Cercherò in primo luogo di chiarire a me stesso perché una domanda come quella di Popinga sui manifesti di Mezzacanaja mi sia parsa istintivamente antipatica. Il motivo potrebbe essere questo: è una domanda chiusa. Ammette due sole risposte: o esecrare l’illegalità dei manifesti (e ne consegue il necessario accodamento a una campagna che è già in corso); o difendere / giustificare / tollerare l’illegalità (il che associerebbe chi risponde a una categoria che mette sulla stessa graticola i grandi evasori e chi, appunto sfugge alle norme dell’affissione pubblica). Tertium non datur.
Lo stesso blocco retorico viene criticato dai linguisti ad esempio nel titolo dei movimenti “pro-life”: chi non la pensa come loro viene automaticamente etichettato come “against life”. DEVI prendere posizione: o con noi o contro di noi. Il bipolarismo sarà pure un buon sistema rappresentativo, ma il bipolarismo culturale ha qualcosa di manicheo che mi pare veramente insopportabile. E anche nel caso presente una sintesi dicotomica in avvio di discussione non mi è parsa davvero incoraggiante. Per questo non volevo dirne niente: a una non-domanda posso solo rispondere con una non-risposta.
E scuseranno gli amici di Popinga se, proprio mentre emergono faticose ammissioni circa il ruolo esercitato da alcuni tutori dell’ordine nei pestaggi di Genova, la mia attenzione viene un po’ distolta dall’illegalità dei manifesti del Mezzacanaja. In ogni modo, dal momento che accetto di entrare nel discorso, sarà giusto che dica che l’illegalità dei manifesti mi pare da mettere in relazione con lo stile dell’antagonismo libertario di ascendenza anarchica (“nostra patria è il mondo intero, nostra legge la libertà”). Si tratta di una pianta che proprio dalle nostre parti attecchì molto bene in tempi passati, e che meritò grande stima per la rettitudine e la determinazione dei suoi aderenti.
Eppure, nonostante questo, gli anarchici che oggi vengono ancora celebrati non sono i “tirannicidi” che spararono al re d’Italia Umberto I, a Sadi Carnot e al presidente Mc Kinley: sono invece quelli che furono vittima di ingiuste accuse e di illegittimità dei poteri costituiti. Sono i Sacco e Vanzetti; sono i Francisco Ferrer (a proposito, compagni libertari e cittadini tutti: tra due anni è il centenario del sacrificio di questo grande educatore. Non dimentichiamolo!).
Rammento questi particolari per poter affermare con prove che, per quanto possiamo sforzarci, noi non riusciremo mai a prevalere sul terreno della illegalità nei confronti di chi ha in mano i tre classici poteri di Montesquieu. In particolare in Italia la battaglia per la legalità è molto più dura ed eversiva rispetto a quella per la conquista di spazi liberati e plages sauvages, e questo anche Mezzacanaja lo può dire. Io sono convinto che l’Italia avrebbe grandi vantaggi dal recupero di una cultura della legalità: per convinzione, però, prima che per coercizione. Non foss’altro che per questo, preferisco attenermi al principio di responsabilità: legalità o disobbedienza civile.
Ciò detto, ci sono ampie zone di confine tra legalità e tolleranza: alcune riprovevoli, altre poco significative o altre addirittura accettabili e quasi lodevoli. A quanto pare, infatti, l’atteggiamento di tolleranza della illegalità da parte delle autorità è molto diffuso. Escludiamo a priori da queste considerazioni le forme di tolleranza che confinano con la connivenza. Consideriamo invece quelle che sussistono a partire dalla copertura delle certificazioni di malattia contemporaneamente contratta dai dipendenti del San Filippo Neri, fino al costante mancato rispetto della legge regionale che proibisce le potature con lame rotanti, voluta da Gianluigi Mazzufferi.
In mezzo si aprono ampie zone in cui si ammettono di fatto realtà come quella della prostituzione, dei sans papier (che ogni giorno incontro nelle piazze), dell’andare sul cinquantino in due (tanto che l’hanno dovuto omologare), delle appropriazioni di parti del patrimonio pubblico da parte di privati, del costante mancato rispetto del reticolo delle acque dolci, delle minacce berlusconiane di fare lo sciopero fiscale e di mille altre cose che stanno in un elenco che non finirebbe più. Questo tipo di tolleranza renderà certamente conto di una realtà che sfugge al controlli e all’efficacia delle leggi, ma non è di quelle che determinano il progresso di un paese.
Altre zone grigie sono di proposito mantenute. Quella dei graffitari per esempio. Quella degli stranieri che stanno male, ai quali è garantito l’anonimato nelle cure mediche quando non siano in regola. Non si può lasciar morire una persona perché non è in regola. Qualche genere di tolleranza della illegalità sarà pure riprovevole sotto il profilo civile e giuridico, ma diventa profondamente umano e vorrei aggiungere anche cristiano per chi faccia riferimento a quel genere di valori. Inutile dire che io non ho mai denunciato chi mi vende gli accendini per campare, e che mai lo farò.
In quanto all’atteggiamento di tolleranza che spesso le autorità mantengono nei confronti dei centri sociali autonomi e dei cosiddetti no-global, potrebbe essere d’interesse leggere cosa ne dice Amartya Sen, che non è certo un anarcocomunista, in “Globalizzazione e libertà”:
Il nostro è un mondo di tremende privazioni e disuguaglianze sconvolgernti. Per interpretare il diffuso scetticismo, e perfino la tolleranza dell’opinione pubblica nei confronti delle proteste cosiddette antiglobalizzazione – nonostante siano spesso furiose, esagitate e talvolta anche violente – dobbiamo aver presente questo contrasto sostanziale.
“Un simile contrasto giustifica anche il costume di attaccare sul muro manifesti abusivi?” ci potremmo chiedere. Chiedetevelo pure. Ma io preferisco affrontare la più ampia realtà delle cose. Se Popinga non condivide gli interessi culturali e l’impegno politico di Mezzacanaja, a parer mio farebbe meglio a parlare di questo, piuttosto che soffermarsi a guardare se nel manifesto c’è il bollo. A quello penseranno se mai i vigili urbani.
Secondo me in Italia c’è fin troppa tolleranza verso l’illegalità tanto che non si capisce neppure che cosa sia legale e cosa sia illegale!
Al Sud viene tollerato il contrabbando perché si dice sia l’unica fonte di reddito di molte famiglie.
In alcune parti del paese nessun cittadino paga l’acqua, o la nettezza urbana o le imposte comunali perché il sindaco non fa mandare le bollette per farsi rieleggere ed intanto i debiti del suo comune li paga l’intera nazione dei cretini, i quali pagano tutte le tasse per tutti i servizi.
Il lavoro nero è praticato in tutto lo stivale: al Sud gli extra-comunitari vengono fatti lavorare nei campi come dei novelli schiavi, ma qualche “tollerante” dice che è meglio che lavorino così piuttosto che morire di fame.
Al Nord le cose non vanno poi tanto meglio: io stesso ho lavorato per tanti anni in nero e nel settore alberghiero e del commercio questa pratica è diffusa ed ampiamente tollerata.
Una forma di precariato che è in vigore da ben prima della riforma “Biagi” e che nella tolleranza diffusa per l’illegalità ha attecchito profondamente in realtà come quella senigalliese.
L’evasione fiscale è tollerata ed anzi auspicata anche da eminenti politici.
L’abusivismo edilizio è fiorente in molte parti della penisola ed è anzi incentivato dai numerosi condoni.
Nella dicotomia tra tolleranza dell’illegalità e rispetto della legalità, la bilancia pende nettamente a favore della prima e cercare un riequilibrio non significa proporre un regime di “tolleranza zero” alla Rudolph Giuliani, ma solo cercare di ridare importanza ai “fessi” che rispettano la legge, contro i tanti “furbi” che fanno i loro comodi nell’indifferenza generalizzata e qualche volta anche nel plauso collettivo.
Il paladino di questo modo di pensare è proprio il sindaco di Bologna, l’ex segretario della CGIL, Sergio Cofferati.
Egli ha capito che il rispetto delle regole e della legge non va contro la solidarietà o la tolleranza verso i dissenzienti, ma al contrario è un prerequisito fondamentale per poter fare accettare questi valori a tutta la cittadinanza senza creare paure e conflitti.
Se c’è un problema della casa, non si può risolverlo occupando gli appartamenti sfitti a meno che non si voglia abolire la proprietà privata e ritornare ai bei tempi dell’URSS, dove due famiglie vivevano in un bilocale in quei bei palazzoni dell’edilizia sovietica.
La disobbedienza civile e non violenta ci è stata insegnata in modo particolare da Gandhi e da Martin Luther King: questi signori violavano delle leggi ritenute ingiuste, ma si facevano arrestare e picchiare dalla polizia pur di dimostrare la ragione della loro lotta.
Invece il Mezza Canaja et similia, pretendono di violare la legge e di mantenere l’impunità:
-vendono birra senza licenza; qualcuno dice che è bello trovare una birra a 50 centesimi, ma se si va al LIDL o all’IPERCOOP o in qualsiasi altro negozio la birra la si trova lo stesso a 50 centesimi in maniera legale, pagando le tasse e rispettando le licenze.
Dico questo nonostante io sia per l’abolizione di licenze, ordini professionali e tutte gli altri lacci che limitano il libero mercato a danno esclusivo del consumatore.
-distribuiscono CD copiati
-occupano spazi privati col benestare del comune e del proprietario, il quale vorrà presto riscuotere dal sindaco la cambiale in bianco che sta maturando tollerando il MC.
-difendono le piazze dagli attacchi fascisti con metodi fascisti. In democrazia tutti sono liberi di manifestare e se qualcuno ha proposte eversive sono le autorità preposte a doverli fermare, non i bastoni del MC.
-affissioni illegali, che sono forse il minore dei mali, ma che si vanno ad aggiungere alle altre cose.
Insomma, non mi si venga a parlare di tolleranza quando ce n’è fin troppa!
Forse, per risolvere i problemi dell’Italia, sarebbe necessario un maggiore rispetto del valore democratico della legalità!
Interessantissimo tutto l’articolo di Badioli ma “affrontando la più ampia realtà delle cose”, come afferma nel suo ….postato, io partirei da un maggior rispetto della legalità da parte di tutti. Non allungo inutilmente il mio commento in quanto sovrapporrei le mie parole a quelle scritte da Gasparetti ma penso che se il mc voglia, coi suoi atteggiamenti, lanciare una provocazione contro il sistema (?) credo che sia ora di rientrare nei ranghi e di fare basta con le provocazioni. Il rischio è quello di essere sempre e solo…provocatori. Compito, questo, che leggendo i commenti alle loro varie “attività” riescono a svolgere in maniera egregia (ovviamente con “provocatori” intendevo dire un’altra cosa). Si snaturerebbe certo l’identità del mc, e anche se il suo art director non ne sarà felice, il risultato sarebbe apprezzato da molti, specialmente da quelli (me compreso) che non vogliono che a difendere Senigallia dai fascisti, siano altri fascisti.
Concordo con le parole di Gasparetti e di Paolo.
La questione non può essere banalizzata come si cerca di fare: “ma in fondo cosa vuoi che sia un manifesto abusivo con tutto quello che succede!”.
Facendo così, si aprono spazi preoccupanti perchè significa gettare la spugna pian piano e si rischia di degenerare.
La questione del rispetto della legalità è ben più ampia e complessa e non può essere banalizzata come spesso si cerca di fare.
Anche parlarne in un blog con qualche post è fuorviante… meglio parlarne di persona.
Non mi dilungo ma penso di poter esprimere qualche idea in merito, se non altro per gli studi che faccio.
Il problema ha fondamenti giuridici e sociologici ben precisi e che vi sia tolleranza in alcuni casi è un fatto fisiologico del sistema, necessario per la sua sopravvivenza (pensiamo a quella che per i reati si chiama cifra nera).
Altro è però, ripeto, semplificare tutto e dire che tanto son sciocchezze e dunque vanno tollerate.
Ci si avventerebbe in acque poco chiare e dai contorni inquietanti.
Sarebbe bello parlarne di persona.
Saluti
E’ certo un contributo interessante quello scritto da Leo, ma dico subito che per me è un testo difficile. Forse perché di Francisco Ferrer ne so quanto immagino sappia lui sulla biologia dei mixomiceti!
Per dare un parere che comunque ho, basato più sull’istinto (e sulle esperienze di vita) che sulla dottrina e sulla ragione, credo che i rapporti del vivere civile sono ben altra cosa delle pur lodevoli consuetudini cristiane. Un divieto di sosta è un divieto di sosta ed in un paese serio non ci sono eccezioni, come guarda caso avviene nella mia città, per assessori e maggiorenti, o anche – bontà loro – per gestanti e claudicanti.
Se le regole del vivere civile non vanno bene, cosa assai frequente peraltro, si possono cambiare. Con metodi democratici quasi sempre, ma assai spesso attraverso quella onerosa procedura che è la “disobbedienza civile”. Nel mio piccolo qualche volta ci ho provato. Ne accenno una per tutti ricordando che un tempo con i miei compagni lottavo in quanto la “RAI disinforma”. Decisi allora, forte dell’appoggio radicale, ma di fatto isolato in periferia, che andava fatto il passo. “Rai TV non ti pago più!” Quindi ho proceduto alla formale disdetta e per nove anni ho avuto l’ira di Dio di battaglie da combattere. Su tutti i fronti: dalla caserma della Guardia di Finanza alle aule del Tribunale di Torino, fino ad avere l’Ufficiale Giudiziario in casa, ma con qualche soddisfazione di principio. Ovviamente ciò è avvenuto nell’isolamento più assoluto di tanti amici e conoscenti che magari l’abbonamento RAI non lo hanno mai pagato!
Ricordo un altro esempio, caro Leo, forse più attinente alla vicenda delle affissioni abusive: un nostro comune amico, Carletto, diversi anni fa per aver appeso dei volantini su una siepe lungomare è finito di fronte al Pretore, sotto processo.Si è anche difeso da solo, senza avvocato! Perché allora tanto accanimento della macchina comunale contro un tipo che solo un giorno e solo una volta ha deciso di affiggere quattro banali foglietti?
La domanda a me offre una sola risposta.
In un sistema purtroppo malato come il nostro esistono sempre due pesi e due misure. Non saprei darne per certi i motivi, ma “a pensar male” spesso ci si avvicina al vero.
applausi
per Fibra?
Quello che avevo da dire l’ho già detto a suo tempo.