(segue…) Il 1979 è l’anno in cui, dopo la drammatica vicenda del Palalido nel 1976, De Gregori torna a cantare in pubblico, e lo fa facendo le cose in grande, con una tournée (“Banana Republic”), insieme a Lucio Dalla e ad un allora giovanissimo Rosalino Cellamare (Ron), che dimostra come sia ancora possibile anche per i cantanti italiani, e non solo per le grandi pop e rock star straniere, riempire gli stadi delle più grandi città italiane; questa tournée ha anche il merito di svelare il potenziale commerciale dei dischi “live – made in Italy”.
Ma il 1979 è anche l’anno in cui esce “Viva l’Italia”, un album che, a dispetto del titolo, è tutto incentrato sul viaggio (“Capo d’Africa”, “Buenos Aires”, “L’ultima nave”; “Stella stellina”, “Gesù Bambino”…), oltre che sulle sonorità d’oltreoceano e sull’attraversamento.
Oltre alla canzone che dà il titolo all’album, è forse proprio “Gesù Bambino” (a volte si trova il titolo “Gesù Bambino e la Guerra”) a riassumere meglio i temi ricorrenti di questo album: il mondo dell’infanzia, innanzi tutto (a differenza dei Paesi del nord), in quasi tutte le regioni italiane la “letterina di Natale” viene inviata a Gesù Bambino, e non a Babbo Natale”) ed il conseguente linguaggio volutamente infantile ed ingenuo, che soccorre De Gregori per definire la guerra per quello che non è, descrivendola nel suo contrario:
Fa che sia pulita / come una ferita piccina picciò / fa che sia breve / come un fiocco di neve / e fa’ che si porti via / la malasorte e la malattia / fa che duri poco / e che sia come un gioco
è esattamente tutto ciò che la guerra non può essere, e che solo l’immaginazione infantile riesce a trasformare:
Tu che le hai viste tutte / e sai che tutto non è ancora niente / se questa guerra deve proprio farsi / fa’ che non la faccia la gente / (…) e quando poi sarà finita / fa’ che non la ricordi nessuno
Accanto al mondo dell’infanzia c’è però, dicevamo, l’evocazione del viaggio come trasformazione della realtà:
Tu che conosci la stazione / e tutti quelli che ci vanno a dormire / fagli avere un giorno l’occasione / di potere anche loro partire / partire senza biglietto / senza biglietto andare via / per essere davvero liberi / non occorre la ferrovia
anche in questo il caso, il viaggio non è autentico, anzi: si tratta di una partenza irreale, non necessariamente vera; è più che altro il sogno del cambiamento, della vita diversa.
“Viva l’Italia” (intesa come canzone) è invece un capitolo a sé, qualcosa che vive di vita propria al di là del contesto in cui si inserisce, cioè il disco che porta lo stesso nome: “Viva l’Italia” ha subito, come è facilmente prevedibile, un destino di manipolazione: l’MSI la fa propria in una campagna elettorale, e, per impedirlo, De Gregori deve ricorrere al giudice; anche i socialisti ne fanno la colonna sonora di molte assise: De Gregori non ricorre in questo caso al giudice, ma è costretto a chiedere ad un amico di smettere di usarla; la canzone è da sempre una delle più amate dal mondo che si riconosce nella sinistra, ma De Gregori vuole che “Viva l’Italia” sia, soprattutto, una canzone popolare, dove “popolare” (come spiega Roberto Vecchioni ai suoi studenti del DAMS di Torino) va inteso “in senso romantico: tutto ciò che non ha un autore preciso ma è dell’animo primordiale di una gente, di una nazione”.
Da sempre, nei concerti di De Gregori (sia in quelli nei teatri di fronte a poche centinaia di persone, sia in quelli all’aperto, di fronte a decine di migliaia di spettatori), il verso “Viva l’Italia / l’Italia che resiste” è uno dei momenti più attesi, in cui tutto il pubblico ruggisce in coro quel verso, come un urlo liberatorio, innalzandolo a slogan, a parola d’ordine, a imperio: poche canzoni nella musica italiana hanno saputo creare questo effetto di identificazione per il pubblico. (continua…)
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