La malattia dell’islàm

Abdelwahab Meddeb - La malattia dell'IslamIl libretto di Abdelwahab Meddeb, scritto nel 2002 a seguito dello shock mondiale provocato dagli attentati dell’11 Settembre 2001, è costituito da 33 agili capitoletti di 3-4 pagine ciascuno, suddivisi in quattro sezioni:
1 Lo sconforto dell’islàm
2 Genealogia dell’integralismo
3 l’integralismo contro l’Occidente
4 L’occidente esclude l’islàm
Il volume si conclude con un’appendice dal sottotitolo: Che cosa ci si può attendere da una guerra? che presenta le considerazioni dell’autore a proposito della seconda guerra del Golfo.

Abdelwahab Meddeb è di origine tunisina, ma si è formato in Francia, dove ha studiato e dove risiede. E’ Professore di Letteratura Comparata all’Università di Parigi X, dirige la rivista “Dédale”, è poeta e romanziere, oltre ad occuparsi di trasmissioni televisive e radiofoniche sulla cultura islamica. La sua conoscenza dell’Arabo gli consente una padronanza dei classici islamici che manca alla maggior parte degli studiosi occidentali che devono limitarsi alle poche traduzioni disponibili o ai commenti di chi li ha potuti leggere in originale. Da ogni pagina del libro traspare il genuino raccapriccio per le efferate violenze compiute dai fondamentalisti e il disperato tentativo di trovare una soluzione per interrompere questo fiume di sangue che non riconosce come appartenente all’islàm, o almeno al suo islàm, a quello che ha respirato fin da bambino nella sua società natale.

Tuttavia per identificare le cause profonde di questa tragedia umana bisogna esaminare il problema onestamente, cercando la realtà intima delle cose con una introspezione senza sconti sia sugli errori degli altri, ma specialmente sugli errori della propria parte e della propria cultura.

Purtroppo l’analisi di Meddeb fallisce miseramente, in quanto, pur con la ricchezza della sua cultura, o forse proprio a causa di questa, non riesce a staccarsi dai più comuni stereotipi del politicamente corretto. Anzi, la sua cultura gli consente di avvalorare questi stereotipi, accreditando la versione negazionista della storia dell’islàm e dei delitti commessi in suo nome. Manca nell’analisi di Meddeb tutta l’autocritica che ha consentito alla cultura occidentale di emergere dall’oscurantismo clericale e di consentire la nascita dell’età dei lumi.

Esaminiamo più da vicino i quattro argomenti esposti dall’autore.

1. Lo sconforto dell’islàm (capitoli 1-8)

Il primo blocco verte sulle cause dell’integralismo: come una civiltà brillante come quella islamica, di cui racconta alcuni episodi agiografici di qualche sceicco del passato, si è imbarbarita fino ad arrivare a Bin Laden? Identifica l’intolleranza come base comune dei difetti umani specificando che il fanatismo fu la malattia del Cristianesimo, il nazismo la malattia della Germania e l’integralismo quella dell’islàm. Peccato che dimentichi di dire che l’occidente è guarito da solo dalla malattia del Cristianesimo fanatico e dimentichi pure il comunismo: di quale malattia fu sintomo il comunismo con le purghe, le deportazioni e le uccisioni di massa sovietiche, cambogiane e cinesi che continuano tutt’ora nei laogai cinesi? Identificata la malattia, il fondamentalismo islamico, Meddeb cerca di analizzarne l’origine che attribuisce al risentimento provato dalle menti deboli per la decadenza di oggi a fronte della grandezza di ieri. Qui l’analisi dovrebbe riguardare ogni pagina e il commento diventerebbe troppo lungo. Basti dire che l’analisi considera solo la meravigliosa cultura Araba dei primi secoli, senza spiegarne il declino. Si limita a constatare l’attuale debolezza dell’islàm rispetto al successo dell’occidente, l’antico nemico, situazione che genera il risentimento delle masse, risentimento imputabile all’America, potenza egemone che non ha saputo garantire l’eguaglianza di tutti i popoli, come invece fece l’illuminato impero Ottomano con i suoi sudditi di etnie e religioni diverse. C’è necessità di commentare una enormità del genere? Perché Meddeb non si occupa delle sofferenze patite dai popoli Cristiani sotto il giogo islamico per secoli? Cosa provavano i sudditi Balcanici sottoposti a quella magnifica invenzione che fu il “devshirnìme” o “tassa del sangue”? O i Greci che si conquistarono l’indipendenza con le armi nel 1830 dopo secoli di servitù, con l’aiuto interessato delle nazioni Europee? O i Bulgari ammazzati a migliaia alla fine dell’800 o gli Armeni uccisi a milioni tra la fine dell’800 e l’inizio del 900 e del cui genocidio è ancora vietato parlare in Turchia, pena la galera o peggio? Certo, ammettere che il “risentimento” non è altro che un eufemismo per definire l’invidia di una civiltà senza cultura, non è facile per chi è nato in quella non-cultura.

2. Genealogia dell’integralismo (capitoli 9-18)

Se l’integralismo islamico è la malattia, come è nato come è cresciuto, dove si annida e chi lo diffonde? Ed ecco la la figura e gli insegnamenti di Ibn Hanbal ripresi da Ibn Taymiyya e riscoperti e rivitalizzati da Abd al-Wahhab con il suo sodalizio politico-religioso con il clan Arabo degli al-Saud. Meddeb, che da Tunisino dovrebbe essere Malikita, lamenta l’assoluto letteralismo Hanbalita predicato dai Wahhabiti che cancella l’ermeneutica Coranica dei secoli precedenti e la sua capillare diffusione odierna finanziata dai petrodollari Sauditi.

Lasciatemi citare una irriverente sintetica battuta di un mio amico a proposito dell’ermeneutica Coranica, proposta da alcuni studiosi medioevali specie Sufi: “Quando la Rivelazione dice “cazzate” l’ermeneutica le corregge!”. Battuta forse blasfema, ma vera nella sostanza.

Poi, con un volo pindarico che lascia allibiti, Meddeb ci spiega, utilizzando una dotta citazione di Toqueville (pagina 68 e seguenti), i motivi della stretta alleanza tra regno Saudita e Stati Uniti: una sintonia spirituale. Entrambe le entità sono basate su principi fondanti religiosi, o meglio, di fondamentalismo religioso. Io avevo sempre creduto che l’alleanza fosse prettamente commerciale: gli Americani prendevano il petrolio e i Sauditi i dollari. Certo io forse sono troppo prosaico, ma la citazione di quel mostro sacro di Toqueville, mi tappa la bocca. Tuttavia l’autore dimentica di spiegare come mai la medesima base religiosocentrica ha condotto gli USA a una democrazia popolare e l’Arabia Saudita a una monarchia assoluta. Ma forse gli USA sembrano una democrazia senza esserlo. Possibile che non gli sia passato per la mente il dubbio che il diverso esito sia dovuto alla diversa religione?

Meddeb ci racconta ancora che la civiltà islamica era molto superiore ed avanzata rispetto a quella Europea, anzi quella Europea ha attinto a piene mani alle ricchezze scientifiche e culturali dell’islàm, riuscendo così a recuperare il tempo perduto, fino a quando una serie di rovesci militari e sociali (crociate, invasione mongola, pagina 71) ed evenienze fortuite (il passaggio dei monopoli di oro, ferro e legno dall’Oriente in Europa) “precipitano il transfert monetario dall’islàm all’Europa. Così l’islàm perde il controllo del commercio internazionale, che non ritroverà mai più” (pagina 72). Si aggiunga la scoperta dell’America e l’apertura di nuove vie commerciali e si spiega il declino dell’islàm che però nel XIX secolo tenta eroicamente di reagire e recuperare il gap tecnologico-culturale che lo separava dal mondo occidentale. Purtroppo questi tentativi furono una serie di clamorosi fiaschi. Perché? Ovviamente furono causati dagli ostacoli posti dagli Europei alla rinascita islamica! Non ci credete? Ecco la prova: la rinascita Giapponese dell’era Meiji, iniziata nel 1868 ebbe successo perché il Giappone era lontano e i cattivi Europei non se ne erano accorti! Ma nel Mediterraneo, gli eroici sforzi dell’islàm, erano destinati a fallire per la chiara e interessata ostilità delle potenze coloniali Europee. A nessuno viene in mente che la vera differenza tra Impero Giapponese e Impero Ottomano era l’islàm? Infine, dopo un ennesimo richiamo allo splendore della civiltà islamica durante l’impero Abbaside (si cade sempre lì, tre secoli scarsi su quattordici) e alle sue grandi realizzazioni successive (?) fino alla decadenza e alla definitiva estinzione del Califfato nel 1924, ci ricorda che il grande Federico II imparò dal Califfo al-Kamil (quello di San Francesco) i princìpi del potere e della differenza tra Califfato e Imamato, idea che Federico, dopo aver fatto la pace col Califfo ed essersi proclamato Re di Gerusalemme, riportò in Europa, iniziando la lotta per la separazione tra Stato e Chiesa che, pur difficile e lunga, ebbe successo e portò grandissimi frutti all’Europa.

3. l’integralismo contro l’Occidente (capitoli 19-27)

Meddeb attribuisce il graduale declino dell’islàm fino al XIX secolo anche alla mancanza nell’islàm di figure come Dante (per il suo De Monarchia) e Federico II che potessero controbilanciare l’influenza di Ibn Taymiyya (ma a me non risulta che sia stato influente, fu solo una figura di mezza tacca, ripescata da Abdul Wahhab nel 1700 e resa celebre oggi dalla pubblicità pagata con i petrodollari Sauditi) e realizzare una effettiva divisione tra potere temporale e potere spirituale come Federico realizzò in Europa. Il brusco risveglio provocò fenomeni nuovi di amore e odio nei riguardi degli Europei più progrediti, ma rapaci e pericolosi. Il risultato fu la comparsa del nazionalismo panarabo e del panislamismo Ottomano, entrambi destinati al fallimento e alla frantumazione. Dalle ceneri di questi fallimenti nacquero i movimenti fondamentalisti neo-hambaliti, i fratelli musulmani di al-Banna in Egitto, il movimento di Maududi nato dai riformatori di Deoband in India (poi Pakistan) e la sintesi fondamentalista e letteralista di Sayyd Qutb, il tutto cementato dal Wahhabismo Saudita e dai suoi petrodollari. “L’integralismo prospera sulle macerie delle esperienze che falliscono” conclude Meddeb.
L’integralismo fondamentalista, ci spiega poi, si propone il ritorno alla società “perfetta” dell’islàm di Medina, mediante l’assoluta obbedienza alla sharia. Un esempio è la pretesa di organizzare l’economia secondo la legge islamica che vieta la riscossione di interessi. Ma non rifugge dall’uso della moderna tecnologia occidentale per la propaganda e la diffusione del movimento e per le forniture militari indispensabili per il jihad. Si tratta di un fondamentalismo xenofobo, antisionista, ipermoralista e contrario alla sensualità, legato alla lettera dei testi sacri. Una tale visione dell’islàm è frutto della mancanza di cultura e della cancellazione della grande tradizione ermeneutica medioevale di cui ci ricorda alcuni esempi.

4. L’occidente esclude l’islàm (capitoli 28-33)

E siamo giunti al terrorismo, malattia dell’islàm e alla sua cura. Cominciamo con una dotta precisazione. I terroristi islamici odierni non sono simili agli “Assassini” Ismailiti medioevali. Assolutamente no. Gli “assassini” sono un mito inventato dagli orientalisti occidentali traumatizzati dagli eccessi di sangue della rivoluzione Francese. I terroristi islamici di oggi sono in realtà figli degli anarchici Europei, chiaro? Quindi smettiamo di infangare l’islàm senza motivo! Dopo un lungo excursus sulla differenza tra testimoni e martiri e sul significato di martirio, specialmente in ambito sciita, con accenni ai martiri palestinesi, ad Abramo e al martirio di suo figlio Ismaele, si accenna alla taqiyya sciita (il sacro inganno), citando poi nell’ordine Lawrence d’Arabia, Sant’Agostino e Ibn Khaldun. Infine, dopo un rapido accenno a Edward Said, al suo orientalismo e alle influenze dell’islàm su Dante, ci ricorda che l’islàm non è tutto uguale e, nell’ambito della storia di questa meravigliosa e tollerante civiltà multiculturale, ci sono stati episodi di fanatismo e violenza anche se, bontà sua, rari e limitati. Ed eccoci finalmente alla cura. Se la malattia è il fondamentalismo derivato dal risentimento per il degrado attuale dell’islàm a cui l’Occidente non è estraneo (anzi!), quale può essere la cura?

La cura riguarda misure esterne e misure interne all’islàm.

Misure esterne: l’occidente deve smetterla di escludere l’islàm, ma deve riconoscere il debito di riconoscenza che l’occidente deve all’islàm. Sarebbe quindi ora che cominciasse a restituire ad un islàm illuminato, ma attualmente in difficoltà, parte di quanto ha ricevuto. Deve anche impegnarsi ad integrarlo nel suo ambito per costruire con esso un modello di società integrata con uguale importanza e dignità delle varie componenti, rimediando alle gravi ingiustizie che ha prodotto per mero interesse egoistico, primo tra tutti il gravissimo problema dei profughi palestinesi, il tutto condito dalle solite dotte citazioni che spaziano da Leo Strauss alla “badalya” di Massignon, da Goethe a Eschilo, da Camus a Voltaire. L’occidente, ci ammonisce Meddeb, deve eliminare la “demonizzazione del palestinese, dell’Arabo, del musulmano, che rivela un razzismo devastante”, perché “è l’esercizio dell’ingiustizia nell’impunità che nutre l’odio e l’orrendo terrorismo che resta l’arma del povero” (pagina 186).

Misure interne: dopo un libro intero di analisi, di dotte citazioni e di valutazioni delle cure esterne all’islàm, cioè a quello che gli altri devono fare per lenire le sue sofferenze, veniamo a ciò che l’islàm dovrebbe fare per curare se stesso. C’è una “intera facciata” devoluta a questo importante argomento, da metà di pagina 188 a metà di pagina 189!! Potrei copiarla, ma in sintesi il distillato di questa cura miracolosa consiste nel tornare al dialogo e ai dibattiti dell’islàm Abbaside, sviluppando lo spirito critico, migliorando la scuola e combattendo il wahhabismo, ripulendo i testi scolastici “dall’integralismo circostante”. A me pare che la montagna abbia partorito il classico topolino: 188 pagine di introduzione per una conclusione di una facciata riassumibile in tre righe!

Il capitolo 33, quasi come la chiusura di una cantica Dantesca, conclude il libro con la citazione di due versetti coranici. Si tratta di un classico esempio di vergognosa taqiyya (inganno religioso), che fa anche sospettare che tutto il libro non sia stato scritto per identificare “la malattia dell’islàm”, ma solo per convincere gli sprovveduti lettori occidentali che il vero islàm non è malato, che lo dobbiamo accettare, che dobbiamo moltissimo a lui e che questa aberrazione bestiale e violenta è solo la comprensibile, anche se non giustificabile, reazione di un marginale gruppo di fondamentalisti fanatici, scatenata dalle gravi ingiustizie a cui l’occidente ha sottoposto l’islàm approfittando della sua debolezza.

I versetti citati sono: Corano II:256 e Corano XVIII:29. Vediamoli.

II:256 “Non c’è costrizione nella religione”.
Ma il versetto continua con: “La retta via ben si distingue dall’errore. Chi dunque rifiuta l’idolo e crede in Allah, si aggrappa all’impugnatura più salda senza rischio di cedimenti. Allah è audiente, sapiente.”
Secondo la maggioranza dei commentatori si tratta di un versetto “abrogato”, ma anche se non lo fosse è contraddetto da decine di altri versetti meno amichevoli verso gli infedeli; tali versetti, essendo successivi, sono quindi più importanti (Principio di abrogazione, alnaskh walmansukh). Si tratta in realtà solo di una esortazione a credere e a convertirsi (e chi non lo fa è un imbecille moralmente condannabile e sarà punito), non è certo un’approvazione del libero pensiero.

XVIII:29 “Di’: « La verità [proviene] dal vostro Signore: creda chi vuole e chi vuole neghi ».”
Questa la parte citata da Meddeb, ma il versetto continua così: “In verità abbiamo preparato per gli ingiusti un fuoco le cui fiamme li circonderanno, e quando imploreranno da bere, saranno abbeverati da un’acqua simile a metallo fuso che ustionerà i loro volti. Che terribile bevanda, che atroce dimora!”
Gli increduli andranno all’inferno per scontare una punizione eterna, quindi sembra un problema tra il miscredente e Dio. Invece bisogna notare che l’infedele è definito “ingiusto” denotando una caratteristica moralmente disdicevole. Il termine Coranico tradotto come “ingiusto” deriva dalla radice ZaLaMa che significa ingiustizia, oppressione, quindi l’infedele è considerato come colpevole e moralmente deprecabile (e quale ermeneutica può sostenere che gli ingiusti sono considerati benevolmente?).

Appendice: Che cosa ci si può attendere da una guerra?

Il libro si conclude con alcune considerazioni critiche sull’America, e sulle strategie elaborate dall’amministrazione repubblicana. Non è contrario tanto per l’atto bellico in sè, ma per i motivi che l’hanno determinato e per l’atteggiamento, a suo parere, anti-islamico e imperialista. La guerra è determinata dal petrolio e la politica Americana è determinata dal Likud. Dopo la “liberazione” la malavita si è scatenata, le opere d’arte Irachene sono state saccheggiate. Di chi la responsabilità? Della potenza che ha rovesciato militarmente il governo legittimo e che ora controlla il paese. Con Saddam non sarebbe successo, ma la prima preoccupazione non era salvare la popolazione o le opere d’arte, ma unicamente i pozzi di petrolio.

E’ forse necessario scrivere una conclusione? A me pare che quanto esposto in precedenza basti e avanzi. Il libretto non affronta la sostanza del problema ma si limita a riproporre la trita e ritrita fantastica interpretazione astorica, politicamente corretta, delle meraviglie della civiltà islamica.

Non si capisce perché una civiltà così meravigliosa sia decaduta, non si capisce perché, a contatto con l’occidente, non sia stata capace di recuperare, non si capisce perché tutti i tentativi di farlo siano miseramente falliti, non si capisce perché, non-ostatnte tutti gli aiuti occidentali ci sia un così grave “risentimento”, non si capisce perché il “risentimento” abbia originato il terrorismo islamico, non si capisce come mai il fenomeno terrorista sia così diffuso e popolare tra le masse islamiche. In una frase: non si capisce nulla

Quello che mi par di capire è che la appartenenza dell’autore ai corretti circoli culturali Francesi, e la sua “correttezza politica” sono l’unico motivo per cui un libro così ha trovato un editore.

Abdelwahab Meddeb
La malattia dell’islàm
228 pagine
Bollati Boringhieri

12 pensieri riguardo “La malattia dell’islàm”

  1. E’ombra forse violenta nascosta dentro una piazza assolata a mezzogiorno-

    L’Islam Civiltà di corsa lontana dai costumi occidentali od almeno da quelli che ci portiamo sulla pelle e nell’anima apparentemente succube di pia religiosità
    Sempre quella mediterranea s’intende

    Ed allora a ritroso bisogna tornare ai tempi di Federico II gli stessi di Ezzelino
    perchè la prova di violenza dell’integralismo della nostra civiltà educata e sempre ubbidiente con l’orecchio teso alla voce papale della Curia in attesa di doni-offerte che fanno brillare gli Ori di Pietro

    Allora perchè diffidiamo irritati
    della Voce dell’Islam

    Facile e difficile chè la diversità sussurra Loro non sono credenti bensì fanatici dell’Islam capovolto

    Concorrenza anche mercantile
    lì forse oltre la nostra non conoscenza ci appare il profilo della scimitarra
    lucente mentre in ginocchio curvi pregano e digiunano come dalle letture del Corano o nelle “Mille e una notte”

    Ogni violenza allora e del Magreb
    gridata a chi appartiene ad altri Credi

    Perchè?

    Nello studio filosofico arriviamo a tempi lontani in cui staticità e leggi di oranti scopriamo
    Civiltà sepolte che gridano forse dignità e diritto paritetico

    La paura nascosta contribuisce ad escludere L’Islam chè noi occidentali
    accusiamo popoli che non solo uccidono
    con loro sconforto sempre sul banco degli imputati tendiamo schiaffarli sperando magari vederli assorbire nel buio e sparire

    Guerre incompiute tra Occidente ed Oriente hanno lasciato segni dolorosi
    L’Islam si ribella ai nostri”voleri”

    La potente apparente nostra religiosità ha sete e fame di proselitismo e senza sapere forse indica “sempre” col dito accusatore
    il torto solo in un senso

    Capiremo un giorno
    chissà quando e dove che la violenza verrà sostituita da un fratello universale

    Ammalato l’Islam non mi pare chè dobbiamo anche noi
    confessarci e saper vedere i nostri immensi torti

    Bisogna sapere e capire.

    dario.

  2. Bello, molto poetico, peccato che sia tutto sbagliato. Bisogna studiare la storia, tutta, senza cancellare le parti scomode. Così facendo ci si allontana dalla verità e dalla comprensione. I Cristiani (gli occidentali) si sono macchiati di crimini orrendi. Come i musulmani. Noi lo ammettiamo. Loro no. Questa è la differenza.
    Paolo Mantellini

  3. Noi chi
    caro Mantellini
    noi chi

    In vero io so anche se in modo sgarbugliato i crimini ed i misfatti compiuti dall’occidente
    io lo conosco il mandante ed i soldati attuali e quelli dell’antica storia
    Ricordo le conquiste d’intere civiltà dopo la scoperta dell’america le alte croci portate in mano parallele alle spade che zac. o mi credi e baci le vesti della nuova voce o la testa salta per terra come di fatto avvenne ed intere civilà stupite scomparvero

    Noi ammettiamo sui libri di scuola tanto per cominciare tali misfatti
    io non ricordo e manco in chiesa chiediamo perdono per il dolore e gli inumani gesti

    E’ scomoda la verità tutta la verità anzi la facciamo nostra ed diamo per scontato il torto e l’orrore che solo suscita l’Islam è glaciale

    Come tutte le religioni la concorrenza è spietata e specie in questo momento il nostro credo è carente di umiltà e quanto predica cozza in toto contro il divenire del giorno quasi che il dio nostro fosse qualora esistesse solo vero e solo nostro

    Io penso e dubito di tutto quanto so e non conosco

    Mi sento a disagio ed intruso nel verbo che mi circonda come se fosse sudario
    Non quello esposto a Torino ch’è spettacolo triste ed incomprensibile

    Mercanti di anime
    e forse manca Gesù con lo scudiscio per cacciare l’egoismo ed i misfatti tutti

    Ricominciare dal principio ed onestamente come Francesco vestirsi di nulla e dare dare dare

    Grazie per la ospitalità e scusa se non sono riuscito a farmi capire

    “cose”

    dario.

  4. Caro Dario, hai ragione, ma il problema, secondo me, è l’uomo: è nato egoista e peccatore e vive in un mondo imperfetto.
    Le religioni dovrebbero cercare di migliorarlo (senza mai riuscirci completamente). Sono quindi “percorsi” verso il miglioramento (mi pare che lo sostenesse Leo Staruss).
    La mia convinzione è che la tradizione religiosa giudaico-cristiana, alla base dello stesso illuminismo (anticlericale sì, ma non anticristiano nei principi; pensa, per esempio, al trattato sulla tolleranza di Voltaire) ci stia faticosamente riuscendo, anche se la perfezione non potrà mai essere raggiunta.
    L’islàm, o almeno la sua versione sia classica che moderna, no. E’ solo un vicolo cieco, un cadavere mumificato, un suicidio culturale.
    Nei miei scritti cerco solo di dimostrarlo, a partire dai pilastri dell’islàm, il Corano e la Sunna del profeta, ma anche analizzando la storia “vera” dell’islàm, non quella fantasia politicamente corretta che ci viene ammannita oggi da molte Università occidentali e da molti intellettuali, finanziati dai petrodollari Sauditi (vuoi nomi? Uno per tutti: John Esposito, Università di Georgetown, Washington DC).

    Hai ragione quando lamenti la distruzione di intere civiltà, fatta con la spada e la croce e l’occidente oggi lo riconosce e lo ritiene un crimine da non commettere più in futuro.
    L’islàm invece non riconosce i suoi crimini (Voi siete la migliore comunità che sia stata suscitata fra gli uomini. Corano 3:110); vuoi un esempio? Il genocidio Armeno, di cui è reato parlare nella democratica Turchia, fu ordinato dal Sultano perché i dhimmi Armeni cercavano di emanciparsi dal pesante giogo Ottomano, quindi, come sudditi ribelli, furono giustamente puniti e ricondotti al loro stato servile precedente; per misura precauzionale, la popolazione veniva spesso deportata e chi tentava di resistere, sommariamente ucciso. La lotta, iniziata alla fine dell’800, dopo centinaia di migliaia di morti, culminò nel 1915-1916 con l’esecuzione pianificata di oltre un milione di Armeni; poi calò il silenzio. Questo è l’islàm politico, la civiltà islamica che ci viene falsamente spacciata come un esempio di “tolleranza” e come contro-altare accusatorio di un Cristianesimo becero violento e oscurantista.

    Mi sembra un classico esempio di inaccettabile doppiopesismo. O sbaglio?

  5. Non sbagli, hai ragione, ma la prima recensione era probabilmente inventata. Io ho letto il libro, proprio a causa di quella recensione, ma, conoscendo abbastanza l’argomento, sono rimasto allibito e ho ritenuto utile scriverne una un poco più corretta. Tutte le idee sono rispettabili, ma quando contrastano coi fatti e con la verità, bisogna dirlo, e bisogna anche dire che sono idee sbagliate. Secondo me la diagnosi e la cura che Meddeb propone nel suo libro sono profondamente sbagliate, e nella recensione ne ho spiegato i motivi. Ciò serve anche a stimolare un sano dibattito, almeno credo. Io tra l’altro sono alla ricerca continua dell’islàm moderato, di cui tutti parlano, ma che nessuno sa definire. Comincio a temere che sia come l’Araba Fenice: tutti ne hanno sentito parlare, ma non esiste!
    Un caro saluto
    Paolo

  6. io non letto ancora il libro. in ogni caso lei mi indispone. che bisogno c’è, ad esmpio, di attacare l’autore dell’altra recensione?

  7. Quando non si è d’accordo sulla sostanza com’è possibile la critica senza riferirsi a colui, anzi a colei in questo caso, che ha scritto la recensione?
    Se abbiamo elementi e fatti diversi da quelli esposti da Mantellini basta solo scriverli e motivarli. Aggiungo subito che, pur dal mio limitato orizzonte, per ora non ne trovo.

  8. L’islam moderato secondo lei come sarebbe?
    Come i cristiani moderati?
    non va a messa , non crede nella superiorità della sua religione? insomma i cristiani moderati come sarebbero’
    e gli islamici?
    puoi essere un cretino cristiano-vedi i legionari, e le altre balle americane ,e un cretino islamico, bombatroli, burka, mogli giovanissime, leggi lapidazioni frustae e quant’altro.
    io distinguerei da cretini o non cretini.
    e, mi dica, esistono anche gli atei moderati’ magari non credono in niente all’infuori di san giuseppe o di sant’ippolito…no, mi dica cosa sono sti moderati. grzie

  9. al di fuori degli errori d’ortografia imputabili alla rabbia di sentire sempre le stesse cose senza significato: quello che volevo sapere è questo: come dovrebbero essere i “moderati” islamici?
    perchè il signore di cui sopra spende tante ore per sfruculiare sul corano?
    perchè mai si dovrebbe proibire o modificare una religione da parte di qualcuno che non la vive?
    perchè?
    per fortuna sono atea, e non mi sporco la mente o le mani con libri che sono sati manipolati da chissà quanti nei secoli.
    dettati da angeli poi!
    insomma, siamo alla follia pura, nemmeno la scienza riesce a fare breccia, non può esserci un figlio di una vergine, un angelo non può dettare qualsivoglia cosa!
    ma perchè non lo capite questo?
    è così difficile?
    l’unica differenza che mi sento di fare è fra chi paga le tasse e chi no. chi è onesto e chi no.
    semplice.

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