Vive nel Veneto, lavorando nell’azienda agricola di famiglia, il giovane studioso d’economia che ha scritto questo saggio pubblicato nel 2004.
Il libro m’è pervenuto da un caro amico che, con sano spirito provocatore, mi ha consegnato non uno, ma due volumi della sua biblioteca. L’altro, di cui non posso qui riferire, è senz’altro prezioso in quanto a soli dieci anni dalla pubblicazione (Mondadori) è divenuto del tutto introvabile.
Tornando all’ecologia liberale di Novello Papafava ammetto subito che si presenta problematico scrivere un’ordinaria pagina di recensione.
L’esercizio in genere segue uno schema consolidato: si evidenziano gli spunti salienti, magari quelli in accordo o in disaccordo con il proprio modo di pensare e si indicano le nuove conoscenze acquisite. Magari ci si impegna nel gioco di spigolare per cogliere quei minuti, ma significativi particolari, che rendono più attraente la lettura e più coinvolgenti le tesi esposte. Capita di dover criticare le tesi, le idee e le proposte di un autore quando non ci sentiamo in sintonia.
Questo libro però, fin dal titolo, si presenta come un boccone accattivante: affronta “l’ecologia liberale”. A bilanciare la prima impressione, quanto conta il titolo alle volte!, c’è quel “Proprietari di se e della natura” che induce a riflettere. Per la mia “weltanschauung “, se non oso troppo, sarei portato a contestare subito questo concetto; non lo faccio in quanto temo che la mia visione del mondo sia viziata dalla formazione naturalistica, per me prevalente. Sono io che appartengo alla Natura (notare la mia maiuscola), appartengo a lei e per quanto voglia o possa fare alla fin fine sarò sempre sottomesso alla sue leggi. Vero è per l’Autore, come ci racconta insegnino i “fautori di un’ecologia liberale”, che “non esiste una dignità della natura in se, che prescinda dalla nostra valutazione…”. Cosi facendo s’intende che le nostre capacità intellettive siano espresse sempre in maniera intelligente, nel senso di creare e mai in quello contrario di distruggere.
Non mi avventuro oltre: non ne sono intenzionato e non sarei capace nemmeno di affrontare, al giusto livello, il dibattito su questi temi.
Come recensore lancio la prima provocazione: non accontentatevi di quanto ancora scriverò. Anzi fermate qui la vostra lettura e provate voi stessi, subito, a leggere ed analizzare il libro.
Papafava tratta in un excursus organico, dai minerali alle foreste, dagli animali agli oceani, per finire con l’atmosfera, quanto c’è nell’ambiente in cui siamo immersi ed integrati. Secondo lui la soluzione di tutto, e per qualunque problema, sarebbe il riconoscimento del diritto di proprietà. Soluzione che non solo ritiene possibile, ma anche vantaggiosa e non limitatamente ai proprietari, ma per tutti gli abitanti della terra. Una soluzione questa che eliminerebbe o correggerebbe i tanti difetti dello stato, delle “res nullius” o “res communitatis” che definiscono le appartenenze.
E’ pur vero, e noi lo sappiamo, che in questo settore un po’ tutti gli stati spendono cifre iperboliche senza raggiungere adeguati successi. Quando si ottiene qualche risultato, e solo in alcuni limitati casi, non sempre possono dirsi soddisfacenti, valutando l’onere degli interventi, che genericamente indichiamo come le “politiche ambientali”.
Con il capitolo IV° l’Autore affronta una battaglia che ritengo davvero impossibile. Di fatto vorrebbe contestare un assunto che ritengo incontrovertibile. “Non è possibile uno sviluppo materiale illimitato in un pianeta di risorse limitate”. Qui viene usata una dialettica ad alzo zero contro le teorie di Malthus. E’ poi la volta di una critica più feroce alle vecchie previsioni del Club di Roma ed anche a quelle dei Meadows. Ricorderete che erano gli autori de “I limiti dello sviluppo”, lo studio fondamentale nella formazione di molti tra noi (anni ’70). Qui cresce ancora l’azzardo di Papafava quando dedica un paragrafo alle “risorse che aumentano” ed ancora, il successivo, all’“energia inesauribile”. A questo punto ho avvertito la sensazione di trovarmi in conflitto con le leggi fondamentali della fisica.
Anche nel campo delle risorse alimentari non scende mai il tono: con “tecnologia adeguata” si potrebbero “sfamare quaranta o cinquanta miliardi di persone”! Così si giunge alla vera follia di quel Thomas Sowell che ha ipotizzato, trasferendo idealmente tutta la popolazione mondiale nello Stato del Texas, che comunque ogni essere umano avrebbe avuto a disposizione “1700 piedi quadrati di territorio”. Con le nostre misure: 200 metri quadri a testa.
Andando oltre, più credibili appaiono le ipotesi enunciate per la conservazione dei boschi, dove si sa che ha funzionato bene il metodo usato da alcuni gruppi industriali. Questi, essendo proprietari dei terreni, “coltivano gli alberi” secondo corrette procedure di gestione e di rimboschimento ottenendo risultati economici e stabilità ambientale.
Nel caso degli esempi proposti per il mondo animale, appare stimolante il principio, di scuola liberale, che vede a monte dei pericoli di estinzione di alcune specie, non la debolezza fisiologica di certe popolazioni o l’ingordigia dello sfruttamento umano, ma un “difetto nelle istituzioni giuridiche preposte alla loro tutela”. Cioè la “mancanza di un interesse economico privato su di essi”; questo si verificherebbe in carenza del diritto di proprietà.
Il capitolo VIII° dedicato agli oceani, parte da questa considerazione: nessuno s’interessa ai danni essendo le acque “un bene di tutti”. Quindi vengono ignorati i pericoli più svariati, a tutti noti, dall’inquinamento all’eccessivo sfruttamento.
Papafava si avventura infine, con l’ultimo capitolo, nel settore più difficile: quello dell’atmosfera. Dopo l’acqua, per natura intrinseca dei fluidi che non conoscono confini, anche qui si è spesso di fronte anche all’impossibilità di ricorrere ai tribunali. Vero è inoltre che i sistemi di controllo attuali sono di per se complicati, difficili da mettere in atto e spesso anche di dubbio risultato. Con l’invasione dello spazio da parte delle onde elettromagnetiche di certo l’Autore porta al suo mulino un buon risultato. Ciò in quanto introduce nozioni e dati che sono rilevabili solo con moderni strumenti scientifici. Pensare che un tempo bastava distinguere soltanto tra ciò che è tangibile da ciò che non lo è affatto.
Le ultime pagine chiudono con qualche argomentato dubbio sull’effetto serra e ciò in assoluta controtendenza con le fosche previsioni dell’Ipcc (Intergovernamental Panel of Climate Change). Questo forse è il miglior esempio di serena critica alle indubbie esagerazioni comparse negli ultimi anni. Esempi che, anche supportati da firme illustri, abbiamo criticato, nel nostro piccolo, sempre qui su questo sito.
Alla fine concordiamo con una citazione di grande buon senso, forse del tutto ovvia, ma purtroppo molto spesso trascurata. Non basta evitare i rischi, ma è buona cosa imparare ad affrontarli. Questa è una caratteristica senz’altro da apprezzare nell’animale uomo: cioè quella di adattarsi, essere elastici, imparare a convivere con quanto ci circonda che spesso nella sua evoluzione sfugge anche alle più accurate previsioni.
Papafava Novello, Proprietari di se e della natura – Un’introduzione all’ecologia liberale, LiberiLibri 2004, 251 pagg., 14.00 €
La questione delle “risorse limitate” ha una soluzione, a ben vedere, piuttosto banale.
Dal punto di vista fisico, tutte le risorse sono limitate, è ovvio. Tuttavia le risorse non si misurano solo in base alla quantità presente sul pianeta, ma anche alla disponibilità, dal punto di vista economico (CONVIENE estrarre la risorsa) e tecnico/tecnologico (E’ POSSIBILE estrarre la risorsa).
Un esempio: l’energia nucleare si è fatta strada nella seconda metà del XX secolo, periodo nel quale la disponibilità di uranio è divenuta strategica, anche per questioni militari. Ma prima degli studi del Fermi, credo che nessuno potesse razionalmente considerare l’uranio come un elemento strategico in campo, ad esempio, energetico, in quanto probabilmente la sua utilità era allora piuttosto scarsa. Ergo la “rivoluzione nucleare” ha reso disponibile una nuova risorsa, di fatto incrementando le riserve energetiche disponibili.
Altro esempio: fino a che il prezzo del petrolio si manteneva basso, non era considerato conveniente ricorrere al gas naturale. Oggi, dopo le crisi degli anni ’70, abbiamo gasdotti ovunque, nonché abbiamo anche costituito il settore dell’energia rinnovabile.
In sintesi, una determinata sostanza o fenomeno diviene risorsa “teorica” nel momento in cui la tecnica crea (anche solo in potenza) delle modalità per sfruttarla; tale risorsa diviene concretamente disponibile, quando vi è una convenienza economica nell’utilizzarla.
Così come l’età della pietra non è terminata per mancanza di pietre (anche quelle limitate, in teoria), così l’era del petrolio non terminerà per mancanza di petrolio, perché l’unica e vera risorsa dell’Umanità, l’Ultimate Resource di Julian Simon (non a caso fondatore dell’ecologismo liberale), l’ingegno, è illimitata. Il motivo per cui le previsioni stile Malthus non funzionano, è perché al segnale di scarsità di una risorsa (aumento del prezzo di mercato), l’uomo vede crescere l’incentivo non solo a migliorarne lo sfruttamento, la distribuzione, l’estrazione (sviluppo tecnologico), ma anche a sostituirla con risorse affini e, possibilmente, meno costose e largamente disponibili. In definitiva, la funzione di produzione non mantiene una forma costante nel tempo.
Si tratta soltanto di distinguere tra la limitatezza teorica della risorsa (che discende dai principi della fisica) e la disponibilità di questa (figlia del connubio tecnico-economico).