Abbiamo visitato l’impianto di compostaggio di San Vincenzo di Corinaldo (CIR33).
La visita fa parte del nostro tour per toccare con mano le vie che seguono i rifiuti che produciamo, dopo che sono usciti di casa.
E’ un caldo pomeriggio estivo quando arriviamo a S. Vincenzo, nella campagna di Corinaldo. L’appuntamento datoci dalla direzione del CIR 33 è slittato al pomeriggio e quindi non vedremo i mezzi che conferiscono l’organico, in quanto questi giungono soltanto il mattino.
Ci troviamo di fianco all’omonima discarica, tutt’ora in piena attività, e qui si trova l’impianto, costruito da qualche anno, attualmente in funzione a pieno regime, avendo anche terminato le fasi di rodaggio e di collaudo. Infatti la struttura di S. Vincenzo è giunta alla certificazione finale del prodotto; questo atto è necessario, indispensabile per collocare il compost presso gli utilizzatori finali.
Il compost infatti finisce su un mercato che a noi sembra abbastanza particolare. Questo perché tanti sono gli sforzi per far accettare un prodotto che forse è poco noto, ma verso il quale esistono molteplici diffidenze. Forse il primo motivo dipende dal fatto che proviene, in larghissima parte, dalla raccolta casa per casa e quindi la produzione è affidata ad una miriade di soggetti piuttosto eterogenei e pertanto non sempre del tutto affidabili.
Ad accoglierci sul posto troviamo l’ingegner Daniele Bartolacci, responsabile dell’impianto, un giovane con qualche precedente esperienza lavorativa nel petrolchimico. La gestione organizzativa è affidata ad altri tre aiutanti (un quarto sarà di prossima assunzione), mentre la parte tecnico esecutiva viene svolta da tre operai che gestiscono l’intero complesso che ha oltre 5.000 metri coperti.
Ci vengono date le prime sommarie spiegazioni, e facciamo qualche domanda; siamo seduti nell’ufficio all’ingresso, a fianco della stazione di pesatura dei mezzi. Al muro è appesa un’unica grande foto: la solita “passerella” dell’inaugurazione con le autorità, cioè i soliti volti noti, tutti assiepati in prima fila per il taglio del nastro. L’opera è costata più di 8 milioni di Euro.
Scrivevamo che l’impianto è stato collaudato da poco, mentre è in funzione dal marzo 2009 (l’inaugurazione è avvenuta nel novembre 2008). La produzione oltrepassa le 1000 tonnellate di compost al mese, anche se nelle dichiarazioni dei politici prima della costruzione si parlava di trentacinque mila tonnellate l’anno. Forse sarà così più avanti nel tempo.
I soggetti autorizzati a conferire i rifiuti organici, che debbono rispettare una serie assai vincolante di permessi e di autorizzazioni, sono diversi. Per primo c’è il CIR 33, che attraverso l’ATI (materialmente sono proprio gli uomini ed i mezzi di questa Associazione Temporanea di Imprese a farlo!) provvede alla raccolta porta a porta nei comuni che aderiscono al Consorzio.
Per scaricare l’organico raccolto, ogni mezzo si presenta all’ingresso, ed accertato il peso (ed a campione la qualità), versa la cifra di 90 € a tonnellata. Altri soggetti conferiscono il verde, cioè potature, fogliame, sfalci ed altri residui di giardinaggio. Anche per costoro valgono tutta una serie di regole e disposizioni che dovrebbero garantire l’assenza di furberie ed imbrogli, da un mondo, quello della gestione dei rifiuti, che notoriamente è soggetto ad intrallazzi per via dei facili guadagni che si possono ricavare da questi materiali.
L’impianto funziona seguendo un ciclo di maturazione aerobica dei rifiuti umidi della durata di circa tre mesi. Dapprima si ha una triturazione ed omogeneizzazione dei materiali, segue la deferrizzazione (l’eliminazione cioè degli eventuali metalli) e quindi il passaggio in un vaglio separa le impurità costituite da materie plastiche, il “sigillo” della nostra epoca, oramai presenti dappertutto. I “sovvalli”, cioè i materiali di scarto, temporaneamente depositati nel primo capannone, vengono poi rimessi in circolo (quando il flusso lo consente) per affinare le separazioni. I residui poi non possono che essere smaltiti in discarica.
La maturazione aerobica avviene su una serie di “letti aerati”, denominati “aie”, che si trovano all’interno dei capannoni. E’ opportuno evidenziare che questi si trovano sempre in depressione onde evitare le esalazioni maleodoranti; anzi questi gas vengono filtrati attraverso un “gigantesco filtro biologico”, prima di essere riportati in atmosfera. Le modalità di lavorazione quindi sono piuttosto semplici. Anche a Corinaldo sono sostanzialmente le stesse che vengono applicate da tempo negli altri 160 impianti del CIC, il Consorzo Italiano Compostatori.
Per il compost resta il problema finale, che allo stesso tempo è anche quello essenziale per la vita dell’impianto: piazzare il compost. Si riuscirà a collocare tutto questo prodotto in agricoltura e nel settore florovivaistico? Se si, a quale prezzo? Teniamo ben presente che il mercato è agli inizi e che ci sono già soggetti che offrono compost certificato al solo prezzo del trasporto, quindi davvero un’inezia. Come mai?
Gianluigi Mazzufferi
Franco Scaloni
Considero la relazione molto importante, però
non sono in grado di dare un giudizio particolare
in quanto è una materia dove ho pochissima
conoscenza.
bello e interessante
ho un dubbio, che da sempre mi è rimasto in mente, sull’utilizzo del compost:
derivando da scarti alimentari, dovrebbe contenere anche i residui dei pesticidi e anticrittogamici, specie sulle bucce. E tutto ciò decade o resta nel compost ? Vengono eseguite sul compost valutazioni dei residui ? Per questo dubbio, se mi serve compost per piante da fiore ok, altrimenti, per l’orto di casa, mi affiderei al tradizionale letame o, in mencanza, alla concimazione chimica.
stefano cenerelli
Il dubbio di Stefano a me non sembra fondato, anche se ci sono altre possibilità d’inquinamento accidentale del compost. Sulle bucce della frutta, per quanti pesticidi ci possano essere (e poi i sistemici sono dentro e dappertutto!),non ci dovrebbero essere mai quantità fuori norma in quanto esistono severe regolamentazioni che dovrebbero controllare gli alimenti. Questi quando vengono messi in commercio, onde verificare se i “tempi di carenza” sono rispettati e quindi se rientrano nei MRL (maximum residues levels). Sembra, dico sembra perchè riferisco dati che talvolta anche io prendo con diffidenza, che solo l’1 o il 2% dei prodotti testati in Italia sgarra dalle regole.
L’insida per i compost da proveninza domestica è, a mio avviso, che qualche cittadino “distratto” o “delinquente” infili nel suo sacchettino che so io delle pile o dei farmaci. Questo si che è un rischio.