Diritto di astensione o coda di paglia?

«Sulla vita non si vota» sostengono i comitati per l’astensione ai prossimi referendum, tra cui Scienza & Vita.
Ma la regola – pare di capire – vale da poco tempo e soprattutto ad intermittenza: ai tempi del referendum sull’aborto (promosso da loro), sulla vita si poté votare eccome!

Evidentemente, all’epoca non esistevano i gravi pericoli di oggi:
– la materia è difficile (chi decide il livello di difficoltà di un quesito dello Stato italiano? Loro? Il cardinale Ruini?);
– la gente non capisce (spesso si vuole che la gente non capisca);
– il tema coinvolge una ristretta minoranza (è poi così vero?);
– su certe questioni non si può decidere con un sì e con un no (e perché no?);
– i referendum sono troppi, in Italia si abusa dell’istituto referendario (in Svizzera e negli Stati Uniti si votano decine di referendum ogni anno, apparentemente senza rischi per la democrazia);
– si spacca il Paese (dove sta scritto che il Paese non possa discutere e magari dividersi su temi importanti?).

Il pericolo, per loro, è un altro. La campagna astensionista si basa su un solo pilastro: la consapevolezza che i SI sono largamente maggioritari nel Paese. L’unico modo per non toccare la legge, dunque, è impedire la conta dei voti. Il resto sono bizantinismi ed esercizi da azzeccagarbugli. Come ha detto il costituzionalista cattolico Stefano Ceccanti, «chi ha approvato la legge sia in Parlamento che fuori, dovrebbe difenderla votando NO: se è stato fatto un buon lavoro, il consenso sociale è assicurato. Se si astiene, significa che sa di essere in minoranza. È un’ammissione di colpa».
Non so se si tratti di colpa, ma di sicuro è in mala fede chi cerca di ammantare la scelta astensionista di nobili significati, giustificazioni filosofiche e teologiche.
Personalità di spicco, da Pera e Casini per finire a Rutelli, hanno dichiarato che non andranno a votare e difeso la scelta dell’astensione definendola “legittima”. E chi ha mai sostenuto il contrario? Anche se nessuno nega la legittimità dell’astensione, vale la pena fare alcune osservazioni sulla credibilità di chi la predica.

1. Astensione ad intermittenza. Come mai non ci sono appelli per l’astensione alle elezioni politiche? Perché, quando si tratta di poltrone e rimborsi elettorali, bisogna fare una scelta di campo e andare compatti alle urne? E si sarebbe ugualmente caldeggiata l’astensione se i referendum si fossero tenuti insieme alle elezioni regionali?

2. Tutti abili e arruolati. Qual è la quota di astensione “fisiologica” in Italia negli ultimi anni? Una stima può venire dai referendum dell’11 giugno 1995 (privatizzazione della RAI, trattenute sindacali, pubblicità televisiva, ecc.): quella infatti fu l’ultima volta che non scattò il meccanismo del non-voto = voto, i NO alle modifiche delle leggi si esplicitarono nelle urne e non finirono mascherati dietro le astensioni. Ebbene, gli astenuti furono circa il 43%, poco meno della metà degli elettori.
C’è da aspettarsi anche ora una percentuale di votanti attorno al 50%, per cui chi invita a disertare le urne parte con un vantaggio “involontario” di almeno 2/5 degli elettori. Visto che la legge prevede il quorum, il vantaggio è sacrosanto, ma possiamo ritenerlo rappresentativo dell’opinione pubblica? Con che diritto si arruola tra i sostenitori della legge quel 40% di indifferenti, a qualunque titolo disinteressati ai quesiti? Se il quorum dovesse saltare, credo che sarebbe indecente e furbesco appropriarsi della “vittoria” a nome della “maggioranza” degli italiani.

3. Qual è il quorum? Secondo il ministro dell’Interno Pisanu gli elettori italiani residenti all’estero sono circa 3 milioni e 800 mila (iscritti all’A.I.R.E.) ma le anagrafi consolari ne contano un 40% in meno. C’è quindi più di un milione di elettori morti o dispersi che saranno conteggiati nel quorum. Nei giorni scorsi s’è venuto anche a sapere che i militari italiani in missione all’estero non potranno votare per presunti motivi logistici. Non risulta che il ministro Tremaglia, che a suo tempo si commosse quando fu approvata la legge per il voto agli italiani all’estero, abbia le lacrime agli occhi per ciò che sta succedendo oggi.

4. Astensione in nomine patris. Plateale, di stampo quasi militare, è lo schieramento delle gerarchie ecclesiastiche. Lungi da me negare ai vescovi la libera manifestazione del pensiero, o la facoltà di svolgere la missione pastorale, educativa e di evangelizzazione: sarebbe da pazzi solo pensare cose del genere. Dico solo che non spetta alla Chiesa né alla CEI entrare nei meccanismi politici e legislativi dello Stato italiano, e mettere il naso nei dettagli tecnici del voto referendario, prescrivendo agli elettori il comportamento da tenere: se votare, come votare, o se andare al mare.
Illuminanti le parole di Guido Ceronetti su “La Stampa” del 29 maggio: «Predicare l’astensione […] tende a modificare subdolamente il gene della democrazia, alla quale se togli il voto e la libertà di andare al seggio hai tolto quasi tutto, ne hai rinnegato l’essenza. […] Ci avviciniamo alla repubblica islamica iraniana: il potere civile stabilisce una regola, però se l’ayatollah vuole contrastarla la regola va in fumo.»

Non bastava il sacrosanto diritto: sono arrivati a teorizzare il dovere all’astensione per evitare una barbarie di stampo nazista, e definiscono l’andare a votare una «colpa gravissima». Su radio Maria c’è chi suggerisce ai fedeli, nel giorno del referendum, di recarsi «in chiese e santuari a pregare perché la Madonna interceda presso suo Figlio affinché il referendum fallisca».
Il 31 maggio monsignor Giuseppe Betori, segretario generale della CEI, ha avvertito che «i credenti che si recheranno a votare il 12 e 13 giugno disattendono le parole del Papa». Come ha fatto però notare su “Il Riformista” del 1 giugno Oscar Giannino (uno non sospettabile di sparare “cretinerie radicaleggianti”), mons. Betori ha dovuto riconoscere che nei confronti dei “disobbedienti” non verrà adottata alcuna sanzione canonica. E ci mancherebbe altro, visto che «l’immedesimazione tra embrione e persona che la CEI difende nella legge 40 non è materia di fede codificata da encicliche o dalla dottrina della Chiesa. Risale solo ad un “principio di precauzione”, per via del quale la Chiesa italiana identifica la nozione di persona in base a criteri fondati proprio su quel biologismo sino a ieri respinto come relativista in materia morale».
Monsignor Betori ha dovuto poi toccare un altro nervo scoperto: la linea astensionista non è mai stata sottoposta ad un libero dibattito nell’assemblea generale dei vescovi italiani. È stata teorizzata dal presidente Ruini nel Consiglio Episcopale del 17 gennaio scorso e poi suggellata da un semplice applauso l’altro giorno a Bari, alla presenza del Papa.
Resta da capire se, pur in assenza di sanzioni canoniche, i cattolici saranno davvero liberi di votare. Ad esempio, quale sarà la segretezza del voto di quegli ecclesiastici che vorranno recarsi alle urne, magari per votare no? E che libertà avranno gli insegnanti di religione e i cappellani militari (tutti revocabili dalla CEI, proprio per ragioni etiche), che potrebbero pagare la loro “disobbedienza” col posto di lavoro?

5. Indurre all’astensione è reato? Come mai nessun “dottore della legge” parla dell’esistenza di un paio di leggi che regolamentano l’esercizio dei diritti politici del cittadino?

  • Art. 98 del Testo Unico delle leggi elettorali, Titolo VII:
    «Il pubblico ufficiale, l’incaricato di un pubblico servizio, l’esercente di un servizio di pubblica necessità, il ministro di qualsiasi culto, chiunque investito di un pubblico potere o funzione civile o militare, abusando delle proprie attribuzioni e nell’esercizio di esse, si adopera
    – a costringere gli elettori a firmare una dichiarazione di presentazione di candidati o
    – a vincolare i suffragi degli elettori a favore od in pregiudizio di determinate liste o di determinati candidati o
    ad indurli all’astensione,
    è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da lire 600.000 a lire 4.000.000».
  • Art. 51 della legge 352/1970 (norme sui referendum):
    «Le disposizioni penali, contenute nel titolo VII del testo unico delle leggi per la elezione della Camera dei Deputati, si applicano anche con riferimento alle disposizioni della presente legge. Le sanzioni previste dagli articoli 96, 97 e 98 del suddetto testo unico si applicano anche quando i fatti negli articoli stessi contemplati riguardino le firme per richiesta di referendum o per proposte di leggi, o voti o astensioni di voto relativamente ai referendum disciplinati nei titoli I, II e III della presente legge.»

Non è che se ne parla poco perché, all’italica maniera, con gli avversari le leggi si applicano e con gli amici si interpretano?
Forse aveva ragione Flaiano. L’Italia è la patria del diritto. E del rovescio.
Il 12 e 13 giugno abbiamo un’ottima occasione per smentirlo.

3 pensieri riguardo “Diritto di astensione o coda di paglia?”

  1. Caro Andrea, ho appena finito

    Caro Andrea,
    ho appena finito di leggere il testo relativo all’astensione al prossimo referendum.

    La legge prevede il quorum, così, come è possibile che il No oppure il Si siano il risultato del referendum, lo è anche la possibilità che il quorum non si raggiunga.

    Una cosa è non andare a votare per disinteresse e una cosa è non andare a votare dopo una seria disanima del problema.
    Nel mio caso sono a questo stadio, sto analizzando il problema.
    ciao e a presto!
    Matteo

  2. Leggo sempre con interesse Caro Andrea,
    Leggo sempre con molto interesse i tuoi articoli perché, pur non sempre condividendone i contenuti, ne apprezzo l’onestà intellettuale e la ricerca che c’è dietro ciascuno di essi.

    In particolare in questo articolo mi ha colpito la menzione al testo unico della legge elettorale. Non credevo che chi induce all’astensione fosse passibile di reato…
    E anche il riferimento alla discrepanza tra il numero di italiani residenti all’estero e quelli iscritti alle anagrafi consolari è un dato nuovo che non conoscevo.
    Sono d’accordo su alcuni punti quali:
    – la condanna di chi cerca di dare giustificazioni filosofiche-teologiche all’astensione: perché non dire che è il mezzo pratico più efficace? Mi sembra non ci sia nulla di cui vergognarsi ad ammetterlo…
    – la condanna dell’ingerenza della Chiesa sui meccanismi politico-legislativi dello stato italiano e nei dettagli tecnici del voto (senza per questo impedire alla Chiesa stessa di esprimere la propria opinione riguardo alla sostanza dei quesiti)
    – le esternazioni fuori luogo di taluni monsignori (per quanto segretari nazionali della CEI…) che vanno al di là della semplice missione pastorale

    Tuttavia voglio anche farti alcuni appunti su alcuni passi che non condivido e uno in particolare che non mi è proprio piaciuto.

    Come premessa voglio subito precisare che non andrò a votare per questioni logistiche; se fossi stato in Italia mi sarei probabilmente astenuto ugualmente in quanto lo avrei ritenuto il mezzo più efficace per un sostenitore (magari non per tutti e 4 i quesiti) del NO. E lo avrei fatto per mia convinzione, non per seguire il “suggerimento” di qualcuno.

    1) Quello che tu chiami un “…pilastro: la consapevolezza che i SI sono largamente maggioritari nel Paese” è un qualcosa che a mio avviso non puoi vendere come certezza. Non conosco i sondaggi, ma se il SI dovesse raggiungere diciamo il 40-45% avremmo comunque una maggioranza del 55-60% di italiani (chi vota NO, chi si astiene per sostenere il NO, chi si astiene per mancanza di interesse) che non può certo dirsi a favore del SI. Pertanto parlare di pilastri e di SI largamente maggioritari nel Paese (le urne magari mi smentiranno) mi sembra quantomeno esagerato.
    Se invece parli di SI largamente maggioritari non nel Paese ma tra i potenziali votanti (cioè escludendo quegli elettori che non vanno mai a votare), beh stavolta ti do ragione sul “maggioritari” (altrimenti non ci sarebbero state campagne per l’astensione) ma diciamo che il largamente è forse di troppo. La motivazione numerica è al punto seguente.
    2) Dici che i NO partono da un involontario vantaggio di 2/5 (40%) citando il referendum sulla RAI. Io ridurrei al 20-25% questo vantaggio perché questa è la percentuale di coloro che veramente non votano mai (alle politiche abbiamo circa il 75-80% di votanti). Che al referendum sulla RAI i non-votanti siano stati di più va a mio parere ricercato in molteplici ragioni (in parte desiderio di esprimere ugualmente un non-voto, in parte mancanza di interesse per quel referendum, altre motivazioni, etc…). Insomma, quando si vota per un qualcosa che davvero interessa, l’80% degli italiani va ad esprimere la propria opinione alle urne.
    3) Leggo dei tuoi timori quando ti chiedi se i cattolici saranno liberi di votare. Su questo devo purtroppo darti in parte ragione: credo che molte (ma non tutte) persone soprattutto di una certa età tendano a seguire le “direttive” che arrivano dall’alto, senza batter ciglio. Tuttavia posso rassicurarti: ci sono pure molti cattolici (giovani e non) e mi voglio inserire tra questi, che non hanno mai smesso di ragionare con la propria testa e in grado di prendere decisioni proprie.
    4) Infine il passo che non mi è proprio piaciuto. Perdonami, ma trovo davvero stonata la citazione di tale Ceronetti in cui si parla di repubblica iraniana e di ayatollah. Fortunatamente ancora non siamo in una teocrazia: mi risulta che in Italia a legiferare è il popolo (per democrazia diretta coi referendum o rappresentativa con il parlamento). La Chiesa potrà pure darci la sua opinione (e potrà pure farlo con abuso di potere passibile di denuncia per quel che ho scoperto dal tuo articolo), ma alla fine la “ics” sulla scheda ce la mettiamo noi.

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