Cecenia, il disonore russo

Le guerre, si sa, non sono tutte uguali. Capita che i morti dell’Iraq si possano contare uno ad uno sui TG, mentre in Cecenia, nel silenzio, si muore “per un si o per un no”, oppure, piu’ semplicemente, per essere ceceno.
Per l’esattezza un ceceno su cinque e’ morto negli ultimi dieci anni a causa di due guerre, ripetutesi su un territorio grande come la Campania e una capitale, Grozny, ormai rasa al suolo. Perche’?

Il libro cerca di rispondere fin dall’introduzione, in cui il francese Andre’ Glucksmann ci riporta alla realta’ della storia, e ci spiega che i perche’ non vanno cercati in Cecenia ma nel resto della Russia, e siano di natura politica, di antica data.

Anna Politkovskaia, quarantenne giornalista russa, premio OSCE 2003 per il giornalismo e la democrazia, ci racconta soprattutto i come: come si vive, come (non) si mangia o (non) ci si lava e invece troppo spesso si muore in massacri gratuiti.
La giornalista disegna personaggi reali e conosciuti personalmente, soldati e alti ufficiali russi, gente comune e capi ceceni, e racconta avvenimenti visti e uditi, o raccolti in testimonianze dal valore storico, oltre che giornalistico.

Anna Politkovskaia parla anche da protagonista, avendo vissuto spesso in Cecenia negli ultimi dieci anni ed essendo stata la mediatrice durante il tragico sequestro nel teatro Nord-Ost a Mosca nell’ottobre 2002 costato la vita a piu’ di 140 persone: quel gesto terroristico, “frutto della disperazione”, e’ ripreso da vicino, in una cronaca chiara e appassionante.

Il libro spiega cosa ci sia dietro la parola Zaciska, e chiarisce come a compiere i misfatti piu’ efferati sia il banditismo, spietato quanto ben organizzato, costituito da russi e ceceni, alleati in nome del redditizio contrabbando di petrolio; a tutto cio’ assiste l’esercito russo, nutrito dai disordini che esso stesso alimenta. La corruzione nell’esercito e’ giunta al punto in cui gli ufficiali negano ai soldati meta’ della ricca ricompensa di guerra se questi chiedono di tornare a casa.

Ma l’esercito in Russia, e in modo particolare le unita’ speciali di stanza in Cecenia, sono un governo nel governo, una autorita’ autonoma e molto potente, che nemmeno i tribunali hanno il coraggio di toccare. Il caso del colonnello Budanov ne e’ la dimostrazione: dopo aver rapito, violentato e strangolato una diciottenne cecena, Budanov e’ stato assolto perche’ “temporaneamente irresponsabile” nel momento dell’omicidio.

Al Governo russo la Politkovskaia riserva un intero capitolo: l’amministrazione Putin vuole apparire all’esterno come garante dell’ordine e della sicurezza, ma in realta’ getta benzina sul fuoco e i suoi servizi segreti (FSB, ex KGB) sono particolarmente attivi in questo. In Russia il ceceno e’ “diverso”, malvisto e vessato dalla polizia. In TV gli sceneggiati in prima serata lo descrivono crudele e spietato mentre i russi sono raffigurati come eroi esemplari: in Russia il razzismo e’ di Stato.

Ma tutti i russi, eccetto forse i caucasici, vivono tradizionalmente da subalterni verso lo Stato, “non c’e’ popolazione meno sicura di se dei cittadini russi”, dice l’autrice, che spiega come verso l’autorita’ essi non alzino mai la testa, a meno di essere persone particolarmente importanti, per fama, soldi o meriti militari, motivi di molto superiori rispetto ai semplici diritti umani o civili. Questo atteggiamento e’ piu’ antico del comunismo ed si e’ ben conservato fino ad oggi.

In sintesi quello di Anna Politkovskaia, edito da Fandango, e’ un libro di estrema attualita’, per non dimenticare che dietro la “lotta al terrorismo” ci sia di tutto, anche un genocidio.