Il nuovo libro di Jared Diamond

E’ uscito da poche settimane il quarto libro di Jared Diamond, antropologo ed eccellente divulgatore, autore di “Armi, acciao e malattie” (1997), “Evoluzione della sessualità‘” (1998) e “Il terzo scimpanze‘” (1991).

Collapse: How Societies Choose to Fail or Survive“, questo e’ il titolo dell’opera, verra’ tradotta da Einaudi in autunno.
Ecco alcuni link utili per saperne di piu’ su questo libro:

Il deserto dei Tartari

Philippe Noiret nel film “Il deserto dei Tartari” (1977)

Di questo celebre romanzo di Dino Buzzati possiamo amare lo stile onirico, l’ambientazione fuori dal tempo, il modo in cui trasmette il mistero e il fascino della montagna. Piu’ di tutto, pero’, racconta di ideali e di sentimenti antichi e universali quanto l’uomo.
E’ un libro che puo’ colpire nel profondo, e costringerci a (ri)pensare la nostra vita.

Il cognome di Eva

Secondo le leggi di Volterra, se due o più popolazioni sono in concorrenza tra loro, inevitabilmente soltanto una di esse finirà per sopravvivere.
Facciamo un esperimento: prendiamo tutti gli abitanti di una città e raggruppiamoli per cognome, immaginando che ogni cognome contraddistingua una diversa "popolazione"; la città risulterà così divisa in tanti gruppi quanti sono i cognomi presenti.
Ciascuna di queste "popolazioni" si trova a competere con tutte le altre per la sopravvivenza. Non sappiamo chi vincerà ma la matematica di Volterra prevede che, in assenza di immigrazione, prima o poi tutti gli abitanti della città finiranno per avere lo stesso cognome.

Questo fenomeno accade realmente: in Occidente è poco visibile, visto che i cognomi hanno pochi secoli di vita, ma in Cina, dove alcuni di essi esistono da più di 4000 anni, ci sono interi paesi dove tutti hanno lo stesso cognome.

Lo stesso effetto, in generale noto ai biologi come "deriva genetica", può essere osservato guardando il passato e utilizzando caratteristiche ben piu’ antiche dei cognomi. A tal proposito ci chiediamo: puo’ l’intera popolazione mondiale di oggi essere la sola sopravvissuta alla competizione con diverse altre popolazioni in una lotta durata migliaia di anni di storia evolutiva umana? Se si, cosa contraddistingue questa popolazione vincente dalle altre ormai scomparse?

La maggior parte dei paleoantropologi sostiene che l’uomo moderno (homo sapiens sapiens) abbia avuto origine in Africa, e da li’ sia uscito circa 100 mila anni fa per colonizzare il resto del Mondo. E’ dunque corretto supporre che tutti noi discendiamo da un gruppo di progenitori vissuti in Africa in un istante qualsiasi della nostra storia anteriore a 100 mila anni fa.
Ogni donna di questo gruppo diede origine ad una propria distinta discendenza; possiamo dunque pensare che ciascuno di noi, oggi, appartenga ad una di queste progenie, insieme a quanti condividono con lui la stessa antica progenitrice.
E se andassimo indietro oltre i 100 mila anni, troveremmo la progenitrice comune a tutti gli attuali abitanti della Terra? In altre parole, noi tutti discendiamo da una sola donna?
L’esistenza di questa "Eva" primordiale, storica e non biblica, e’ verosimile e giustificata dalla logica e dalla matematica. Ma e’ la genetica a darci il sostegno definitivo.

I mitocondri sono piccoli organi interni alle nostre cellule; un tempo erano batteri liberi, e per questo conservano un proprio filamento di DNA. Il DNA mitocondriale (mtDNA) si eredita solamente dalla propria madre, per cui le persone imparentate per via materna hanno lo stesso mtDNA. Naturalmente due persone prese a caso hanno due mtDNA diversi, questo perche’ il mitocondrio e’ soggetto a mutazioni genetiche: ogni tanto una bambina presenta mitocondri leggermente diversi da quello della propria madre. E’ corretto ritenere che piu’ simili saranno gli mtDNA di due individui, piu’ recentemente sara’ vissuta l’ultima progenitrice comune ad entrambi. Dunque l’mtDNA è un orologio biologico e indica il grado di diversità dei nostri alberi genealogici.

Veniamo all’ipotesi su Eva: in effetti e’ corretto pensare ad una progenitrice comune in quanto, proprio grazie alle leggi di Volterra, possiamo ritenere che sia sopravvissuto solamente il DNA mitocondriale di una delle tante progenitrici esistite; questo mtDNA, sottoposto nel tempo a continue mutazioni genetiche, ha prodotto la diversita’ di mtDNA che vediamo oggi.
Come i cognomi, il DNA dei mitocondri si eredita da un genitore soltanto; e proprio come i cognomi cinesi, dopo millenni di lotta e competizione solamente un mtDNA e’ sopravvissuto, sebbene minato dalle inevitabili mutazioni genetiche.

Ammesso che questa "Eva" sia esistita, quando sarebbe vissuta? I calcoli sono sempre basati sull’mtDNA, che appunto funziona da orologio dell’evoluzione, e ci portano a circa 190 mila anni fa. Un dato che collima abbastanza fedelmente con le prove paleontologiche gia’ citate.

Per approfondire:
Chi siamo. La storia della diversità umana
di Luigi e Francesco Cavalli-Sforza
Mondadori (1993)

I primi commenti a caldo

Pochi minuti sono trascorsi dall’«Habemus Papam» televisivo.
Il Cardinale Castillo Lara: “è la persona ideale, spero di non sbagliarmi”.
Vespa azzarda: “le riforme di sinistra le fanno quelli di destra”.
A San Pietro una ragazza, tra le prime intervistate, conclude secca: “è una scelta che non mi piace”; il giornalista mette una pezza: “è normale, bisogna aspettare” e poi sospende le domande in diretta, si ripiegherà su quelle confezionate per il telegiornale delle 20.

Dalla piazza poi qualcun risponde: “sono deluso”; un altro semplicemente che “non è male”; un uomo, pochi minuti dopo, confessa: “speravo in un Papa latino-americano”.
Complessivamente ho percepito delusione dalla piazza, rassicurazione dai giornalisti, speranza da parte di tutti.

Dicono sia persona cordialissima e disposta al dialogo, teologo eccellente, professore di lunga esperienza, colto, gran lavoratore. Forse questo basterà.
Di certo, abituati al Grande Karol, ci colpisce la Sua gestualità, ridotta e composta, il Suo linguaggio, formale e accademico, ed anche i Suoi messaggi, tanto ortodossi quanto freddi.
C’è da sperare che almeno i Papa-boys (su di noi non c’e’ speranza), tra un canto Gregoriano e una messa in latino, non esagerino con gli sbadigli.

Ancora droga

Mi si permetta un appunto in merito all’eterno dibattito sulle droghe, recentemente ripreso sul vostro sito dopo i "fatti" del Mezza Canaja.

Le politiche attuali sulle droghe sono vecchie di novanta anni ma non hanno ancora risolto il problema per cui sono nate, anzi ne hanno creati molti altri: nutrono i fatturati della grande e piccola criminalità, rallentano (paralizzano?) l’azione giudiziaria e quella delle forze dell’ordine (si può svuotare l’oceano con un cucchiaino?), nel complesso incentivano a partecipare all’"affare droga", che rende più di ogni altro affare legale.

Chi e’ malato ha bisogno di cure mediche. Chi si droga ha bisogno di medici, psicologi, assistenti sociali, riabilitazione, ma anche di lavorare e di vivere. E’ difficile credere che abbia bisogno di galera, di dormire per strada, di fare una vita da criminale, di rubare, spacciare, ammazzare, con la disperazione nelle vene. Le politiche attuali sulle droghe sono rudimentali e primitive, in quanto pretendono di affrontare problemi socio-sanitari con la polizia.

Lo Stato affronta la questione droghe con schizofrenia: i consumatori di certe droghe (sigarette, alcool, psicofarmaci…) sono dissuasi, curati, se necessario forniti delle loro droghe; e questo avviene in modo legale, garantito, medicalmente assistito; i consumatori di altre Droghe (hashish, marijuana, cocaina, eroina…) sono molto meno fortunati: in quanto "diversi" essi prima vengono ignorati e abbandonati, poi, quando il loro problema medico si aggrava e diviene questione di sicurezza e di ordine pubblico, essi sono trattati inevitabilmente da criminali.

Spesso si dice che vendere sigarette e alcool con una mano e con l’altra combattere tumori ed incidenti stradali sia un atteggiamento contraddittorio e ipocrita dello Stato. Al contrario, penso che lo Stato faccia bene ad agire così, e faccia male a non agire allo stesso modo verso tutte le droghe ora "proibite" (leggere e pesanti). Pensiamo che controllare il mercato, evitando i suoi sregolati eccessi, sia l’unico modo per limitarne i danni. Il confronto non e’ tra droga si e droga no; la scelta da fare e’ tra droga LIBERA, cioè di contrabbando, ovunque, per chiunque, senza controllo, e droga LEGALE, dunque offerta secondo criteri medico-scientifici volti alla riduzione del danno, e concentrando gli sforzi nella cura della domanda.

Nota: Quest’articolo è stato anche pubblicato il 12/01/2005 su Vivere Senigallia con il titolo "L’attuale politica sulla droga è sorpassata".

Cecenia, il disonore russo

Le guerre, si sa, non sono tutte uguali. Capita che i morti dell’Iraq si possano contare uno ad uno sui TG, mentre in Cecenia, nel silenzio, si muore “per un si o per un no”, oppure, piu’ semplicemente, per essere ceceno.
Per l’esattezza un ceceno su cinque e’ morto negli ultimi dieci anni a causa di due guerre, ripetutesi su un territorio grande come la Campania e una capitale, Grozny, ormai rasa al suolo. Perche’?

Il libro cerca di rispondere fin dall’introduzione, in cui il francese Andre’ Glucksmann ci riporta alla realta’ della storia, e ci spiega che i perche’ non vanno cercati in Cecenia ma nel resto della Russia, e siano di natura politica, di antica data.

Anna Politkovskaia, quarantenne giornalista russa, premio OSCE 2003 per il giornalismo e la democrazia, ci racconta soprattutto i come: come si vive, come (non) si mangia o (non) ci si lava e invece troppo spesso si muore in massacri gratuiti.
La giornalista disegna personaggi reali e conosciuti personalmente, soldati e alti ufficiali russi, gente comune e capi ceceni, e racconta avvenimenti visti e uditi, o raccolti in testimonianze dal valore storico, oltre che giornalistico.

Anna Politkovskaia parla anche da protagonista, avendo vissuto spesso in Cecenia negli ultimi dieci anni ed essendo stata la mediatrice durante il tragico sequestro nel teatro Nord-Ost a Mosca nell’ottobre 2002 costato la vita a piu’ di 140 persone: quel gesto terroristico, “frutto della disperazione”, e’ ripreso da vicino, in una cronaca chiara e appassionante.

Il libro spiega cosa ci sia dietro la parola Zaciska, e chiarisce come a compiere i misfatti piu’ efferati sia il banditismo, spietato quanto ben organizzato, costituito da russi e ceceni, alleati in nome del redditizio contrabbando di petrolio; a tutto cio’ assiste l’esercito russo, nutrito dai disordini che esso stesso alimenta. La corruzione nell’esercito e’ giunta al punto in cui gli ufficiali negano ai soldati meta’ della ricca ricompensa di guerra se questi chiedono di tornare a casa.

Ma l’esercito in Russia, e in modo particolare le unita’ speciali di stanza in Cecenia, sono un governo nel governo, una autorita’ autonoma e molto potente, che nemmeno i tribunali hanno il coraggio di toccare. Il caso del colonnello Budanov ne e’ la dimostrazione: dopo aver rapito, violentato e strangolato una diciottenne cecena, Budanov e’ stato assolto perche’ “temporaneamente irresponsabile” nel momento dell’omicidio.

Al Governo russo la Politkovskaia riserva un intero capitolo: l’amministrazione Putin vuole apparire all’esterno come garante dell’ordine e della sicurezza, ma in realta’ getta benzina sul fuoco e i suoi servizi segreti (FSB, ex KGB) sono particolarmente attivi in questo. In Russia il ceceno e’ “diverso”, malvisto e vessato dalla polizia. In TV gli sceneggiati in prima serata lo descrivono crudele e spietato mentre i russi sono raffigurati come eroi esemplari: in Russia il razzismo e’ di Stato.

Ma tutti i russi, eccetto forse i caucasici, vivono tradizionalmente da subalterni verso lo Stato, “non c’e’ popolazione meno sicura di se dei cittadini russi”, dice l’autrice, che spiega come verso l’autorita’ essi non alzino mai la testa, a meno di essere persone particolarmente importanti, per fama, soldi o meriti militari, motivi di molto superiori rispetto ai semplici diritti umani o civili. Questo atteggiamento e’ piu’ antico del comunismo ed si e’ ben conservato fino ad oggi.

In sintesi quello di Anna Politkovskaia, edito da Fandango, e’ un libro di estrema attualita’, per non dimenticare che dietro la “lotta al terrorismo” ci sia di tutto, anche un genocidio.