Ci sono molti modi per raccontare una storia

Ci sono molti modi per raccontare una storia.
C’è un modo che prima di tutto ordina cronologicamente i fatti, ricapitola gli eventi, cerca dentro la precisione delle sequenze una logica e da questa ne deduce temi, ne estrae motivazioni, ne riconosce emozioni. Il tutto dentro un recinto perfettamente tracciato nel tempo e nello spazio.

Un altro modo si preoccupa invece di delineare subito gli eventi cruciali operando un’immediata scrematura tra ciò che ha lasciato un segno e ciò che si è perso nel cammino.
In questo caso restano in vita solo i fatti ai quali si attribuisce  una persistente luminosità, che si legano tra loro come un disegno che sgorga da uno sfondo puntiforme. Una specie di linea immaginaria li unisce, come quella che congiunge le stelle, dandoci  la possibilità d’ideare le costellazioni.

E poi c’è quello che chiamiamo semplicemente: il ricordo. Immagini ed emozioni legate insieme da fili che in gran parte resteranno sconosciuti. Dove la cronologia, le sequenze, la logica o la priorità dei fatti più importanti, la linea fra le stelle più lucenti in mezzo alla galassia (che spesso sono solo quelle più vicine), non hanno alcun senso. Qui l’unico senso è l’abbandono. Lasciarsi scivolare lungo i falsipiani dell’evocazione.

Pettinelli ha scelto quest’ ultimo modo della narrazione andando ad intrecciare fili diversi che alla fine formano una materia consistente e indissolubile, come un legame molecolare o, e forse l’esempio è più calzante visto il tema del ricordo, come uno scubidù.
Pettinelli intreccia, soprattutto nella prima parte, il filo della sua vita privata, con quello della nascente società di tennistavolo e con quello della vita nella città di Senigallia.

In questo modo di narrare si svolge una storia che comincia con un esodo e continua con lo spirito dei carovanieri che all’inizio dell’800 attraversavano l’America da est ad ovest alla ricerca, o meglio alla conquista fatta passo dopo passo, di un nuovo mondo da fondare e costruire. Non a caso i protagonisti di questo primo periodo vengono citati nel libro con il nome di “pionieri”.
Pionieri sarà un sostantivo dal cui ambito la scuola pongistica della città di Senigallia e per certi aspetti la città stessa in relazione a questo sport, non usciranno mai più.

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