A sinistra, a debita distanza, c’è quello che ha vinto il Nobel per la medicina con la ricerca sulle cellule staminali embrionali. Per ora di topo, in futuro umane: è inutile prendersi in giro.
Lui in America è libero di farla, e l’ultraconservatore Bush – checché ne dica qualcuno – mai si sognerebbe di vietarla.
Il secondo è un esponente politico italiano, un legislatore, un capo-fazione, che s’è battuto in campagna referendaria affinché la ricerca sulle staminali embrionali umane fosse vietata.
La terza è una scienziata e senatrice italiana, militante nel partito del secondo. Per lei “sulla vita non si vota”, lei è per “la buona scienza alleata dell’uomo” (come se ci fosse anche la cattiva scienza). Ultimamente la signora è impegnata in arrampicate sugli specchi.
L’ultimo è il direttore del primo tiggì del servizio pubblico, e si ispira al giornalismo anglosassone. Ieri sera la notizia del Nobel era perfetta: la guerra, l’infanzia disagiata in Italia, l’emigrante con le valigie di cartone, il sangue italiano, l’orgoglio nazionale, gli spaghetti, il mandolino e tutto il resto. Mancava solo un particolare: in Italia ricerche del genere sono emarginate e senza fondi, e le prospettive che esse aprono sono semplicemente proibite.