Da Senigallia al Monte Catria

Da Senigallia, che si trova sulla costa adriatica a Nord di Ancona, nelle giornate chiare e serene, guardano verso Ovest, tra il profilo della catena appenninica che ci appare variamente sfumato all’orizzonte, si può osservare la sagoma del Monte Catria col suo caratteristico “gibbo” dantesco (Alcuni cultori di studi danteschi sostengono che Dante fu anche a Senigallia, perché solo da qui è possibile vedere il Catria con il caratteristico “Gibbo”). Maestoso nella sua mole, per più mesi all’anno incappucciato di bianco, il nostro monte, alle spalle delle colline marchigiane, è tra gli altri di certo il più bello per i suoi interessanti aspetti geologici, per le molteplici attrattive botaniche e per tutta quella miriade di curiosità naturalistiche che è in grado di offrirci.

Mettiamoci dunque in viaggio e percorrendo la SS N. 16 (Adriatica) verso Nord per circa cinque chilometri attraversiamo il ponte sul fiume Cesano e voltiamo immediatamente a sinistra sulla strada che ci porterà verso San Lorenzo in Campo e Pergola.

Non a caso il nostro itinerario ha avuto inizio da Senigallia; infatti a noi sembra che questa ridente cittadina, famosa per la sua immensa spiaggia dalle sabbie finissime e vellutate, sia il naturale avampaese del gruppo del M. Catria in quanto vicinissima alla valle del Cesano che ora risaliamo e che è quella percorsa dall’omonimo fiume che nasce da versante Sud del nostro monte. Questa valle si presenta ampia e ricca di verde; le colline declinano dolcemente sia verso il mare che verso il fiume testimoniando così con la morbidezza delle loro forme, i tipi geologici presenti, cioè argille e sabbie del Pliocene; nei tratti in cui si riscontra una morfologia leggermente più aspra troviamo affioramenti di sabbie e arenarie debolmente cementate. Dopo quattro chilometri circa si sale su un evidentissimo e direi quasi didattico terrazzo fluviale; dopo poche decine di metri ci si immette sulla SS 424 proveniente da Marotta. Ai lati è possibile osservare i campi con le colture più caratteristiche della zona che oltre al grano e alle erbe foraggere tradizionali (medica, sulla, trifoglio) annoverano anche barbabietole, mais, cavolfiori ed ottimi vigneti; oggi si notano anche molte colture più moderne e specializzate quali il pomodoro, il pisello, il peperone, il girasole, la cipolla ed altre di questo genere. Dopo nove chilometri (sempre dal ponte su fiume Cesano) ci appare sul pendio delle colline che sono alla nostra sinistra un bosco artificiale a conifere e latifoglie con molti e grandissimi lecci; questo ha una estensione di circa dieci ettari ed è conosciuto come il bosco di Monterado poiché sorge ai piedi dell’omonimo paese noto soprattutto per la tradizionale a sagra della “porchetta” che ogni anno raccoglie qui, i primi giorni di maggio, gente da tutta la regione.

Ancora più avanti, sulla destra, Castelvecchio e poi Monteporzio; quest’ultimo toponimo ci ricorda come una volta tutte queste colline fossero ricoperte da estesi querceti e quindi anche… luogo di pascolo per i maiali. Dopo una trentina di chilometri incontriamo San Lorenzo in Campo. Dopo questo centro abbandoniamo i terreni del Pliocene che erano qui presenti soprattutto con le argille marnose e siltose, azzurre del Pliocene inferiore e medio ed entriamo nelle argille marnose ed arenarie del Miocene superiore, che sovrastano di poco la strada stessa, la quale corre pero sempre sulle alluvioni terrazzate del fiume. Prima di arrivare a Pergola, da cui distiamo ancora una decina di chilometri, incontriamo la caratteristica alternanza di calcari marnosi e marne della formazione dello “Schlier” e soprattutto del “Bisciaro” (il termine “bisciaro” ha avuto forse origine dal tipico aspetto degli strati calcarei nodulosi che simulano la sagoma di un rettile). Poco prima del bivio per Monterolo possiamo osservare, per quasi un chilometro, il primo affioramento di “Scaglia cinerea”, altra caratteristica formazione della serie marchigiana. Successivamente, poco prima di Pergola, la strada toccherà la formazione della Scaglia cinerea che in quel punto presenta tipiche alternanze di marne grigio-verdognole e rosso-vinate in cui non è troppo difficile rinvenire molte interessantissime “impronte problematiche”.

La località ora raggiunta, Pergola, è oggi poco conosciuta, fu fondata nel 1200 dagli Eugubini alla confluenza del Cinisco col Cesano, sui terrazzi alluvionali; godeva nel Medioevo di grande celebrità per la produzione e la lavorazione delle lane, che qui era fiorente.

A questo punto ci si presenta la possibilità di scegliere due percorsi: prendere la strada che conduce a Cagli e percorrerla fino a S. Savino dove si volta per Frontone (da qui ancora due chilometri di strada in terra battuta, ma con fondo agevole), oppure passare per Bellisio Solfare e Serra S. Abbondio per giungere fino a Frontone; chi volesse, da Bellisio Solfare può raggiungere con una piccola deviazione Percozzone e Cabernardi per raccogliere cristalli di zolfo nelle discariche delle miniere un tempo assai sfruttate. Pur essendo la prima strada proposta forse la più panoramica, in quanto ci consente di vedere il gruppo del Catria nella sua completezza, noi transiteremo per la seconda poiché ci permette l’attraversamento di zone più interessanti dal punto di vista geologico e perché consente, a coloro che lo volessero, di effettuare una sosta al Santuario della Madonna del Sasso, che sorge inerpicato su un dirupo scosceso, circa duecento metri prima del bivio per Serra S. Abbondio. Da qui la strada che corre ora con un tappeto asfaltato di ottima qualità, incide più o meno profondamente una anticlinale, mettendo in luce particolarmente una alternanza di calcari marnosi e marne della formazione della “Scaglia rossa”, che con varie, policrome ed elegantissime sfumature ci accompagnerà per un certo tratto.

Di fronte a noi, improvvisamente, su un cucuzzolo caratteristico ed inconfondibile, ci appare il Castello malatestiano di Frontone, altra apprezzata meta di gite ed escursioni… gastronomiche. Qui infatti si trovano le specialità più gustose a tipiche di tutta la zona, cioè il coniglio in porchetta, la crescia (una specie di piadina romagnola) col prosciutto e dell’eccellente agnello arrosto. Si continua oltre Frontone, verso Cagli, per un chilometro, fino alla frazione di Buonconsiglio dove si volta a sinistra di fronte alla chiesetta, per la stradina che ci condurrà fino al rifugio della Vernosa, a duecento metri dalla vetta. Abbandonate le case di Buonconsiglio la strada corre a fondovalle, parallela ad un torrentello le cui acque ci scendono incontro tenendosi sulla nostra sinistra.

Ad un certo punto arriviamo ad una caratteristica gola chiamata Stretto del Mandrale, il cui fianco sinistro è per la maggior parte dell’anno bagnato da uno stillicidio che consento lo sviluppo di feltri viscidi e compatti di Cianoficee; nelle nicchie e nei luoghi adiacenti prosperano moltissime felci dalle fronde delicate ed eleganti. Circa cinquanta metri prima dello stretto è possibile rinvenire, nel detrito di falda che si trova sulla destra, una interessantissima stazione di Drypis spinosa, una bellissima cariofillacea che attira l’attenzione dell’osservatore non solo per le sue foglie oltremodo pungenti, ma anche e soprattutto per il suo habitat d’avanguardia: infatti vive rigogliosa su questa grossolana breccia calcarea che tra l’altro è in continuo movimento. Questa è una specie di origine balcanica e ciò ha permesso ad alcuni ricercatori di fare interessantissimi studi sulle relazioni che intercorrono tra le flore appenniniche e quelle danubiano-carpatiche.

Continuiamo il percorso ed affrontiamo i primi tornanti che incidono i fianchi della montagna rendendo visibili gli strati di calcare biancastro a grana fine (calcare rupestre) in cui si possono osservate chiaramente gli effetti della microtettonica; nei giunti di stratificazione, e più precisamente nelle piccole cavità che qui si sono formate, e facile rinvenire molti piccoli cristalli di calcite, la cui raccolta è assai facile e divertente.

Sulle pendici più ripide della montagna s’intravedono delle macchie quasi nere sparse qua e là: sono i lecci che hanno resistito alla millenaria caccia dell’uomo e che con caparbietà sostengono questa terribile battaglia per la vita.

Gli aspetti vegetazionali sono qui i più disparati nelle diverse stagioni; in marzo i primi accenni della vita che riprende li dà il Corniolo (Cornus mas) che si ricopre di minuscoli fiori gialli prima ancora di inverdire. Subito dopo è possibile cogliere i colori delicatissimi degli amenti dei noccioli (Corylus avellana) che sono sparsi qua e la nella boscaglia. L’estate è un’esplosione di verde che gradualmente scema nella policromia indescrivibile del paesaggio autunnale. In mezzo alle querce incontriamo frequentemente carpini, aceri e frassini; tra i muschi che tappezzano le pareti più ripide ed umide si notano i magnifici esemplari di una bellissima Polipodiacea, Ceterach officinarum, la “Felce rugginosa”.

I faggi li incontriamo poco prima di raggiungere i prati di Valpiana che sono a quota 950 circa. Qui, stante la presenza di un opportuno ricovero, troviamo al pascolo molte mucche, alcuni cavalli ed i muli, collaboratori insostituibili dei boscaioli. Nel mese di maggio questa zona è ancora più bella del solito a causa di una splendida fioritura di candidi asfodeli.

Tra i faggi, per ancora un paio di chilometri rinveniamo abbondante l’Agrifoglio (Ilex aquifolium); nel sottobosco ci sono Daphne laureola, Scilla bifolia, Cardamine bulbifera, e talvolta anche una bellissima Papaveracea, Corydalis cava.

Abbiamo superato quota mille e percorriamo la strada che è stata tracciata sul fianco nord del Monte Acuto nel mezzo del bosco di faggio che qui è piuttosto giovane ma rigoglioso e vitale; ciò testimonia le adatte condizioni ecologiche presenti per questa specie. Sempre sul fianco dell’Acuto esiste un piccolo rifugio aperto a tutti e quindi anche affidato alla pubblica educazione; purtroppo stiamo costretti a lamentarci (e il discorso vale anche per il prossimo rifugio, quello della Vernosa) della maleducazione e della scorrettezza dei visitatori che lasciano qui in terra i resti dei loro festini e che imbrattano molto volentieri anche i muri di queste stanze. Proprio qui intorno al rifugio è facile la ricerca delle ammoniti liassiche e con un pò di fortuna e buona volontà se ne possono trovare degli esemplari interi e piuttosto belli. Sì continua a salire su questa strada che è di recente costruzione; come le altre (più nuove e più inutili) ha inferto con il suo tracciato una grave ferita alla montagna. Arriviamo ai primi prati; in questa zona si trovano le rocce più antiche, infatti sotto le cosiddette Balze della Porta c’è il “Calcare Massiccio”, formazione ben individuabile perché costituita da calcari, calcari dolomitici anche cristallini senza stratificazioni evidenti. In tutto il resto della zona c’è la formazione della “Pietra corniola”, costituita da calcari grigio-brunastri, ben stratificati, con all’interno eleganti e regolarissimi cristalli di pirite, noduli e lenti di selce grigia, ammoniti, brachiopodi ed echinidi.

La vetta del Catria, che si raggiunge a piedi dal rifugio della Vernosa in circa venti minuti, è costituita da calcare rupestre, i cui strati emergono abbastanza regolarmente in direzione S-W.

Sulla sella tra i due monti (Acuto e Catria) si osservano dei magnifici prati circondati dal ceduo di faggio in cui sono sparsi qua e là cespugli di questa specie che assumono qui forme elegantissime in seguito sia all’azione del vento sia come conseguenza delle morsicature inferte dal bestiame durante il pascolo (“meccanomorfosi”). È difficile dire quante sia il più bello tra gli spettacoli che ci vengono offerti dalle fioriture primaverili: all’inizio distese di crochi, poi la fantasmagoria dei colori delle viole e delle primule che for mano un tappeto continuo. Qua e là ogni tanto si osserva il volo festoso del Fringuello, del Cuculo, della Ghiandaia che rallegrano ancor di più il paesaggio. In questi luoghi fino a qualche decina di anni fa c’erano le aquile che nidificavano; il territorio era considerato come il più nordico raggiunto dal lupo; per la Coturnice, che dovrebbe essere la regina incontrastata di queste vette, dobbiamo dire che non è così frequente come ci si potrebbe aspettare. Nella zona ci sono oggi i cinghiali liberati qualche anno fa a titolo sperimentale dal Comitato della Caccia di Pesaro; essi sono divenuti numerosissimi ed anche molto dannosi perchè “rufolano” sui prati incidendo gravemente la cotica erbosa ed offrendo cosi la prima via d’attacco all’erosione. Ad un centinaio di metri dal rifugio arriva anche la strada che, dall’antica Abbazia di Santa Croce di Fonte Avellana, sale sul versante Sud-Est del Monte attraverso bellissimi boschi di faggio, seguendo un tracciato molto discutibile anche dal punto di vista tecnico. Scendendo di qui qualcuno potrà fermarsi per raccogliere un po’ di vischio (Viscum album) che cresce rigoglioso su alcuni faggi, e che, sempre verde com’è, si può notare molto più facilmente in inverno.

Dopo essersi ancora fermati in qualche prato per raccogliere Carlina acaulis var. caulescens (oggi tanto apprezzata per le composizioni di fiori secchi), arriviamo all’Abbazia che sorge ai piedi del monte, nel mezzo di un “catino” di detriti di falda quivi assai potenti; il luogo è bello paesisticamente e l’architettura della costruzione assai interessante: infatti vi si può ammirare un chiostro, una sala capitolare, un refettorio e l’antico scrittolo dove i monaci ricopiavano i testi classici; la chiesa è costituita da una navata con presbiterio sopraelevato che appoggia sulla cripta sottostante; l’abside ha forma circolare. Dal piazzale antistante il Monastero si può osservare un magnifico esemplare di Tasso (Taxus baccata) a testimonianza di come una volta questa specie crescesse abbondante nella zona; oggi è possibile rinvenire solo alcuni piccoli esemplari sparsi più in alto nel ceduo di faggio.

Seguendo la strada di fondo valle ci si porta rapidamente fino a Serra S. Abbondio, luogo in cui vi salutiamo e vi auguriamo un buon rientro alle vostre città; ci scusiamo con voi qualora vi avessimo fatto affaticare un po’ troppo, ma siamo sicuri che ricorderete sempre con piacere il Monte Catria.

(Ringrazio il dott. Francesco Corbetta ed il dott. Giulio Pisa per il prezioso aiuto e gli appassionati consigli che hanno contribuito ad una migliore stesura di questo lavoro).

Ora sono saliti all’altare! Non vi sembra troppo?

Manifesto sull’altare

Avevamo visto un po’ dappertutto nelle parrocchie e negli oratori, nelle sacrestie e nei circoli d’area o cattolici la ricca messe dei manifesti e degli opuscoli di Carlo Casini.
Che qualche buon prete fosse preso dall’entusiasmo fino al punto di esporli però su un altare, anzi su due altari nella medesima chiesa, questo a me sembrava davvero impossibile. Non lo avrei nemmeno immaginato!

Poi ieri, alla Messa domenicale ho fatto la sconcertante scoperta. Il primo impulso è stato quello di scrivere al Vescovo, poi di divulgare, senza alcun commento, questa fotografia.
Si l’ho scattata io, in una chiesa della Diocesi di Senigallia: è vera e non c’è alcun trucco.

Che su un altare di una chiesa cattolica oggi vi sia scritto, a carattere cubitali, ”SCEGLI DI NON ANDARE A VOTARE” confesso mi sembra davvero incredibile.

A proposito di OGM

Cari amici,
quando ho letto il pezzo sugli OGM mi sono balenate in mente diverse considerazioni, prima di tutti quella che avrei voluto dare un’occhiata alla bibliografia di riferimento. Accontentato quasi subito ho avuto una certa impressione accorgendomi che era dominante, se non esclusivo, un certo Autore, un solo nome… Tamino.

Io Tamino lo conosco bene, anzi lo conoscevo molto bene dai tempi lontani delle frequentazioni politiche e pertanto mi è passato in mente che su questa materia sarebbe stato meglio non andare a memoria, su nozioni che sono invecchiate ancor più della mia età ed ho scritto ad un giovane amico che si occupa di genetica, che ha avuto interessanti esperienze all’estero e che lavora in Italia, in ambiente universitario. Così lui mi ha girato via mail questo parere, quasi come uno sfogo (e lo comprendo bene!), aggiungendo alla fine:” Mi rendo conto che il mio e’ stato quasi uno sfogo notturno. Fanne cio’ che vuoi..”

Ecco quindi che alla richiesta di Marco ed Andrea, che avevano letto queste righe, non ho potuto dire di no. Anzi con piacere partecipo a questo dibattito perché le mie convinzioni sono anche più drastiche di quelle del giovane studioso.

Ragazzi oltre le scienze (che sono il mio terreno) studiate anche la storia, certo fate tesoro degli errori, ma per paura non restate ancorati nel porto senza mai prendere il largo. L’assoluta certezza dell’inesistenza dei rischi non cè mai per nessuno, in nessuna materia. Ogni passo della vita richiede decisioni e sofferenze. Lasciatevelo dire da chi – a ragione dell’età – ha sbagliato, ma anche avuto qualche soddisfazione.

Un saluto
Gianluigi Mazzufferi

Tamino e’ tristemente noto tra i genetisti agrari, in quanto portatore di un punto di vista “ideologico” sulle biotecnologie.
I pericoli che ci minacciano, apocalittici, secondo l’articolo, non sono secondo me concreti.

La questione della brevettabilità della materia vivente non piace neanche a me, ma gli investimenti (notevoli) per portare in campo una varieta’ coltivata con caratteristiche veramente buone devono pur essere compensati, altrimenti si ferma tutto, con buona pace di Tamino. Che cosa fa lui per la avitaminosi A nei paesi poveri? I soldi per il Golden rice li ha messi prevalentemente la fondazione Rockefeller, che ha scopi umanitari. Secondo me sono stati soldi spesi piuttosto bene.

Il Golden rice non risolve certo tutti i problemi, ma e’ un aiuto da affiancare al miglioramento della dieta che certamente deve essere realizzato. Le multinazionali che detengono i brevetti hanno accettato di non riscuotere royalties nei paesi poveri, ma solo in quelli ricchi. Potrykus, il leader del gruppo di ricerca, oggi in pensione, ha sviluppato riso arricchito di beta carotene (e anche di ferro) anche con altri metodi per aggirare vincoli di brevettazione.

Quello che mi sorprende e’ l’accanimento con cui Greenpeace e altri si oppongono all’introduzione di questo riso: cosa c’e’ da perderci? non si tratta mica di una sola varieta! saranno molte e molte varieta’ adattate ai diversi ambienti, ma tutte con questa nuova caratteristica, e chi non le vorra’ trovera’ anche le varietà non GM !!
Perche’ non mangiano riso integrale? Credo per le stesse ragioni per cui non ce lo mangiamo noi. Non credo che le multinazionali abbiano imposto la raffinazione del riso in tutto il mondo, questo fa veramente ridere. Così come la bassa qualità nutrizionale del riso della rivoluzione verde: questa e’ veramente grossa: Tamino forse vorrebbe tornare alle varietà locali antiche, che producevano una frazione di quello che producono le varietà moderne !! I grandi difensori della biodiversità hanno tutti la pancia piena. Perche’ milioni di agricoltori, anche a livelli di sussistenza, coltivano con soddisfazione piante GM resistenti ad insetti o a diserbanti ? Forse perche’ trattano meno (drastica diminuzione di intossicazioni da insetticidi tra gli agricoltori cinesi, drastica riduzione dei consumi di carburanti e forte del consumo di diserbanti in USA e altrove), producono e guadagnano di piu’ (anche considerando il maggior costo dei semi delle varietà GM, che comunque non sono le sole sul mercato!).

La realta’ e’ che senza le varietà moderne di cereali oggi ci sarebbe molta piu’ gente che soffre la fame, e le varietà GM vengono coltivate ogni anno di piu’ non certo soltanto perche’ le promuove Monsanto e i suoi amici, ma soprattutto perche’ gli agricoltori le vogliono coltivare perche’ gli conviene (vedi www.isaaa.org).

Ormai tutti sono d’accordo che l’aumento della produzione di cibo non potra’ essere sostenibile se realizzato mettendo a coltura nuove terre. Si deve produrre di piu’ sulla terra oggi coltivata, magari recuperando quella impoverita dalla cattiva pratica agricola. Per questo le biotecnologie possono dare un grande aiuto: esistono gia’ piante rese resistenti al sale o all’acidità del terreno.

Ma il resto del mondo l’ha capito, e pure la Chiesa Cattolica. I nostri ambientalisti stanno veramente facendo una battaglia di retroguardia. Io poi non ne posso piu’ di sentire parlare di prodotti tipici e locali. La patata e il pomodoro non erano tipici prima del 1500 ! Quella e’ roba molto bella ma da ristoranti costosi e da gente che ha tempo e soldi. Bisogna avere l’onesta’ di ammetterlo, e di dire che l’umanità non puo’ campare di agricoltura biologica, a meno, forse, di non diventare tutti subito vegetariani. Per me non sarebbe un grosso problema, ma non mi sembra che si possa fare facilmente o imporre per decreto.

Le piante GM sono supercontrollate, anche troppo: io se vedessi scritto “contiene OGM” su un’etichetta comprerei piu’ volentieri. l’introduzione di geni di diversa provenienza non mi turba affatto, il codice genetico e’ universale e le proteine prodotte sono note. Tutta l’agricoltura e’ una manipolazione profonda dell’ambiente, un’attività artificiale. Chi deve decidere il limite? I ricercatori devono avere voce in capitolo o no? Per i nostri politici pare di no, visto che si scelgono i consulenti tra quelli contro gli OGM, trascurando il parere di autorevoli società scientifiche specializzate (vedi www.siga.unina.it).

Il Prof. Sala ha scritto un libretto molto documentato, molto pro OGM ma secondo me molto franco e largamente nel giusto: “Gli OGM sono davvero pericolosi?” Universale Laterza, 2005. Te lo consiglio.