Al confine del Libano si rischia ancora una guerra
Sagome metalliche sula sommità delle difese di Misgav Am, tra Libano e Siria
Abbiamo lasciato Haifa: una bellissima città ai piedi del Monte Carmelo, sulla baia omonima, piena di attività e molto accogliente. Tra i suoi cittadini troviamo anche una discreta presenza di arabi cristiani e mussulmani, nonché drusi, tutti cittadini israeliani, da tempo perfettamente integrati. Prima di giungere in questa città, che è il porto di maggior importanza del paese, ritenevo, a ragione delle raffinerie e delle altre industrie petrolchimiche che si concentrano su questo territorio, che fosse una grande “Falconara” (ripensando alle mie Marche)! Niente di tutto questo, per fortuna: le industrie ci sono, ma ben integrate da comparire solo se si scruta con molta attenzione il territorio. Tra l’altro Haifa, anche a ragione della sua qualificata università, è di fatto divenuta una specie di polo dell’Hi-Tech, come ci viene ricordato anche per un recente posizionamento in città di una sede di Google.
A sinistra: dal Monte Carmelo, la città ed il porto di Haifa; a destra, vista dall’autobus: una delle case di Haifa colpite dai razzi degli Hezbollah
Ricordo però che nemmeno un anno fa, nel luglio del 2006, i razzi provenienti dal Libano meridionale l’avevano pesantemente colpita provocando, in un sol giorno, 9 morti e diverse decine di feriti.
Di Haifa conservo oggi nei miei ricordi due visioni tra loro molto contrastanti: il santuario con incantevoli giardini costruiti sul fianco della montagna su terrazzamenti di ben19 livelli ed un’altra immagine di genere completamente opposto. Infatti percorrendola a caso si rinvengono cumuli macerie, resti di incendi. Sono quel che resta oggi dei segni tangibili degli oltre 100 missili che l’estate scorsa hanno colpito l’abitato. Per fortuna molti di questi ordigni, ben 400, dei 500 lanciati in totale dal vicino Libano, sono caduti in mare!
Di questi avvenimenti ci aveva dato notizia, oltre la nostra ottima guida Eli Bar-El, anche personalmente il sindaco di Haifa Yona Yahav che avevamo avuto il piacere di incontrare, a cena, la sera precedente assieme all’ambasciatore d’Italia, Sandro De Bernardin.
Il Sindaco di Haifa, Yona Yahav
Scrivevo all’inizio che avevamo lasciato Haifa per dirigerci lungo la strada costiera verso Nord, in direzione del Libano. Dovevamo raggiungere il posto di confine, in località Rosh Ha’ Nikra, proprio a ridosso del mare, inerpicato sulla alta costa rocciosa che dista circa trenta chilometri dalla città. Qui abbiamo il primo appuntamento della giornata. Lungo la strada non mancano scorci panoramici davvero invitanti, almeno per qualche fotografia, dato che non sarebbe possibile, durante un viaggio questo tipo, tuffarsi in mare.
La costa israeliana a nord di Haifa, in prossimità del confine con il Libano, vista da Rosh Ha’ Nikra
Al varco di confine ci aspetta il colonnello Kobi Marom, che è stato comandante delle truppe terresti nel settore est, durante l’ultima guerra. Si presenta in borghese; è molto giovane, parla con calma, senza dilungarsi in eccesso. Allo stesso tempo espone le situazioni e descriverà i luoghi che visiteremo con estrema chiarezza, anche per chi poco o nulla conosce di quegli ambienti e dei fatti trascorsi. Risponde con puntualità, senza incertezze, alle molte questioni che la variegata comitiva gli sottopone. Per molti di noi è sempre indispensabile e puntuale l’aiuto della validissima interprete, Silvia Pallottino.
Il Colonnello ricorda in particolare come negli ultimi sei anni Israele abbia adottato una “politica di moderazione” per tutti gli episodi occorsi lungo la linea di confine. Sottolinea come, a suo modo di vedere, purtroppo, il non aver risposto, come avveniva sempre in passato, agli attacchi degli Hezbollah ha comportato, per certo, diversi effetti negativi. Questo lo si è potuto verificare e provare nel corso dell’ultima guerra. In questa occasione i militari israeliani hanno infatti preso atto, toccandolo con mano, il potenziale bellico che gli Hezbollah avevano accumulato poco oltre la linea di confine. Esattamente come l’intelligence israeliana (Mossad) aveva visto e segnalato. Esattamente come scrive la Commissione Winograd, (incaricata di indagare sulla conduzione della guerra della scorsa estate) nel rapporto pubblicato il 30 aprile, quando specifica che “anche i governi passati non si siano preoccupati di attivare delle procedure capaci di aiutare l’analisi delle situazioni ed approntare piani ed aggiornamenti per eventuali situazioni come quella creatasi con Hezbollah negli ultimi anni“, ciò che ha “ha permesso ai terroristi filosiriani di preparare bunker, armi e munizioni lungo il confine israeliano“.
Mi è facile citare ora, in quanto proprio in questi giorni ne ha scritto anche Fiamma Nirenstein, che il capo dei Drusi, Walid Jumblat “teme un colpo di mano di Nasrallah, ispirato dall’Iran”. Egualmente sappiamo che anche i militari italiani, schierati sotto le insegne dell’ONU per adempiere ad una deliberazione del Consiglio di Sicurezza, si trovano in una situazione assai delicata. Dalla stessa fonte giornalistica, sempre documentata e molto attendibile, apprendiamo inoltre che “i servizi segreti israeliani continuano a certificare il riarmo completo degli Hezbollah”. In parole semplici una minaccia incombente per lo stato di Israele. E’ certo le forze dell’UNIFIL 2 cerchino di rendere il confine più sicuro e tranquillo, ma la loro presenza potrebbe dirsi del tutto inefficace se, dopo nove mesi dal rapimento dei due soldati israeliani, Regev e Goldwasser, rapimento che scatenò la guerra, non si ha ancora la minima notizia su di loro. Nemmeno la Croce Rossa li ha mai potuti visitare! Ricordo che con il mandato ai caschi blu si era anche stabilito di ottenerne la liberazione. Recentissimo è un articolo in proposito, a firma di Pino Buongiorno su Panorama (n° 18 del 3 maggio 2007) i cui si spiega come gli Hezbollah si stiano “preparando ad affrontare due possibili guerre: una civile contro il governo di Fouad Siniora, appoggiato dagli Stati Uniti e dall’Unione Europea, e una contro Israele“.
La famosa “Risoluzione 1701” ha diverse ambiguità di fondo: la più evidente è forse quella che le forze ONU non possono disarmare gli Hezbollah. Altrettanto fumose poi appaiono le regole d’ingaggio. Si dice che, essendo restrittive oltre la logica ed il buon senso, hanno fatto si che altre nazioni (Germania, Olanda, etc) decidessero di non impegnarsi direttamente nella missione con loro forze terrestri.
Durante l’intera giornata trascorsa lungo il confine nord, il colonnello Kobi Marom, nostra guida, ha più volte ipotizzato il rischio incombente di una ripresa del conflitto, sottolineando come questo sia possibile magari, nella prossima estate.
A ridosso di una fortificazione il gruppo ascolta le guide (foto a sinistra); dal punto di osservazione di Misgav Am il cartello con le distanze (foto a destra)
Durante la nostra visita raggiungiamo i vari punti d’osservazione, dal Monte Adir – verso il Libano – a Misgav Am – tra Libano e Siria – sotto un vento teso e freddissimo. Il colonnello illustra, con dovizia di particolari, l’ambiente nel suo complesso (non solo per gli aspetti militari) ed indica, a menadito, ogni posizione, ogni installazione e qualsiasi villaggio tra noi e l’orizzonte. Senza battere ciglio, snocciola dati e cifre di eventi passati e di scenari futuri. Un dato in particolare mi colpisce: nel caso di allargamento del conflitto alla Siria, si avrebbe una spropositata prevalenza dei carri armati siriani. Da Damasco scenderebbero sul terreno in dieci contro uno!
Un commento su “Appuntamento a Gerusalemme /2”