Qualche giorno fa scrivevamo a info@liberaliperlitalia.it per chiedere quale fosse la loro opinione su Province e Comunità Montane.
Abbiamo ricevuto con sollecitudine questa risposta a firma di Massimiliano Melley. La pubblichiamo di seguito quale contributo al dibattito sul tema. Come preannunciato durante l’incontro tra quanti hanno partecipato al dibattito sulle “province” del 30 giugno scorso, altri contributi ed interventi saranno presto ospitati sulle pagine di Popinga.
Noi di DL-LPI ripetiamo da sempre (e poi spiegherò cosa significa “da sempre”) la necessità dello Stato minimo, in coerenza con quanto il liberalismo dottrinario esige.
Stato minimo significa anche abolizione di enti inutili o doppi, pur riconoscendo che la sola Roma non può riuscire a gestire tutto quello che lo Stato oggi gestisce.
E qui, mi permetta una parentesi. Il contesto attuale non è quello in cui nacque il liberalismo politico di stampo ottocentesco. Non possiamo facilmente rinunciare a funzioni di cui lo Stato si è appropriato da decenni, quali una minima assistenza sanitaria, una minima assistenza previdenziale, un certo livello di servizi pubblici che vanno dallo smaltimento dei rifiuti ai trasporti urbani, e via dicendo.
Chiusa la parentesi volta a, per così dire, storicizzare il discorso, è chiaro che va comunque perseguito uno Stato minimo nell’ottica liberale.
Altrimenti non si è facilmente liberali.
Dunque, come dicevo, gli enti territoriali che non servono vanno, appunto, aboliti. E che si tratti di province o di regioni o di consigli di zona o di comunità montane poco importa.
DL-LPI l’ha scritto e detto in tutte le salse. Quando ci candidammo alla provincia di Milano, pochi anni fa, lo facemmo proprio in rottura contro l’intero arco politico, che da destra a sinistra concorreva per metter mano a ingenti risorse per non fare praticamente niente. Perché il ruolo della provincia, in Italia ovviamente schiacciata tra regione e comune (o tra regione e intese inter-comunali), è veramente marginale.
Detto questo, un po’ di sale in zucca non guasta. Ci sono realtà in cui effettivamente determinati servizi sarebbero resi difficili da un semplice ufficio dislocato. E’ per questo che alcuni di noi, e sottolineo che quindi non è una posizione ufficiale, non vedono con sfavore certe province, come ad esempio il Verbano-Cusio-Ossola, la cui creazione risponde ad effettive esigenze di un territorio totalmente montano, con tutto quello che ne deriva in termini di lentezza di collegamenti con il vecchio capoluogo, che era Novara.
A tal proposito vorrei far riflettere su un punto. Le comunità montane furono previste nel nostro ordinamento insieme alle città metropolitane; ma le prime si sono sviluppate (sicuramente oltre misura), le seconde ancora non esistono nella realtà. Qual è il motivo? Il motivo è semplice: l’aggregazione istituzionalizzata tra più comuni è molto utile nel caso di valli di montagna, composte di piccoli comuni separati tra loro, è molto meno utile nel caso di una metropoli e del suo hinterland.
Prima della istituzionalizzazione delle comunità montane, infatti, capitava che a garantire servizi basilari come lo spalamento della neve fosse il singolo comune. L’aggregazione ha portato certamente a una maggiore efficienza in merito.
Tuttavia, i casi particolari non invalidano un principio, che semmai dovrà essere applicato con ragionevolezza e non con rigidità: ed il principio dell’abolizione degli enti territoriali inutili non ci pare affatto tramontato.
Piuttosto, da liberali, siamo un po’ tristi nel constatare che un liberale storicamente di destra come Raffaele Costa, mentre tendeva sempre più ad un liberalismo “di centro”, è diventato presidente della provincia di Cuneo…
Noi, che operiamo prevalentemente a Milano, abbiamo ben chiaro lo spreco di risorse dovuto al moltiplicarsi della burocrazia.
Bene, si sentiva l’esigenza di un nuovo partito!