Anche al turista più distratto cade l’occhio su questa gente armata, sulla loro “artiglieria”. Ragazzi e ragazze di poco più di vent’anni, vestiti come i loro coetanei e come noi, senza nemmeno un distintivo, una “stella da sceriffo”, ma con un vecchio fucile a tracolla ed un paio di caricatori legati alla bella e meglio sul calcio. Vediamo talvolta anche armi più moderne, però sempre armi lunghe, obsolete armi da guerra, e magari, a completare l’attrezzatura, una radio o un telefono accanto.
A noi che veniamo dall’Europa fa certo un po’ effetto vedere questi “attrezzi”, magari appoggiati sul pavimento della sala, sotto il tavolo, durante il pranzo, o ficcati a forza tra bagagli e zaini di un gruppo di giovani turisti o di giovanissimi studenti.
Anche in Italia si sanno diverse notizie su Israele, ma quando ti trovi in questa terra di persona, come è capitato a noi, vien subito la voglia di fermarsi e di chiedere. Chiedere ad una persona qualsiasi, prendendola a caso, certi che ti risponderà in inglese, in quanto sappiamo che a scuola si studiano tre lingue: l’ebraico, l’inglese e l’arabo.
Eccoci quindi con poche domande, molto improvvisate, alla buona, incuriositi soprattutto dalla giovane età di chi ti è di fronte. Sembra quasi che non si accorga di essere armato, mentre questo è quello che ci incuriosisce di più. Gli poniamo la questione dell’efficacia dei mezzi contro azioni terroristiche e per la sicurezza dei cittadini. Ci si domanda se una così diffusa presenza di questi pericolosi gingilli possa comportare per tutti i cittadini più rischi che vantaggi.
La curiosità però resta viva: apprendiamo immediatamente che i giovani armati sono ex militari (tre anni di ferma per tutti con un eccellente addestramento). Loro sono stati congedati da poco; hanno un anno sabatico e se vogliono possono svolgere un servizio retribuito, organizzato e gestito da una agenzia civile (una sorta di società addetta alla sicurezza ed alla vigilanza) che di fatto disloca queste persone, a guardia, o meglio come scorta di comitive, di giovani, di gruppi di turisti.
Noi abbiamo l’impressione che di certo siano una compagnia molto rassicurante. Non abbiamo ben compreso secondo quali criteri vengano distribuiti sul territorio, ma gli addetti a questa mansione, ci assicurano che la loro presenza è stata sempre molto efficace. Forse a ragione di una capillare distribuzione ed anche per un effetto rassicurante, “tranquillante”, che si può valutare immediatamente parlando con quanti sono accompagnati, che appaiono perfettamente a loro agio nel rapporto con chi li scorta.
Siamo in Israele, uno stato che dimostra dappertutto una vita davvero normale. L’aeroporto di Tel Aviv è all’apparenza meno militarizzato di quello di Verona; lo posso dire per esperienza diretta! Viaggiando, lungo certe strade ci sono i check-point, ma per noi turisti, con guida e bus ben identificati, il passaggio equivale solo ad un rallentamento della marcia. Magari se chiedi, come abbiamo fatto, una fermata, per poter parlare con il personale (ora in gran parte civile) ti fanno un gran sorriso e dicono che non si può. No, non si potrebbe nemmeno scattare delle foto, anche dall’interno del bus; però poi tutti le fanno lo stesso, forse per il solo gusto di trasgressione. Beh, almeno quanto alle riprese video e fotografiche questa è l’unica limitazione di posto, di soggetti che ci è stata evidenziata qui in Israele. Altro che nel nostro paese!