del Senato per la regione Marche. Lo sappiamo ora, ad un mese dal voto.

Qualche domanda, come diceva quello, sorge spontanea.
Che senso ha, per questi signori nominati, fare la campagna elettorale? E soprattutto: quali impegni si sentiranno in dovere di prendere pubblicamente con gli elettori, visto che saranno eletti a prescindere dal gradimento degli elettori?
Eletti a prescindere, ma non a nome mio, ovviamente.

La scheda puzza? Non mollare!

Quando di fronte all’“alternativa” DC-PCI, Indro Montanelli suggeriva di votare turandosi il naso, forse nemmeno lui poteva immaginare a quale punto di sfascio saremmo arrivati in questi tempi che non a lui ma a noi tocca vivere.
Di democratico è rimasto solo il diritto di voto: il formale diritto di fare un segno su una scheda.
Tutto il resto è negato. Leggi tutto “La scheda puzza? Non mollare!”

Democrazia è partecipazione?

«Siete voi, sì, soltanto voi, i colpevoli, siete voi, sì, che ignominiosamente avete disertato dal concerto nazionale per seguire il cammino contorto della sovversione, della indisciplina, della più perversa e diabolica sfida al potere legittimo dello Stato di cui si abbia memoria in tutta la storia delle nazioni.»
(José Saramago, “Saggio sulla lucidità”, 2004)

In questo romanzo, Saramago immagina che alle elezioni di un paese democratico gli elettori votino in massa scheda bianca.
Un diluvio di schede bianche che spiazza il potere: prima lo stupore e lo scandalo, poi l’indignazione ed infine una reazione autoritaria, lo stato d’assedio e la repressione. Il governo non trova di meglio che accusare gli elettori di essere dei rivoluzionari anarcoidi.
La politica, sostenuta da una stampa servizievole quando non addirittura complice, non s’interroga su se stessa, non si fa domande sui motivi veri per cui la gente, votando scheda bianca, ha voluto comunicare la sfiducia verso qualsiasi schieramento politico: centro, destra o sinistra. Si autodifende con lucido cinismo, criminalizzando quello che in un regime democratico è un gesto legale: il voto libero e segreto. Leggi tutto “Democrazia è partecipazione?”

Raccomandati e raccomandanti

Vorrei esprimere il mio sdegno più assoluto a riguardo del “nuovo”, o per meglio dire vecchio e scellerato, metodo di scelta degli scrutatori di seggio che verrà adottato durante le prossime elezioni politiche: ritengo che siamo ritornati, grazie a chi ha legiferato questa scempia legge elettorale, al Medioevo politico.

Mentre negli ultimi anni sostanzialmente i potenziali scrutatori venivano sorteggiati tra gli iscritti ad una lista, ora il ns. bel Governo ha deciso che a scegliere dovranno essere le commissioni elettorali a loro completa discrezione (RACCOMANDAZIONI).

Ora mi chiedo: chi pensate entrerà, in primis, a far parte di questi “eletti”?
Risposta: In primis persone che saranno quanto meno “vicino” (per dire un eufemismo) ai partiti!

Nel caso in cui ci fossero schede dubbie come pensate che tali scrutatori si comporteranno?
Risposta: Ragionevolmente favorendo la loro parte politica o quanto meno coloro che hanno favorito il loro inserimento come scrutatore di seggio!!!

Dov’è finito il senso di trasparenza?
Risposta: Il Governo pensa che la trasparenza sia sacrificabile in favore degli interessi dei partiti!

Diritto di astensione o coda di paglia?

«Sulla vita non si vota» sostengono i comitati per l’astensione ai prossimi referendum, tra cui Scienza & Vita.
Ma la regola – pare di capire – vale da poco tempo e soprattutto ad intermittenza: ai tempi del referendum sull’aborto (promosso da loro), sulla vita si poté votare eccome!

Evidentemente, all’epoca non esistevano i gravi pericoli di oggi:
– la materia è difficile (chi decide il livello di difficoltà di un quesito dello Stato italiano? Loro? Il cardinale Ruini?);
– la gente non capisce (spesso si vuole che la gente non capisca);
– il tema coinvolge una ristretta minoranza (è poi così vero?);
– su certe questioni non si può decidere con un sì e con un no (e perché no?);
– i referendum sono troppi, in Italia si abusa dell’istituto referendario (in Svizzera e negli Stati Uniti si votano decine di referendum ogni anno, apparentemente senza rischi per la democrazia);
– si spacca il Paese (dove sta scritto che il Paese non possa discutere e magari dividersi su temi importanti?).

Il pericolo, per loro, è un altro. La campagna astensionista si basa su un solo pilastro: la consapevolezza che i SI sono largamente maggioritari nel Paese. L’unico modo per non toccare la legge, dunque, è impedire la conta dei voti. Il resto sono bizantinismi ed esercizi da azzeccagarbugli. Come ha detto il costituzionalista cattolico Stefano Ceccanti, «chi ha approvato la legge sia in Parlamento che fuori, dovrebbe difenderla votando NO: se è stato fatto un buon lavoro, il consenso sociale è assicurato. Se si astiene, significa che sa di essere in minoranza. È un’ammissione di colpa».
Non so se si tratti di colpa, ma di sicuro è in mala fede chi cerca di ammantare la scelta astensionista di nobili significati, giustificazioni filosofiche e teologiche.
Personalità di spicco, da Pera e Casini per finire a Rutelli, hanno dichiarato che non andranno a votare e difeso la scelta dell’astensione definendola “legittima”. E chi ha mai sostenuto il contrario? Anche se nessuno nega la legittimità dell’astensione, vale la pena fare alcune osservazioni sulla credibilità di chi la predica.

1. Astensione ad intermittenza. Come mai non ci sono appelli per l’astensione alle elezioni politiche? Perché, quando si tratta di poltrone e rimborsi elettorali, bisogna fare una scelta di campo e andare compatti alle urne? E si sarebbe ugualmente caldeggiata l’astensione se i referendum si fossero tenuti insieme alle elezioni regionali?

2. Tutti abili e arruolati. Qual è la quota di astensione “fisiologica” in Italia negli ultimi anni? Una stima può venire dai referendum dell’11 giugno 1995 (privatizzazione della RAI, trattenute sindacali, pubblicità televisiva, ecc.): quella infatti fu l’ultima volta che non scattò il meccanismo del non-voto = voto, i NO alle modifiche delle leggi si esplicitarono nelle urne e non finirono mascherati dietro le astensioni. Ebbene, gli astenuti furono circa il 43%, poco meno della metà degli elettori.
C’è da aspettarsi anche ora una percentuale di votanti attorno al 50%, per cui chi invita a disertare le urne parte con un vantaggio “involontario” di almeno 2/5 degli elettori. Visto che la legge prevede il quorum, il vantaggio è sacrosanto, ma possiamo ritenerlo rappresentativo dell’opinione pubblica? Con che diritto si arruola tra i sostenitori della legge quel 40% di indifferenti, a qualunque titolo disinteressati ai quesiti? Se il quorum dovesse saltare, credo che sarebbe indecente e furbesco appropriarsi della “vittoria” a nome della “maggioranza” degli italiani.

3. Qual è il quorum? Secondo il ministro dell’Interno Pisanu gli elettori italiani residenti all’estero sono circa 3 milioni e 800 mila (iscritti all’A.I.R.E.) ma le anagrafi consolari ne contano un 40% in meno. C’è quindi più di un milione di elettori morti o dispersi che saranno conteggiati nel quorum. Nei giorni scorsi s’è venuto anche a sapere che i militari italiani in missione all’estero non potranno votare per presunti motivi logistici. Non risulta che il ministro Tremaglia, che a suo tempo si commosse quando fu approvata la legge per il voto agli italiani all’estero, abbia le lacrime agli occhi per ciò che sta succedendo oggi.

4. Astensione in nomine patris. Plateale, di stampo quasi militare, è lo schieramento delle gerarchie ecclesiastiche. Lungi da me negare ai vescovi la libera manifestazione del pensiero, o la facoltà di svolgere la missione pastorale, educativa e di evangelizzazione: sarebbe da pazzi solo pensare cose del genere. Dico solo che non spetta alla Chiesa né alla CEI entrare nei meccanismi politici e legislativi dello Stato italiano, e mettere il naso nei dettagli tecnici del voto referendario, prescrivendo agli elettori il comportamento da tenere: se votare, come votare, o se andare al mare.
Illuminanti le parole di Guido Ceronetti su “La Stampa” del 29 maggio: «Predicare l’astensione […] tende a modificare subdolamente il gene della democrazia, alla quale se togli il voto e la libertà di andare al seggio hai tolto quasi tutto, ne hai rinnegato l’essenza. […] Ci avviciniamo alla repubblica islamica iraniana: il potere civile stabilisce una regola, però se l’ayatollah vuole contrastarla la regola va in fumo.»

Non bastava il sacrosanto diritto: sono arrivati a teorizzare il dovere all’astensione per evitare una barbarie di stampo nazista, e definiscono l’andare a votare una «colpa gravissima». Su radio Maria c’è chi suggerisce ai fedeli, nel giorno del referendum, di recarsi «in chiese e santuari a pregare perché la Madonna interceda presso suo Figlio affinché il referendum fallisca».
Il 31 maggio monsignor Giuseppe Betori, segretario generale della CEI, ha avvertito che «i credenti che si recheranno a votare il 12 e 13 giugno disattendono le parole del Papa». Come ha fatto però notare su “Il Riformista” del 1 giugno Oscar Giannino (uno non sospettabile di sparare “cretinerie radicaleggianti”), mons. Betori ha dovuto riconoscere che nei confronti dei “disobbedienti” non verrà adottata alcuna sanzione canonica. E ci mancherebbe altro, visto che «l’immedesimazione tra embrione e persona che la CEI difende nella legge 40 non è materia di fede codificata da encicliche o dalla dottrina della Chiesa. Risale solo ad un “principio di precauzione”, per via del quale la Chiesa italiana identifica la nozione di persona in base a criteri fondati proprio su quel biologismo sino a ieri respinto come relativista in materia morale».
Monsignor Betori ha dovuto poi toccare un altro nervo scoperto: la linea astensionista non è mai stata sottoposta ad un libero dibattito nell’assemblea generale dei vescovi italiani. È stata teorizzata dal presidente Ruini nel Consiglio Episcopale del 17 gennaio scorso e poi suggellata da un semplice applauso l’altro giorno a Bari, alla presenza del Papa.
Resta da capire se, pur in assenza di sanzioni canoniche, i cattolici saranno davvero liberi di votare. Ad esempio, quale sarà la segretezza del voto di quegli ecclesiastici che vorranno recarsi alle urne, magari per votare no? E che libertà avranno gli insegnanti di religione e i cappellani militari (tutti revocabili dalla CEI, proprio per ragioni etiche), che potrebbero pagare la loro “disobbedienza” col posto di lavoro?

5. Indurre all’astensione è reato? Come mai nessun “dottore della legge” parla dell’esistenza di un paio di leggi che regolamentano l’esercizio dei diritti politici del cittadino?

  • Art. 98 del Testo Unico delle leggi elettorali, Titolo VII:
    «Il pubblico ufficiale, l’incaricato di un pubblico servizio, l’esercente di un servizio di pubblica necessità, il ministro di qualsiasi culto, chiunque investito di un pubblico potere o funzione civile o militare, abusando delle proprie attribuzioni e nell’esercizio di esse, si adopera
    – a costringere gli elettori a firmare una dichiarazione di presentazione di candidati o
    – a vincolare i suffragi degli elettori a favore od in pregiudizio di determinate liste o di determinati candidati o
    ad indurli all’astensione,
    è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da lire 600.000 a lire 4.000.000».
  • Art. 51 della legge 352/1970 (norme sui referendum):
    «Le disposizioni penali, contenute nel titolo VII del testo unico delle leggi per la elezione della Camera dei Deputati, si applicano anche con riferimento alle disposizioni della presente legge. Le sanzioni previste dagli articoli 96, 97 e 98 del suddetto testo unico si applicano anche quando i fatti negli articoli stessi contemplati riguardino le firme per richiesta di referendum o per proposte di leggi, o voti o astensioni di voto relativamente ai referendum disciplinati nei titoli I, II e III della presente legge.»

Non è che se ne parla poco perché, all’italica maniera, con gli avversari le leggi si applicano e con gli amici si interpretano?
Forse aveva ragione Flaiano. L’Italia è la patria del diritto. E del rovescio.
Il 12 e 13 giugno abbiamo un’ottima occasione per smentirlo.

Referendum senza segreto

Da La Stampa.it del 25 maggio 2005, di Massimo Gramellini.

« La fanno facile i francesi che domenica si esprimeranno sulla Costituzione Europea con una scelta secca fra «sì» e «no». Nel Paese dei furbi si è invece affermata la consuetudine che chi è favorevole alla norma oggetto di un referendum abrogativo non deve mettere la croce sul «no», ma restarsene a casa per farlo fallire. Succederà anche il 12 giugno, con i quesiti sulla fecondazione. Gli azzeccagarbugli replicano, offesi, che la loro è una scelta legittima. Vero, ma con tre ma.

Il primo, etico: sfuggire lo scontro diretto per aggregare al proprio carro quel 20% di astenuti cronici che latitano a ogni consultazione sarà una mossa scaltra, ma è un pessimo esempio di virtù civiche, oltre che un inno al machiavellismo più amorale.

Il secondo «ma» riguarda lo stravolgimento del pensiero dei Costituenti, che avevano richiesto la soglia minima del 50% dei votanti per neutralizzare quesiti di scarso interesse popolare, non per consegnare un’arma a chi vuol far fallire la consultazione proprio perché interessatissimo alle questioni in esame.

Il terzo «ma», il più grave, investe la segretezza del voto. Poichè i contrari vengono invitati a disertare le urne, chi si presenterà al seggio sarà di fatto identificato come un fautore del «sì», dal momento che anche nel caso in cui votasse «no», il suo gesto avrebbe l’effetto pratico di far salire il «quorum» e favorire così la vittoria dei referendari.

Nel Vangelo sta scritto: «Sia il vostro parlare sì sì, no no». A differenza della Cei, Gesù non contemplava l’astensione. »

A proposito di libertà dei cattolici…

L’8 marzo ho letto su Vivere Senigallia un intervento del prof. Gianfederico Tinti (responsabile cultura del coordinamento comunale Forza Italia) sulla libertà dei cattolici. Tinti sposa le posizioni della Curia senigalliese e del vescovo Mons. Orlandoni: bisogna rifiutare un «coinvolgimento diretto o indiretto del clero nelle questioni politiche, perché la missione della Chiesa riguarda la dimensione sociale, la concretezza delle situazioni di disagio, la vicinanza agli “ultimi”, l’aspetto caritativo dell’esistenza».

La Chiesa, continua Tinti, deve prendere «distanza dagli schieramenti in campo, perché al giorno d’oggi nulla sarebbe più disdicevole e controproducente di certo clero sindacalizzato e politicizzato, […] che tessa la trama del do ut des nel buio di qualche canonica; no, la scelta politica e amministrativa spetta al laicato, che, alla luce dei valori fondamentali cristiani […] opera le sue scelte in libertà di coscienza».

Vorrei fare alcune osservazioni semplici semplici.
Innanzitutto una curiosità: quelle frasi valgono solo per Senigallia oppure sono vere in generale? Perché delle due l’una: se ciò che vale per Senigallia non vale per l’Italia, si spieghi il perché; altrimenti ne deduco che il prof. Tinti non la pensa come le gerarchie vaticane e c’è da aspettarsi qualche sua dura critica verso di loro. Mi sembra, infatti, che nel nostro Paese l’andazzo non sia esattamente quello che il prof. Tinti dipinge nel suo articolo.

Un esempio recente.
Lo scorso 17 gennaio, a Bari, la Conferenza Episcopale Italiana, per bocca del suo presidente cardinale Camillo Ruini, ha ribadito la legittima e sacrosanta contrarietà alla modifica della legge 40/2004 sulla procreazione assistita; per i prossimi referendum la CEI ha invitato i cattolici ad «avvalersi di tutte le possibilità previste». A cosa si riferiva il cardinale? A chiarire il concetto, per chi ancora non lo avesse capito, ci ha pensato lo stesso Ruini il 7 marzo, con un’esplicita «indicazione di non partecipare al voto». «Non si tratta in alcun modo», spiega il prelato, «di una scelta di disimpegno, ma di opporsi nella maniera più forte ed efficace ai contenuti dei referendum e alla stessa applicazione dello strumento referendario in materie di tale complessità».

Passi pure la solita tiritera sul fatto che la materia è troppo complicata per i referendum, il Paese si spacca, la gente non capisce. La storia dimostra (ad esempio col divorzio) che quando la gente è stata messa in condizione di decidere non solo ha capito ma ha votato con libertà di coscienza, laicamente. Il Paese non si è spaccato, e soprattutto i cattolici hanno saputo distinguere tra le proprie convinzioni religiose e le leggi dello Stato. Per inciso, la complessità o la semplicità di una materia la decide Ruini?
Non m’interessa neppure discutere se sia giusto o sbagliato non andare a votare. Il discorso ci porterebbe lontano: bisognerebbe capire come mai l’astensione ai referendum è legittima – e lo deve essere, ovviamente – però poi alle elezioni, quando si tratta di poltrone e rimborsi elettorali, bisogna fare una “scelta di campo” e correre tutti alle urne. Ma lasciamo stare.
Rinuncio anche ad entrare nel merito dei 4 referendum sulla procreazione assistita, che voteremo in primavera. Si tratta di questioni di coscienza che afferiscono alla Vita e alle vite concrete di milioni di persone. Sperando che l’informazione sia adeguata, ognuno farà la propria riflessione e sceglierà.

Per il momento, mi interessa “solo” una questione di forma. D’altra parte, cosa sono la legge e la legalità, se non anche e innanzitutto forma?
L’articolo 2 del Concordato Lateranense dice che «la Repubblica italiana riconosce alla Chiesa cattolica la piena libertà di svolgere la sua missione pastorale, educativa e caritativa, di evangelizzazione e di santificazione». Queste e non altre sono le materie di intervento riconosciute alla Chiesa e ai suoi organi.
Con ciò non si sta togliendo alla Chiesa il diritto di diffondere i precetti della morale cattolica; non la si vuole privare della facoltà di sostenere che l’embrione è una persona e in quanto tale portatore di diritti; tanto meno si nega ai cattolici la libera manifestazione del pensiero. Sarebbe da pazzi solo pensare cose del genere. Qui si sta dicendo che non spetta alla Chiesa né alla CEI entrare nei meccanismi politici e legislativi dello Stato italiano, e mettere il naso nei dettagli tecnici del voto referendario, prescrivendo agli elettori il comportamento da tenere: se votare, come votare, o se andare al mare.
Prof. Tinti, tutto ciò non le pare un «coinvolgimento diretto o indiretto del clero nelle questioni politiche»? Quella che Lei chiamerebbe «distanza dagli schieramenti in campo» a me sembra piuttosto una militanza esplicita e faziosa.
In un altro paese, un paese con un minimo di coscienza laica, non ci avrebbero nemmeno provato. Si sarebbero perlomeno alzate delle voci, l’opinione pubblica se ne sarebbe accorta e indignata, molti avrebbero fatto notare l’indebita ingerenza. Il Governo avrebbe inviato una nota formale di protesta al segretario di Stato Vaticano.
Invece niente, tranne qualche voce isolata sui quotidiani. Evidentemente oltre Tevere sanno di potersi permettere queste uscite, sanno che gli andrà bene, che nessuno gli chiederà conto di nulla. Ma se lo fanno è anche perché hanno paura: tanta è la loro fiducia nell’unità dell’elettorato cattolico che temono persino di farlo esprimere.

Nota: Quest’articolo è stato anche pubblicato il 10/03/2005 su Vivere Senigallia.