Quando il giornalismo va a farsi benedire /2

Da La Voce Misena nº 23 del 16/06/2005:
«Il vescovo di Senigallia, Giuseppe Orlandoni, si schiera a difesa di Padre Alberto, Parroco delle Grazie, “accusato” – pensate – di aver affisso in chiesa un manifesto con le scritte “La vita non può essere messa ai voti” e “Scegli di non andare a votare”. Ogni commento è superfluo».

In cosa consistevano le “accuse” a Padre Alberto? Da chi e perché erano state mosse? Quali erano i termini della discussione?
Mistero.   

New Orleans: the day after tomorrow!

Non so se avete visto il film citato nel titolo, ma quello che sta succedendo a New Orleans mi ricorda molto quelle scene catastrofiche e spettacolari girate grazie agli effetti speciali di Hollywood.

Peccato che quello che sta succedendo alla "Big Easy" sia drammaticamente vero.

L’uragano Katerine ha infatti travolto la città con venti a oltre 200 Km/h, travolgendo le deboli difese di una metropoli costruita 2 metri sotto il livello del mare e protetta solamente da una diga naturale alta 4 m e da una zona paludosa nella quale sfocia il fiume Mississippi.

Avrebbe potuto anche andare molto peggio (sembra impossibile vedendo le immagini), perchè Katerine, prima di giungere nella città, ha perso ben due gradi di potenza (dal 5° al 3°), altrimenti sarebbe rimasto veramente ben poco da salvare.

Il presidente Bush e il sindaco della città avevano ordinato agli abitanti, circa 1,3 milioni, di evacuare le loro case e di portarsi al sicuro nell’entroterra. Sembra che in città siano rimaste solamente 100-200 mila persone, di cui almeno 10 mila dentro al bellissimo Superdome (uno stadio avveniristoco dove giocano i New Orleans Saints di football), e tutte si trovano ora senza acqua, gas ed elettricità.

L’acqua in alcuni punti supera i 2 metri di altezza e si teme pure un "back flood" (una inondazione in senso contrario) proveniente dal fiume Mississippi enormemente gonfiato dalle piogge. Si calcola che il riflusso delle acque potrebbe durare per settimane con effetti catastrofici sulle fondamenta delle case e dei grattacieli.

Il conto delle vittime si è fermato a 68, ma il governatore della Louisiana afferma che con ogni probabilità il numero è destinato a crescere esponenzialmente.

Ora Katerina sembra puntare verso la costa dell’Alabama; i porti di Biloxi e Mobile sono in stato di allerta e negli stati di Alabama, Mississippi e Tennessee è molto alto il rischio di forti trombe d’aria.

Per ulteriori informazioni visitate i seguenti links:
• http://www.cnn.com
http://www.lsp.org/emergency.html
http://www.nytimes.com
http://www.washingtonpost.com
http://www.corriere.it

Quando il giornalismo va a farsi benedire /1

Ogni tanto, in qualche telegiornale capita di imbattersi in “notizie” come queste: “il tal ministro smentisce seccamente le accuse di corruzione nei suoi confronti”, oppure “il governo ribadisce la piena fiducia al tal politico investito dai violenti attacchi dell’opposizione”.
Le accuse di corruzione o i violenti attacchi non costituiscono notizie con dignità autonoma e meritevoli d’approfondimento: censurate come tali, sono riportate solo per essere neutralizzate da una tempestiva smentita.

Simili miserie, si parva licet, capita di vedere anche a Senigallia. Dopo queste note, mi riprometto di non tornar più sull’argomento. Visti gli interlocutori, conviene lasciar perdere.

Su La Voce Misena dello scorso 30 giugno è apparso un corsivo a firma di P. Alberto Teloni dal titolo “Blasfemia”. A tale articolo ho risposto l’11 luglio, inviando alcune puntuali osservazioni alla redazione del settimanale e per conoscenza all’autore. Ho chiesto che fossero pubblicate, tutte o in parte, nello spazio dedicato agli interventi dei lettori.
In assenza di un riscontro, ho reiterato la richiesta via e-mail 5 volte (20 e 22 luglio; 5, 9 e 22 agosto) sperando in una risposta, di qualunque segno fosse. Se la pubblicazione non fosse possibile – per qualsiasi motivo: contenuti, linea editoriale, mancanza di spazio, o semplicemente perché il giornale non pubblica interventi di chi si chiama Andrea – che almeno si avesse l’onestà di dirmelo. Invece nulla: silenzio assoluto.
Poi, il 25 agosto su La Voce Misena nº 29 è uscita la contro-replica di Teloni ai miei commenti mai pubblicati. Senza entrare nel merito di ciò che scrive Teloni (e ci sarebbe parecchio da dire), voglio complimentarmi con La Voce Misena per il metodo.

Un capolavoro assoluto di giornalismo surreale: si pubblica un articolo, si censura la replica di un lettore ed infine si pubblica la contro-replica dell’autore. Ovviamente l’autore fa riferimento alla replica, ma di questa ai lettori non è dato conoscere neanche una riga. Tutte le affermazioni restano allora sospese a mezz’aria, svuotate e non verificabili: da una parte ci sono i monologhi del rispettabile opinionista, dall’altra un fantasma senza voce.
Cosa capiscono i lettori dell’intera vicenda? Nulla, ma poco importa, quando l’obiettivo è evitare il contraddittorio.
Da dei giornalisti avrei gradito un minimo di professionalità, ma mi sarebbe anche bastato uno straccio di decenza e d’educazione. Sempre che, beninteso, simili metodi abbiano qualcosa a che vedere col giornalismo.
Di nuovo, i miei complimenti.

Delitto di mezza estate

E’ un libro che colpisce molto, nel senso che se lo tiri ad una persona con media forza gli puoi rifilare un bel bernoccolo in testa, infatti è composto da 600 pagine.

Nonostante le dimensioni si legge bene se si entra nel ritmo del romanzo, se si va a dormire quando Kurt va a dormire e si riprende la lettura quando si sveglia, magari il giorno dopo, dopo aver appoggiato il libro sul comodino o nello zaino.

Numero di stelle (da 0 a 6): ****

Delitto di mezza estate di Henning Mankell

A proposito del signor B.

“Cosa Nostra intrecciò con Berlusconi e Dell’Utri un rapporto fruttuoso quantomeno sotto il profilo economico.” […] “Per anni il Gruppo Berlusconi versò alla Mafia regalie sotto forma di consistenti forme di denaro”.

[Giugno 2001: Sentenza della Corte d’Appello di Caltanissetta, Capitolo dedicato ai Contatti tra Salvatore Riina e gli onorevoli Dell’Utri e Berlusconi]. Leggi tutto “A proposito del signor B.”

Un successo per Luisa Gasbarri

Il primo evento pubblico targato Popinga ha riscontrato unanime consenso, ed in molti, anche privatamente, ci hanno espresso il loro entusiasmo e si sono complimentati con l’autrice nostra ospite, Luisa Gasbarri.
Pubblicheremo a breve l’audio completo dell’evento, direttamente scaricabile da questo sito.

Un grazie di cuore a Luisa e a tutti coloro che si sono spesi per la buona riuscita dell’incontro, in primis a Massimo Bartolacci, suo ideatore e principale organizzatore.

Clicca qui per vedere le foto della serata.

Il giorno 16

«L’organizzazione di quest’azione era pronta per il 16 mattina come uno dei giorni probabili in cui sarebbe potuto o sarebbe anche potuto non passare l’onorevole Moro, perché non c’era certezza, perché avrebbe anche potuto fare un’altra strada. Era stato verificato che passava lì da alcuni giorni, ma non era stato verificato che passasse lì sempre».

Così, davanti alla Corte d’assise d’appello di Roma, Valerio Morucci, uno degli esecutori materiali del sequestro Moro, inizierà il racconto di quel 16 marzo 1978.
In effetti, come confermato dagli agenti di scorta in turno di riposo quel giorno, il percorso che passava per via Mario Fani era uno dei più frequenti, ma non l’unico: poteva anche essere cambiato sul momento per motivi di sicurezza ma anche in funzione del traffico o di impegni improvvisi. In Commissione d’inchiesta Eleonora Moro, vedova del presidente democristiano, dirà anzi che negli ultimi tempi Moro e la scorta «si angosciavano enormemente su queste cose e, quindi, cercavano nei limiti del possibile di cambiare i percorsi tutti i giorni o ogni due giorni, di vedere di sistemare in qualche modo cambiamenti degli orari se era possibile».
L’elementare, cruciale domanda che ne deriva è dunque: «come potevano essere le Brigate Rosse così sicure che quel giorno, a quell’ora in quel punto, l’onorevole Moro sarebbe passato?»
Eppure, l’agguato era stato pianificato con ragionevole certezza proprio il 16 marzo e proprio in via Fani:

  • Quella mattina, alla Camera dei Deputati, era previsto il dibattito sulla fiducia al IV governo Andreotti, detto di “solidarietà nazionale”, della cui nascita Aldo Moro era il massimo artefice. Per la prima volta dal 1947, il governo poteva contare sui voti determinanti del Partito Comunista.
    Tale concomitanza difficilmente può essere considerata un caso.
  • Nella notte tra il 15 e il 16, in tutt’altra zona di Roma, erano state tagliate le gomme del furgone con cui il fioraio Antonio Spiriticchio ogni mattina di recava a vendere fiori all’angolo tra via Fani e via Stresa, cioè proprio nel punto dell’attentato. I “vandali” volevano evidentemente evitare intralci all’azione prevista la mattina seguente.
  • Al processo d’appello la brigatista Adriana Faranda dirà di avere saputo della data fatidica due-tre giorni prima, e che i “regolari” del Nord, partecipanti all’azione di via Fani, giunsero a Roma il giorno precedente. Valerio Morucci, a sua volta, dichiarerà che furono rimproverati coloro che erano stati incaricati del furto delle auto, perché tre giorni prima del 16 marzo non era stata ancora procurata la Fiat 132 che doveva servire per il trasporto del sequestrato da via Fani. Il brigatista Antonio Savasta confermerà che il “commando” andò per la prima volta “operativo” in via Fani proprio il 16 marzo, il che dimostra che i preparativi furono affrettati per poter compiere l’azione criminosa quel giorno.

I fatti

Appena dopo le ore 9 del 16 marzo, all’incrocio tra via Fani e via Stresa nella zona di Monte Mario a Roma, una Fiat 128 bianca con targa diplomatica frena bruscamente all’altezza dello stop. Le due auto provenienti da dietro, una Fiat 130 blu con a bordo il presidente della DC Aldo Moro e un’Alfetta bianca di scorta, non riescono ad evitare il tamponamento a catena, anche perché le luci di stop della 128 non funzionano. L’autista della 130, appuntato Domenico Ricci intuisce la trappola e cerca ripetutamente di fare marcia-avanti e marcia-indietro per guadagnare un varco su via Stresa, ma è troppo tardi. Il capo brigatista Mario Moretti scende dalla 128 e comincia a far fuoco sulla 130; contemporaneamente, la 130 e l’Alfetta sono investite dal fuoco di fucili mitragliatori di almeno 4 uomini travestiti da piloti che sbucano dalle siepi del palazzo di fronte. L’agente Raffaele Iozzino, seduto sul sedile posteriore dell’Alfetta, riesce a scendere e a sparare un paio di colpi contro gli assalitori, ma viene subito freddato.
L’azione dura tre minuti: restano uccisi quattro uomini della scorta (Domenico Ricci e il maresciallo Oreste Leonardi, sulla 130; gli agenti Raffaele Iozzino e Giulio Rivera sull’Alfetta); Francesco Zizzi, anche lui sull’Alfetta, morirà poco dopo in ospedale. Poi, con una calma quasi surreale visto quello che è appena successo, Aldo Moro viene prelevato dalla 130 e fatto salire su una 132 che si allontana preceduta e seguita da due 128.

I punti aperti

La dinamica dell’agguato, insieme a ciò che avvenne nei minuti precedenti e successivi, è stata ricostruita in cinque processi sulla base delle prove, dei riscontri balistici e delle dichiarazioni rese dai brigatisti e dai testimoni.
Nonostante ciò, numerosi sono ancora i punti non chiariti. Vediamo i più significativi.

  • Il preannuncio. Diversi testimoni riferiranno d’aver ascoltato verso le 8:30 del 16 marzo, cioè prima del rapimento, su Radio Città Futura (emittente vicina all’Autonomia romana), la notizia di un imminente attentato a Moro. Renzo Rossellini, il direttore della radio ai microfoni quella mattina, smentirà e resterà sul vago, ammettendo di aver solo accennato ad un’ipotesi che «circolava negli ambienti dell’estrema sinistra»: che in occasione del nuovo governo le Brigate Rosse stessero «per tentare, molto prossimamente, forse lo stesso giorno, un’azione spettacolare», per esempio «un attentato contro Aldo Moro». Incredibilmente, mezz’ora dopo Moro venne rapito.
    Cosa davvero trasmise la radio rimarrà un mistero. La Commissione Moro accerterà che «né gli organi di polizia, né i servizi informativi provvedevano all’epoca alla registrazione sistematica delle radio libere, ma operavano semplicemente su campioni, percorrendo cioè le varie lunghezze d’onda e fermando l’attenzione sulle notizie interessanti sotto il profilo dell’ordine pubblico. Né la stessa radio effettuava registrazioni delle proprie trasmissioni». Guarda caso, però, il Centro di ascolto dell’UCIGOS (che ascoltava e registrava le radio private) interruppe la registrazione dalle 8:20 alle 9:33, cioè proprio a cavallo del rapimento.
  • Il commando. Quanti furono e chi furono i componenti del commando che attuò la strage di via Fani? Non sarà mai stabilito con certezza. La sentenza del processo di primo grado in Corte d’assise, sulla base di tutte le testimonianze, stabilirà la presenza di 14 terroristi tra via Fani e via Stresa; i brigatisti invece, tra ripensamenti, aggiunte e sottrazioni, hanno sempre dichiarato un numero non superiore a 10.
    Dei 91 bossoli recuperati sul posto, ben 49 appartengono ad una stessa arma, 22 ad un’altra ed il resto alle altre quattro armi usate nell’operazione: chi esplose da solo quei 49 colpi?
    Gli sparatori, che si suppone si conoscessero tra loro, indossavano divise da piloti civili. I brigatisti diranno di esser ricorsi al travestimento per non dare nell’occhio, in quanto nella zona di via Fani abitavano parecchi piloti dell’Alitalia. L’accorgimento però sembra quantomeno singolare: nel momento della fuga le divise sarebbero diventate pericolosi segni di riconoscimento. Allora perché rendersi così riconoscibili? Forse perché non tutti i brigatisti si conoscevano tra loro?
  • La moto Honda. Chi erano i due motociclisti a bordo della moto Honda blu di grossa cilindrata che fu vista transitare subito dopo l’agguato, e da cui partirono alcuni colpi di mitra verso un testimone? La presenza della moto, sempre ufficialmente negata dai brigatisti, è avvalorata da numerose testimonianze: che si trattasse di un intervento inatteso o indesiderato sulla scena dell’agguato, da parte di brigatisti non regolari o comunque di entità estranee?
  • La fuga. Eliminata la scorta e rapito Moro, il commando si dileguò nel traffico di Roma con tre automobili: una Fiat 132 con il sequestrato e due Fiat 128. Incoerente, a tratti del tutto inverosimile appare il racconto dei brigatisti sulla fuga da via Fani, il primo trasbordo del sequestrato in un furgone, il secondo trasbordo in un’altra auto e infine l’arrivo al covo-prigione di via Montalcini 8 alla Magliana, a trenta chilometri dal luogo della strage, dove Moro sarebbe stato tenuto per tutti i 55 giorni del sequestro.
    Ancor più incredibile è la beffarda modalità di ritrovamento delle tre macchine usate per la fuga. Furono trovate “a rate”, il 16, il 17 e il 19 marzo, in via Licinio Calvo, alla Balduina, non lontano da via Fani. Difficile pensare che chi le abbandonò fosse disposto ad avventurarsi per Roma con automobili segnalatissime e ricercatissime: forse poteva contare su una base logistica mai individuata nei dintorni?
  • Lo strano invitato. Quella mattina in via Stresa, a pochi passi dal teatro della strage, era presente il colonnello del SISMI Camillo Guglielmi, appartenente alla VII divisione (quella che controllava Gladio), alle dirette dipendenze del generale Musumeci. La presenza di Guglielmi, rivelata solo nel 1991 dall’ex agente del SISMI Pierluigi Ravasio, fu giustificata col fatto che egli si doveva recare a pranzo da un collega, il colonnello Armando D’Ambrosio. Interrogato, D’Ambrosio si disse sicuro di aver ricevuto Guglielmi verso le 9 di mattina, ma non ricordò di averlo invitato per pranzo. In tal caso, Guglielmi sarebbe arrivato con un anticipo davvero eccessivo…!
  • Il black out. Nella zona di via Fani, subito dopo il rapimento, un black out interruppe le comunicazioni telefoniche impedendo le prime fondamentali telefonate di allarme e coprendo di fatto la fuga dei terroristi. Per la SIP il black out fu dovuto al sovraccarico delle chiamate; per i brigatisti ad alcuni “compagni” che lavoravano nella compagnia telefonica. Nessuno ha però finora spiegato come mai il giorno prima (15 marzo, alle 16:45) la struttura della SIP collegata al SISMI fosse stata messa in stato di allarme come doveva accadere in situazioni d’emergenza quali crisi nazionali e internazionali, eventi bellici e atti di terrorismo.
  • Le foto. Quella mattina, verso le 9, il carrozziere Gherardo Nucci fece un salto a casa, in via Fani 109, a prendere la macchina fotografica: doveva mandare alle compagnie assicurative le foto di alcune automobili da riparare. Subito dopo la strage e prima ancora dell’arrivo di polizia e ambulanze, dal suo balcone Nucci riuscì a scattare alcune foto della scena della strage. L’indomani la moglie, una giornalista dell’agenzia ASCA, consegnò il rullino al magistrato inquirente Luciano Infelisi. Le foto sparirono: non se ne seppe più nulla, tranne forse per un improvviso interessamento da parte della ‘ndrangheta calabrese. Il 1º maggio, infatti, fu intercettata una telefonata tra Benito Cazora, parlamentare DC in contatto durante il sequestro con settori della ‘ndrangheta per aver notizie sulla prigione, e Sereno Freato, stretto collaboratore di Moro:

    Cazora: Un’altra questione, non so se posso dirtelo…
    Freato: Sì, sì, capiamo.
    Cazora: Mi servono le foto del 16, del 16 marzo.
    Freato: Quelle del posto, lì?
    Cazora: Sì, perché loro… [nastro parzialmente cancellato]… perché uno stia proprio lì, mi è stato comunicato da giù.                         
    Freato: È che non ci sono… ah, le foto di quelli, dei nove. 
    Cazora: No, no! Dalla Calabria mi hanno telefonato per avvertire che in una foto presa sul posto quella mattina lì, si individua un personaggio… noto a loro.
    Freato: Capito. È un po’ un problema adesso.
    Cazora: Per questo ieri sera ti avevo telefonato. Come si può fare?
    Freato: Bisogna richiedere un momento, sentire. 
    Cazora: Dire al ministro.
    Freato: Saran tante!

    Cazora, dunque, era preoccupato perché dalla Calabria gli avevano fatto sapere che in una fotografia scattata subito dopo la strage compariva un personaggio noto a loro.
    A quali foto si riferiva Cazora? Non lo sappiamo con certezza, ma in ogni caso l’episodio ci dice due cose: che un uomo della ‘ndrangheta era presente in via Fani dopo la strage, e la sua presenza non era casuale, visto che i calabresi si preoccupavano che il reperto venisse preso in considerazione. Se poi, com’è probabile, Cazora si riferiva alle foto di Nucci, si può dedurre che costoro avevano avuto accesso alle foto e addirittura trovato il modo di farle sparire.
    Chi era il personaggio ritratto nella foto?

Bibliografia

  1. Processo Moro I grado, sentenza della Corte d’assise di Roma (presidente S. Santiapichi), 24/01/1983.
  2. Processo Moro II grado, sentenza della Corte d’assise d’appello di Roma (presidente G. De Nictolis), 14/03/1985.
  3. Commissione Moro, Deposizione di Eleonora Moro, 11/08/1980.
  4. Commissione Moro, Relazione di maggioranza.
  5. Leonardo Sciascia, “L’affaire Moro”, Adelphi 1978.
  6. Giuseppe Zupo, Vincenzo Marini Recchia, “Operazione Moro. I fili ancora coperti di una trama politica criminale”, Franco Angeli 1984.
  7. Sergio Flamigni, “La tela del ragno. Il delitto Moro”, Kaos 1993.
  8. Sergio Flamigni, “Convergenze parallele. Le Brigate rosse, i servizi segreti e il delitto Moro”, Kaos 1998.
  9. Alfredo C. Moro, “Storia di un delitto annunciato. Le ombre del caso Moro”, Ed. Riuniti 1998.
  10. Francesco M. Biscione, “Il delitto Moro. Strategie di un assassinio politico”, Ed. Riuniti 1998.
  11. Giovanni Fasanella, Claudio Sestieri con Giovanni Pellegrino, “Segreto di Stato. La verità da Gladio al caso Moro”, Einaudi 2000.

Scontri di Civiltà : la storia tra ragione e religione

Prendo spunto dalla discussione tra Andrea e Gianluigi per esporre qualche mia idea sul tema dello scontro tra religioni (o civiltà), molto attuale soprattutto dopo gli ultimi eventi di Londra.

[quote=andrea][…] perché da che mondo è mondo sono le civiltà più forti socialmente, economicamente e militarmente a tentare di sopraffare quelle deboli. Ora, dire che è in atto un tentativo di sopraffazione (leggi guerra di civiltà) ai danni della civiltà occidentale ha una parte di verità ma corrisponde ad una lettura unilaterale del fenomeno[/quote]

I conflitti tra nazioni sono stati, sono e saranno sempre causati, nella maggioranza delle occasioni, dalla religione (soprattutto dopo la fine delle altre ideologie). Chi conosce un pò di storia deve essere consapevole di questo fatto e non può sorprendersi ogni volta di ciò. Questo non toglie che l’evoluzione del genere umano sta portando a preferire la convivenza piuttosto che lo scontro frontale tra le religioni stesse.

Certo, le differenze religiose producono uno stato di "guerra fredda" che occasionalmente trova sfogo in determinati punti del globo dove la tensione è più forte per determinati motivi storici. I primi casi che mi vengono in mente sono:

• il conflitto israelo-palestinese, generato dall’immigrazione di milioni di Ebrei, in fuga dall’Europa, in un territorio superficialmente limitato e in un lasso di tempo brevissimo (diciamo dagli inizi del ‘900 fino al ’49, anno della prima guerra tra arabi ed ebrei, e che continua tuttora).

• Il conflitto tra protestanti e cattolici nell’Ulster.

• I conflitti tra cristiani e musulmani in vari paesi dell’Africa e dell’Asia.

• La guerra fredda (con escalation nucleare) tra India e Pakistan.

• Le guerre nel Caucaso (specie in Cecenia).

• il conflitto nella ex-Jugoslavia in cui si combatterono tra loro cattolici (croati), ortodossi (serbi) e musulmani (una parte dei bosniaci e molti albanesi) in una terra di confine da sempre teatro di conflitti etnico-religiosi.

Soffermandoci su questo caso: se consideriamo Bin Laden un super-terrorista (giustamente) per avere ucciso 3000 persone alle torri gemelle, che dovremmo dire di Milosevic, responsabile, direttamente o indirettamente, di eccidi come quello di Srebrenica o delle pulizie etniche verso gli albanesi (in gran parte musulmani) nel Kosovo? Ricordiamoci bene che gran parte di quelle vittime furono civili. Oppure cosa dovremmo pensare di Tudjman, che con l’avallo della Città del Vaticano (primo stato a riconoscere la sovranità della Croazia) compì anche lui i suoi bei massacri di musulmani nella zona di Mostar e fu in seguito autore di una bella pulizia etnica nei confronti dei serbi della Krajna e della Slavonia?

Possiamo affermare, quando un Tudjman stermina musulmani, che i cattolici hanno dichiarato guerra all’Islam?
Allo stesso modo, possiamo dire che cattolici e protestanti sono in guerra perchè nell’Irlanda del Nord i due gruppi si ammazzano da decenni?

In generale si può affermare, ma questa è una mia teoria, che all’aumentare dell’importanza della ragione cala l’imortanza della religione, fino a superare anche il vecchio concetto di "Darwinismo" (sociale o etnico o religioso). In fondo se gli americani usassero la legge del più forte potrebbero facilmente sterminare i musulmani o gli ortodossi o i confuciani. E questo anche senza nemmeno dover ricorrere alle armi atomiche. Pensiamo all’effetto di virus tipo Ebola, molto studiato dagli scienziati militari americani per il suo tasso di mortalità, se diffuso in città sottosviluppate e densamente abitate come Karachi o Teheran o Giacarta.

Insomma, ciò che io auspico è che la religione perda sempre più importanza a scapito della ragione nei rapporti tra gli stati.
In questo senso le dinamiche della storia sembrano darmi ragione:

• Se pensiamo alla situazione dopo la pubblicazione delle tesi di Lutero, che portarono gli stati europei a distruggersi reciprocamente per diversi secoli, possiamo notare che i rapporti tra cattolici e protestanti sono molto migliorati anche se esiste sempre l’Irlanda del Nord.
• Se pensiamo all’epoca delle crociate (XII secolo), alla battaglia di Lepanto (1571) o all’assedio turco di Vienna (1683), possiamo affermare che la situazione attuale tra cristiani e musulmani è quasi idilliaca (nonostante Bin Laden).
Lo stesso raffronto vale anche per i rapporti tra quasi tutte le altre religioni.

E’ altresì vero che se qualcuno ci attacca, "noi" abbiamo il diritto di difenderci, ma questo diritto è reciproco e vale anche contro l’Occidente.
E’ chiaro che se qualcuno invade l’Iraq (e parlo dell’Iraq, non dell’Afghanistan), gli iracheni e i loro amici avranno il diritto di difendersi nel modo che ritengono più opportuno. Essendo una guerra asimmetrica, non possiamo aspettarci che ci rispondano con le nostre stesse armi (visto che non le posseggono).

Anche il terrorismo non l’hanno inventato certo i musulmani. Mi viene in mente la figura di Guglielmo Oberdan, uno dei nostri eroi del risorgimento, che era solito piazzare ordigni esplosivi nei territori irredenti del Trentino, uccidendo magari degli ignari poliziotti croati o cechi che nulla avevano da spartire con la lotta di liberazione italiana dagli austriaci (non vi ricorda un pò Nassirya?). E non venite a parlarmi di dittatura, visto che americani ed europei (si, anche noi) hanno finanziato e sostenuto dittature altrettanto sanguinarie: mi vengono in mente Mobutu o Batista o 1000 altri, oltre agli stessi Saddam Hussein e Bin Laden.

In definitiva il mondo non è solo Bianco o solo Nero, Bene o Male, ma tutti hanno i loro scheletri nell’armadio.
La sintesi di tutto il mio ragionamento è questa: se nel rapporto tra due individui o Stati o qualunque altra aggregazione è prevalente la religione (o l’ideologia in generale) si arriva inevitabilmente allo scontro (se uno afferma di possedere la verità, è impossibile qualsiasi dialogo). Se invece prevale la ragionevolezza è possibile avere il dialogo e forse anche la convivenza pacifica.
Io almeno lo spero.

Luisa Gasbarri con Popinga a San Rocco

Venerdi 26 agosto discuteremo il romanzo “L’istinto innaturale” (edizioni Todaro, 2005) e lo faremo insieme alla sua autrice, Luisa Gasbarri.
Per la prima volta nella breve storia del Club Popinga l’incontro sarà pubblico e si terrà alle ore 21.30 presso l’Auditorium San Rocco di Senigallia (Piazza Garibaldi, proprio di fronte al Duomo).

Siete tutti invitati a partecipare!

Scarica la locandina (in formato PDF): in bianco&nero, a colori (bassa risoluzione), a colori (alta definizione). (grazie Livia!!)
Scarica l’invito: in formato Word o in formato PDF.

Su questo sito trovate una intervista all’autrice. È inoltre possibile contattare direttamente Luisa al suo indirizzo e-mail.
Ecco altre informazioni sulla scrittrice e il suo libro.

È la seconda volta che il Club incontra un autore, dopo Enzo Pettinelli con il suo “La città del Ping Pong“.