Con la pubblicazione della lettera aperta sul piano Cervellati, si è conclamata una contraddizione che esiste da tempo e che si può riassumere nella seguente domanda: chi sono i giornalisti?
È ormai chiaro che anche a Senigallia c’è un certo movimento d’opinione, una massa critica di gente che conosce la città, la vive e la racconta. Si fa e fa domande. Ha voglia di mobilitarsi e trova il tempo per farlo, spontaneamente e gratuitamente.
Poi ci sono quelli che queste cose dovrebbero fare “per lavoro”: i giornalisti professionisti, iscritti all’Ordine, con tanto di tesserino. Dovrebbero raccontare loro i fatti della città, fare inchieste, andare alla ricerca delle fonti, fare al potere le domande scomode, rendersi interpreti della cosiddetta opinione pubblica.
Invece dormono. Un sonno profondo, interrotto solo per partecipare a qualche dibattito nel ruolo delle belle statuine, fare i moderatori muti o le interviste in ginocchio, scrivere gli articoli a novanta gradi.
Fatte le debite differenze, è come se un chirurgo, iscritto all’Ordine, se ne stesse tutto il giorno spaparanzato in poltrona e lasciasse entrare in sala operatoria l’ultimo studentello di medicina (magari bravo) al posto suo. Fossi in lui e avessi un minimo di dignità professionale, non uscirei di casa per la vergogna.
Lo stesso dicasi per i nostri giornalisti. Sulla stampa locale io non ho mai letto un’inchiesta, una presa di posizione, un lavoro di ricerca o d’indagine, insomma qualcosa che non fosse il copia-incolla di comunicati stampa o il resoconto di qualche fatto di cronaca nera.
Dovrebbe essere questo il lavoro del giornalista? Pubblicare le veline, compresi gli errori d’ortografia? Ingoiare tutto quello che gli si passa? Far da cassa di risonanza al potere?
Quasi sempre, di fronte a critiche di questo tipo, mi sento rispondere: “il nostro obiettivo sono i lettori: se la gente ci legge (o ci clicca) vuol dire che lavoriamo bene, e a noi basta questo”.
Magari il vostro obiettivo fossero i lettori, i quali vi chiedono a gran voce di fare il vostro mestiere. No: voi quando (tra)scrivete non pensate a chi legge, pensate solo a non disturbare il manovratore.
Ma se siete convinti che il metro debba essere solo la tiratura (o il numero di accessi), continuate così. Anzi, per aumentarli ancora vi suggerisco di aggiungere ad ogni articolo la seguente frase: “enlarge your penis”.
Vedrete che successi editoriali!
Non nascondo che prima di scrivere questo commento mi sono chiesto se qualcuno, magari con un sorriso beffardo, potrà dire:”Ecco il primo che ha abboccato. E’ l’effetto del titolo!”
Invece questa uscita noi dello staff di Popinga l’aspettavamo.Si, perché è ora, ora passata che anche in quest’angolo di provincia si discuta sulla qualità dell’informazione.
E’ ora che ci si confronti sui doveri e sulle responsabilità dei giornalisti e dei pubblicisti,che pomposamente figurano sulla “carta dei doveri”, ma che troppo spesso sembrano, se non calpestati, perlomeno trascurati nel lavoro di tutti i giorni.
Oggi però l’informazione non la fanno soltanto i giornalisti, ma con l’esplosione del fenomeno dei blog anche tantissima altra gente. Ed è anche qui che andrebbe posato uno sguardo attento in quanto il campionario offerto è tanto, ma tanto eterogeneo.
Effettivamente il titolo ha il suo effetto e mi son chiesto cosa ci facesse un post con quel titolo su popinga, e per prima cosa ho letto il nome dell’autore; così mi si è ricollegato il tutto, ovvero una vena a volte polemica ma azzeccata.
Che dire nel merito?
Il gioco di parole scrivere e tra-scrivere dice tutto; nessuno scrive, tutti trascrivono.
Mi viene il dubbio che, per giocare con le parole, più che di informazione dovremmo parlare di formazione delle masse, quelle masse poco attente e un po’ troppo credulone.
Ma finchè l’informazione è al servizio di qualcuno, chiunque esso sia, non aspettiamoci grande informazione.
Anche in questo settore, il giornalismo, noi italiani manchiamo di coraggio; mi risulta che negli altri paesi i giornalisti abbiano quello che deve avere un buon giornalista per fare il suo lavoro: la faccia tosta e le palle.
Caro Andrea,
condivido appieno il tuo pensiero.
Il mestiere di giornalista non è così semplice come sembra: non difendo la categoria, ma mi rendo conto che più di un’inchiesta seria potrebbe avere, come diretta conseguenza, la “scomparsa” più o meno istantanea del giornalista che l’ha realizzata (ad esempio perchè non in linea con il direttore) e qualche denuncia/querela all’editore che l’ha pubblicata.
I manovratori di turno possono avere una longa manus, e questo avviene sia a livello locale/regionale che sul piano nazionale.
Credo sia un problema legato in modo indissolubile alla scarsa libertà di stampa che esiste in Italia oramai da parecchi anni: i giornali e molte testate on-line sono di proprietà di personaggi (o di società) che orientano volutamente le informazioni in base a ciò che più è conveniente per quel momento storico.
Dico cose banali?
Sono pochi gli esempi di giornalisti “liberi” e “indipendenti”, di testate serie che pubblicano senza paura delle rimostranze del personaggio influente di turno…
Vere e proprie mosche bianche. E per fortuna che ogni tanto c’è qualche eccezione anche dalle nostre parti.
Tornando a livello locale, come fare per “stimolare” i nostri giornalisti e dar loro fiducia?
A Senigallia non esistono giornalisti, diciamo la verità.
Ti rispondo come editore anziché come giornalista.
Fare inchieste è costoso. Con lo stesso tempo di un’ichiesta si può fare un giornale per qualche giorno.
Se un giornalista fa un’inchiesta la fa per passione, non per lavoro. E andrebbe ringraziato.
Personalmente le inchieste, salvo qualche eccezione, non posso permettermele.
Quotidiani più solidi (economicamente) del mio hanno fatto scelte su cui non spetta a me esprimere un giudizio.
X Michele:
Se le inchieste non le fanno i giornalisti, chi le fa?
C’è in giro una strana concezione del giornalismo.
Se un giornalista fa una inchiesta, fa il suo lavoro, se non la fa, non è un giornalista ma una fotocopiatrice o un registratore!
E’ chiaro che mettere sul web un comunicato stampa richiede meno tempo che scrivere un articolo di proprio pugno o che è più facile farsi raccontare una storia, piuttosto che indagare la realtà.
Non parliamo poi delle interviste che si leggono sulla stampa locale: mai una domanda fuori posto, solo grandi leccate di culo.
In questo modo la stampa diventa veramente inutile.
Con questo non voglio criticare VS, ma solo ricordare a tutti i “giornalisti” che gli spunti per fare qualche articolo interessante ci sono, come dimostra, nel suo piccolo, anche Popinga.
Lo so, hai ragione, concordo con te.
Il problema però non è dei giornalisti, ma di noi editori.