Il Paese in autodistruzione

Riporto un’illuminante lettera pubblicata oggi sulla rubrica Italians, curata da Beppe Severgnini sul Corriere on-line, che mostra con spietata lucidità e profonda amarezza la condizione dei giovani oggi in Italia.

Fuggito e contento

Caro Beppe,
qualche tempo fa ti scrissi privatamente per chiederti un consiglio: diventare o meno uno stomaco in fuga? Accettare o no il dottorato vinto a Toronto? La decisione era tosta, perché se da un lato significava dire di sì a un privilegio (tra borsa di studio e stipendio per insegnare, qui mi pagano sia per studiare che per lavorare, quindi alla fine guadagno molto di più di quanto abbia mai messo su in un anno da giornalista professionista freelance), dall’altro significava dire arrivederci a una passione: fare il giornalista, nonostante i premi nazionali vinti, il tesserino da professionista, le centinaia di articoli e i quattro libri pubblicati. Tu mi dicesti: ci vediamo in Canada. A distanza di 60 giorni, posso finalmente ringraziarti pubblicamente per il tuo consiglio.

La vita da «graduate student» in Canada è di certo molto intensa e impegnativa, ma anche ricca di soddisfazioni. Qui, tra biblioteche aperte sette giorni su sette con orari tipo dalle 9 alle 23 (ma sotto esami dalle 9 alle 3 del mattino; dentro ci trovi circa 14 milioni di volumi e ne puoi prendere in prestito cento in contemporanea per un mese), ufficio personale, cattedra universitaria, borse di studio, «fellowship» e costo della vita a circa un terzo di quello di Roma, sto scoprendo che avere 32 anni significa, per esempio, poter fare progetti, poter comprare una casa con il mutuo (i prezzi qui sono un quinto di quelli romani. Avete capito bene: un quinto (1/5), e soprattutto avere un orizzonte professionale. Il tutto in un Paese molto più accogliente, multiculturale, sorridente e prolifico degli Usa o dell’Italia. La carriera accademica all’estero sarà pure faticosa per certi aspetti, ma di certo non è come fare il vigile urbano – come mio nonno – o il precario a vita, come imposto dall’Italia alla mia annichilita generazione priva di spintarella.

Non sto a elencarti le delusioni economiche e morali raccolte in Italia nel campo accademico e in quello del giornalismo, né a raccontarti che aspetto da due anni il pagamento dei diritti d’autore del mio romanzo pubblicato dalla Pequod di Ancona. La lettera diventerebbe lunga e saprebbe, in alcune parti, di già sentito. Solo un consiglio a chi in Italia si sente sempre più fuori posto: considerate il Canada, non è neanche vero che faccia poi tutto questo freddo. Almeno non a Vancouver e a Toronto.

Sciltian Gastaldi, scrivimi@sciltiangastaldi.com

Hai scritto la Lettera Classica di “Italians”, caro SG. Gente che se ne va, delusa da un Paese di cui, in fondo, è innamorata. E scopre che non basta mangiar bene, bere meglio, frequentare gente bella e affabile, godersi la fantasia nell’aria, girare città deliziose: nella vita di un giovane uomo e donna ci sono altre cose. Come la possibilità di studiare serenamente, di progredire, di guadagnare e soprattutto di PROGETTARE.

E propria questa difficoltà di far progetti – l’ho detto e scritto mille volte, so che sto diventando noioso – è il grande problema dell’Italia di oggi. In Nordamerica – ci sono appena stato, anche a Toronto, dove abbia fatto la LIX Italians (c’eri? non mi sembra) – uno studente può chiedere un mutuo a una banca PERCHE’ STUDIA (e guadagnerà quindi meglio, in futuro). Provateci in Italia: vi ridono in faccia. Vestiti, auto, appartamenti, arrredamenti: i prezzi italiani ormai non hanno alcuna relazione con gli stipendi. Sì, anche quelli di ricercatore o di un professore universitario. C’è un’Italia-cicala – e spesso esentasse – che spende e spande (ho saputo di una richiesta di 25 mila euro per arredare la camera di un ragazzo, con cassettiere e seggiole da 500 euro: com’è possibile?). E un’altra, che viaggia con stipendi tra i mille e i 3 mila euro che insegue, e s’affanna, e mai riuscirà a comprare un appartamento, che costa nel semicentro di Milano 5 mila euro al metro quadro: cento metri quadri, fa mezzo milione. Chi riuscisse a metter via mille euro al mese – e non è poco, con certi stipendi – ci metterebbe 500 mesi, ovvero 41 anni e rotti. Ci avevate mai pensato? Io sì, e mi viene tristezza.
Non c’è dubbio: in Italia dobbiamo trovare una strada tra precariato e ipergarantismo (il primo produce poveri, il secondo pigri). E’ stretta, ma c’è.

Beppe Severgnini

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