Giorno dopo giorno, mese dopo mese, gli americani in Iraq ricordano sempre più una carovana di pionieri nel mezzo del guado di un grosso fiume la cui portata si ingrossa velocemente.
Alcuni propendono per continuare l’attraversamento (un’ipotetica escalation militare), altri per ritornare indietro (disimpegno), ma il rischio concreto è che, nel tira e molla tra i litiganti, essi rimangano in mezzo al guado all’arrivo dell’ondata di piena (cioè con pochi uomini e senza un piano nel bel mezzo di una guerra civile).
L’amministrazione Bush sembra aver scelto la prima opzione, cioè quella dell’escalation militare, inviando altri 20.000 uomini ad ingrossare le fila di un esercito in palese difficoltà.
Ma a cosa servono in concreto questi uomini?
Se ci fosse una guerra convenzionale il loro ruolo sarebbe chiaro, ma nel contesto iracheno non si vede la loro reale utilità.
Come forza di ordine pubblico sono come una goccia in un oceano, poichè l’Iraq è talmente vasto e popoloso che richiederebbe un contingente ben maggiore. In che modo si potrebbe impiegarli? Non certo mettendo un marine ad ogni incrocio come si fa con i vigili urbani e neanche usandoli come forze di polizia dato che, operando in uno scenario di guerra in cui quasi tutti sono armati fino ai denti, finirebbero per diventare dei bersagli o dei capri espiatori.
Ma questi soldati non potranno essere usati neanche con tattiche convenzionali perchè la guerra irachena è massimamente asimmetrica e tutta la potenza di fuoco americana è inutile contro dei bersagli che si nascondono e si mescolano tra la popolazione civile.
Proseguendo cocciutamente su questa strada, Bush sta perdendo l’appoggio del suo stesso partito come si legge in un interessante articolo di Newsweek dal titolo esplicativo: “The Republican Revolt – How close is Bush to losing is own party“.
La paura di fondo è sempre la famigerata “sindrome del Vietnam” ovvero di una guerra in cui l’escalation militare abbia effetti disastrosi.
I Democratici, guidati dalla pasionaria Nancy Pelosi, e gran parte dei “realisti” sembrano invece propendere per la strada del “disimpegno”, cioè far tornare il grosso dell’esercito e far rimanere solo delle forze che prevengano delle possibili intromissioni “esterne” e che controllino le “risorse strategiche” dando solo un appoggio al governo legittimo iracheno.
Questa soluzione sembra molto cinica e anche un pò machiavellica:
-Cinica perchè gli americani si tirerebbero fuori dai guai passando la patata bollente agli stessi iracheni.
-Machiavellica perchè, lasciando sunniti, sciiti e curdi a combattersi tra loro, gli americani farebbero un pò ciò che i Romani facevano coi popoli sottomessi: Divide et Impera.
A prima vista ciò sembrerebbe molto semplice e pragmatico, se non ci fossero alcuni aspetti da considerare.
In primis il conflitto si potrebbe estendere a tutta l’aria mediorentale dato che, probabilmente, le potenze confinanti (Arabia Saudita e Iran su tutti) non vedrebbero certo di buon occhio la sconfitta dei propri correligionari, e l’eccessiva autonomia di un popolo come quello curdo minaccerebbe gravemente anche l’unità della stessa Turchia, che avrebbe così un pretesto per intervenire.
Un conflitto di questa portata in una zona del mondo tanto nevralgica (soprattutto per la stabilità energetica mondiale) non è certo auspicabile da nessuno.
In secondo luogo viene da chiedersi quale governo sosterrebbero gli americani visto che recentemente la stessa Condoleeza Rice ha delegittimato il premier al-Maliki, eletto “democraticamente” solo pochi mesi fa, invitandolo a proseguire nella strada della conciliazione coi sunniti con più veemenza ed in tempi più stretti (in pratica è una specie di ultimatum del tipo o fai qualcosa o ti mandiamo a casa).
Insomma tra escalation e disimpegno, l’America rischia seriamente di rimanere in mezzo al guado in una guerra civile sempre più intensa (le cronache raccontano quotidianamente di stragi e attentati) senza avere nè i mezzi nè una strategia per contrastarla efficacemente.
Una sfida veramente complessa che si gioca simultaneamente a Baghdad e a Washington, di cui oggi non si riesce ad intravedere il possibile esito finale e che promette di essere uno dei motivi topici nella corsa alla Casa Bianca del 2008.
Apprezzo gli interventi di grande respiro, di politica internazionale, a firma di Gaspa. Di solito, per quanto mi riguarda, preferisco scrivere su fatti locali, anche minori.
Non sono del tutto convinto circa la bontà assoluta di quelle posizioni che mostrano sempre un tratto di equidistanza. Infondo quello che potrebbe essere una visione super partes.
Anche su questo argomento proverò a fare il bastian contrario.
Ho letto, e spero di aver capito bene, che Nancy Pelosi non negherà a George W. Bush i soldi necessari a finanziare l’invio del nuovo contingente miliare, cioè dei 21.500 uomini destinati a rinforzare la discussa presenza degli USA in Iraq.
D’altronde i Democratici hanno sostenuto fin dal 2003, quindi dall’inizio della guerra, quella che molti in Italia credono sia soltanto “la guerra di Bush”.
Adesso che abbiamo fresca, fresca la notizia della candidatura di Hillary Clinton ricordiamo anche che fu il Presidente Clinton, con il voto unanime di tutti i big del partito (e poi di tutti i possibili candidati alle presidenziali) ad autorizzare l’uso della forza militare. E’ sua la dottrina del cosiddetto “regime change”. Non dimentichiamolo.
Mah, a me sembra che Bush sia sempre più solo nel suo testardo convincimento di avviare una escalation militare in Iraq.
Anche nel suo partito molto storcono il naso e disapprovano apertamente la sua politica in vista delle elezioni presidenziali del 2008, in cui i candidati repubblicani dovranno smarcarsi dal presidente attuale che è in calo netto e progressivo di consensi.
I democratici, dal canto loro, non hanno alcuna intenzione di fermare il presidente nella sua cocciuta ostinazione dato che il suddetto calo di popolarità non farà altro che favorire il loro candidato.
Io onestamente non riesco a capire quale sia la soluzione migliore per l’Iraq.
Ho già detto che gli americani hanno voluto scoperchiare questo vaso di Pandora e ora non sanno bene che pesci pigliare: una guerra contro Saddam era una cosa, una guerra civile tra gruppi bene armati e finanziati da stati esteri è un’altra!
Quale strategia è quella giusta? IMHO nessuna è giusta, ma non perchè voglio tenermi super-partes, ma perchè ognuna ha i suoi punti deboli.
L’unica soluzione sensata, ma di difficilissima attuazione, sarebbe un accordo politico tra le 3 principali fazioni per spartirsi in modo equo i proventi del petrolio in uno stato federato con forti autonomie e una gestione condivisa del potere centrale.
Anche questa soluzione ha le sue pecche perchè l’Iran vede di buon occhio un potere nelle mani della maggioranza sciita, la Turchia vede come il fumo negli occhi uno stato curdo fortemente autonomo mentre gli unici soddisfatti da un accordo del genere potrebbero essere i Sauditi.
Insomma io reputo che Bush e la sua amministrazione abbiano avviato una guerra in modo un pò ingenuo pensando che la democrazia sarebbe stata la panacea per tutti i mali.
Invece la storia è andata diversamente e la guerra si è trasformata davanti agli occhi impotenti degli americani che ora sembrano confusi e molto divisi sulla strategia da adottare.
Per questo li vedo come una carovana in mezzo al guado in un tira e molla politico che forse lascerà l’esercito in balia degli eventi.