La Breccia di Porta Pia (ovvero la Cina invade il Tibet e lo normalizza)

Cartolina XX settembre - Porta Pia - Roma

Il 2 settembre Napoleone è sconfitto a Sedan, il 5 settembre a Parigi viene proclamata la Repubblica, che mostra poco interesse per la questione romana. La Convenzione italo-francese del 15 settembre 1864, che garantiva la sicurezza di ciò che restava dello Stato pontificio, può essere ora ignorata senza il timore di un intervento straniero a difesa di Pio IX. Bisognerà, al solito, trovare i pretesti per giustificare una premeditata aggressione i cui preparativi, diplomatici e militari, erano iniziati in agosto, quando già si delineava la sconfitta di Napoleone.

È del 29 agosto una circolare di Visconti Venosta alle ambasciate in cui si segnala come lo Stato pontificio stesse organizzando un esercito di mercenari con scopi offensivi per un’improbabile crociata (è sempre necessario trovare i più incredibili pretesti per giustificare un’aggressione). Alla circolare è allegato un memorandum in dieci punti in cui si delineano le condizioni e le proposte per salvaguardare la libertà di azione del Papa e della Chiesa (una specie di guarentigie ante litteram).

L’esercito papalino al 20 settembre contava 14000 uomini, compresi i pompieri; questa è la forza di aggressione agli ordini del generale Kanzler. Il memorandum non poteva essere accettato da Pio IX, che non voleva cedere sul potere temporale senza che fosse evidente al mondo la violenza della spoliazione (dirà successivamente al Ponza: “voi parlate sempre delle aspirazioni dei romani, voi potete vedere come sono tranquilli… Io posso cedere alla violenza ma dare una sanzione all’ingiustizia mai”). In cuor suo confidava nella Provvidenza, come aveva fatto in tutta la sua vita, oltre ad avere l’errata convinzione che le minacce di occupazione non si sarebbero mai realizzate.

Il 7 settembre arriva a Roma il Conte Ponza di S. Martino, latore di una lettera di Vittorio Emanuele II che, pur proclamandosi figlio e cattolico, annuncia al Papa l’inderogabile necessità di occupare lo Stato della Chiesa per prevenire disordini, sommosse, spargimenti di sangue provocati dalle truppe straniere (i volontari del tranquillo esercito papalino). I disordini all’interno della Stato della Chiesa sono sempre stati il pretesto per giustificare le aggressioni, peccato che non si siano mai verificati… Ne sa qualcosa Garibaldi, che vide fallire la sua campagna del 1867 sia a causa dei francesi, sia per la mancanza totale di sommosse popolari a Roma e nel resto dello Stato della Chiesa.

Il Ponza di S. Martino, ribattezzato dai romani Ponzio Pilato, fu ricevuto dal Papa il 10 settembre. La reazione alla lettera di Vittorio Emanuele fu piuttosto dura e si concluse con la frase: “Non sono un profeta, né figlio di profeta, ma vi dico che non entrerete e se entrerete non ci resterete.” La profezia, in parte sbagliata, venne moderata dallo stesso Pio IX che, rasserenatosi, aggiunse: “Però vi dico che su questo non sono infallibile.

Lo stesso 10 settembre, il Ponza rientrava a Firenze senza risposta scritta del Papa, che arriverà più tardi. In questa stessa data, viene ordinato al generale Raffaele Cadorna di entrare nello Stato pontificio al comando di 60000 uomini, senza alcuna dichiarazione di guerra. Nella ricerca di pretesti validi, si evince da una lettera di Lanza che “ancora una volta furono utilizzati fondi segreti per suscitare un’insurrezione che offrisse il pretesto per intervenire” a restaurare la legge e l’ordine. Ma neppure questa volta i romani si sollevarono. Si dovette così trovare un’altra scusa per l’invasione ed alcuni municipi al di là del confine pontificio vennero sollecitati a inviare petizioni invocanti protezione contro l’anarchia.

Cosa succede intanto in Vaticano? Quasi nulla, nella vita quotidiana il Papa rispetta tutti i suoi impegni. In questi giorni a Roma si respira un’atmosfera irreale, passivamente attendista. Il Cardinal Segretario di Stato Antonelli non mette al sicuro né l’obolo di San Pietro, né l’archivio corrente della Segreteria, che resta nel palazzo del Quirinale. Pio IX, nel pomeriggio del 10, inaugura l’acquedotto dell’Acqua Marcia-Pia e nessuna cerimonia vaticana viene soppressa. Con l’esercito italiano ormai in territorio pontificio, la “sommossa” popolare si manifesta in modo pacifico. Infatti, il 17 settembre, in San Pietro, viene rinvenuta una pasquinata e un ombrello rotto che, forse, indica lo stato d’animo del popolo romano, scanzonato e indifferente agli avvenimenti, abituato da secoli a far da comparsa ai grandi eventi che nell’Urbe si succedevano:

Santo Padre benedetto
ci sarebbe un poveretto
che vorrebbe darvi in dono
questo ombrello.
È poco buono
ma non ho nulla di meglio
mi direte “a che mi vale?”
Tuona il nembo, Santo Veglio;
è se cade il “temporale”?

Domenica 18, l’esercito italiano è accampato alle porte della capitale. Il Papa, come era uso fare per distrarsi, compone una sciarada: “Il tre non oltrepassa il mio primiero – È l’altro molto vasto e molto infido – che spesso fa tremar l’intero”. La soluzione è “tre-mare”, ma il Papa si affretta a dire che l’intero non corrisponde al suo stato d’animo.

Fra pasquinate e sciarade, ci sono ben altre decisioni da prendere e Pio IX ne prende due fondamentali: il Papa non andrà via da Roma e la resistenza all’invasione sarà solo simbolica, a prova della violenza subita. Sul primo punto ci sono poche discussioni, oltre alla volontà del Papa non vi sono offerte concrete di ospitalità da altri stati europei. Sul secondo, per evitare spargimenti di sangue, vi era la posizione del Cardinale Antonelli che prevedeva che l’esercito pontificio attendesse gli invasori con le armi al piede. A questa proposta si opponeva la posizione del generale Kanzler, che chiedeva si desse all’esercito una possibilità di contrastare gli invasori e dimostrare, così, la sua fedeltà al pontefice. La lettera consegnata al generale Kanzler dal Cardinale Antonelli, il 14 settembre, parlava di resa ai primi colpi di cannone. Questa lettera presenta una correzione di data al 19 settembre ed una modifica nel testo che spostava la resa all’apertura di una breccia (ma questa correzione sembra fatta a posteriori per coprire la disobbedienza dell’esercito, che combattè oltre i limiti fissati dallo stesso Papa). Lo stesso generale Cadorna, d’altronde, lo conferma nelle sue memorie, giustificando però la disobbedienza del generale Kanzler con i principi dell’onore militare.

Lapide XX settembre - Porta Pia - RomaLa mattina del fatale 20 settembre iniziò con la messa del Papa delle 6:30 alla presenza del corpo diplomatico al completo e tre soli cardinali: Antonelli, Berardi e Bonaparte. Dopo la messa furono serviti cioccolata e gelati, mentre si udiva il fragore delle cannonate dalla biblioteca privata del pontefice. La conversazione verteva su tutt’altri argomenti, finché, pochi minuti prima delle 10:00 arrivò la comunicazione dello sfondamento della breccia.

Il Papa spedì al generale Kanzler l’ordine esecutivo di capitolazione e la bandiera bianca fu issata a Castel Sant’Angelo e sul torrino del Quirinale.
Stando alle parole dell’ambasciatore francese, l’anziano Papa, con gli occhi ricolmi di lacrime e la voce tremante, si congedò dai rappresentanti diplomatici, pregandoli di proteggere i volontari stranieri accorsi in sua difesa.
Il costo in vite umane della presa di Roma fu di 56 caduti (13 ufficiali e 43 soldati) e 141 feriti da parte italiana; 20 morti e 49 feriti da parte papalina.

Una volta entrato in città, va dato atto al generale Cadorna di non aver consentito violenze da parte degli anticlericali e di aver tenuto a freno le ambizioni di governo dei patrioti romani, che chiaramente celavano propositi vendicativi.
Per il governo italiano iniziava, infatti, una nuova fase che prevedeva la liquidazione di garibaldini, mazziniani e repubblicani utili per i colpi di mano ma dannosi ad uno Stato costituito.

Il 2 ottobre si celebrava il rito del Plebiscito. I risultati parlano da soli: a Roma 40765 sì e 46 no; in tutto lo Stato 133681 sì e 1507 no. La normalizzazione era già in atto.
Un’ultima curiosità: Pelloux, responsabile dell’artiglieria e, anni dopo, Presidente del Consiglio, fu decorato con la Croce di Guerra per aver fatto breccia nelle mura con le sue batterie, mentre il sottotenente Carlo Amirante, che per primo aprì il fuoco con la sua batteria sulle mura di Porta Pia, visse una profonda crisi di coscienza: dopo un’udienza privata dal Papa, si congedò dall’esercito. Sacerdote dal 1877, Amirante morì nel 1934. La causa di beatificazione è stata aperta nel 1980.

Ricorrendo quest’anno il 139° anniversario della liberazione di Roma da parte dell’esercito “sardo-piemontese”, assisteremo alle abituali cerimonie commemorative di sapore laicista e anticlericale. Sarà bene ricordare anche che si trattò di un’invasione di uno Stato sovrano senza alcuna dichiarazione di guerra e senza alcuna valida giustificazione. Tra l’altro, l’annessione non fu opera delle forze che per anni l’avevano reclamata (garibaldini, mazziniani e repubblicani ne furono esclusi), ma l’ultimo anno di aggressione della politica espansionista del vecchio Piemonte.
Se si accetta questo principio sarà doveroso celebrare anche l’anniversario dell’invasione del Tibet da parte della Repubblica popolare cinese.

Dall’Urbe, il 20 settembre 2009
L’ultimo zuavo

Bibliografia

  • Andreotti, Giulio, La sciarada di Papa Mastai, Milano, Rizzoli, 1968.
  • Mack-Smith, Dennis, Il Risorgimento italiano, Roma-Bari, Laterza, 1973.
  • Sabbatucci G. – Vidotto V., Storia d’Italia, voll. I – II, Roma-Bari, Laterza, 1994-1995.
  • Tornielli, Andrea, Pio IX, l’ultimo Papa re, Milano, Il Giornale, 2004.
  • Villari, Lucio (a cura di), Il Risorgimento: storia, documenti, testimonianze, Roma, L’Espresso, 2007

28 pensieri riguardo “La Breccia di Porta Pia (ovvero la Cina invade il Tibet e lo normalizza)”

  1. E’ indubbiamente suggestivo il richiamo finale che ci riporta al titolo. Non ci siamo però con la versione offerta dall’ ”ultimo zuavo pontificio”. Almeno per quanto riguarda il Tibet che è si una regione della Cina che ha però una specificità linguistica, addirittura derivata da un alfabeto indiano. Certo non era così per lo Stato Pontificio. I Tibetani sono una vera entità etnica con caratteri specifici negli abitanti dell’intera regione. Il Tibet ha una sua letteratura e l’arte tibetana, ricchissima d’iconografia religiosa, non trova alcuna corrispondenza. L’arte religiosa, legata al cattolicesimo, non è affatto esclusiva dei territori papalini.

    Che poi i piemontesi abbiano usato “fondi segreti” per suscitare delle rivolte credo che questo non debba sorprenderci. Quanto emerge in proposito è un contributo alla vera conoscenza dei fatti storici che va studiato ancor più ed anche divulgato. Da qui ad immaginare che si potesse procedere all’unità d’Italia lasciando al Papa, che è tutt’altra autorità, qualcosa altro fuori delle mura leonine a me sembrerebbe puro esercizio retorico.
    Per non portare poi, a difesa dei fatti, il risultato del Plebiscito. Per quanto criticabile è pur sempre uno strumento di democrazia diretta.

  2. Peccato che si è dimenticato “un piccolo” dettaglio… e cioè che il potere temporale della Chiesa si fondi su un falso… il famoso “Editto di Costantino”, con cui l’Imperatore Costantino, nel IV secolo, avrebbe “donato” alla Chiesa Cattolica la sovranità temporale su Roma, l’Italia e l’Impero Romano d’Occidente…
    Bufala scoperta poi dall’umanista Lorenzo Valla.
    (sono cose che si studiano al liceo…)
    Tratto da Wikipedia:

    “Nel 1440 l’umanista italiano Lorenzo Valla, sulla scia delle pesanti perplessità già espresse pochi anni addietro dal filosofo Nicola Cusano, dimostrò in modo inequivocabile come la donazione fosse un falso. Lo fece in un approfondito, sebbene tumultuoso studio storico e linguistico del documento, mettendo in evidenza anacronismi e contraddizioni di contenuto e forma: in particolare, ad esempio, egli contestava la presenza di numerosi barbarismi nel latino, dunque necessariamente assai più tardo di quello utilizzato nel IV secolo. Altri errori, come la menzione di Costantinopoli, allora non ancora fondata, o di parole come feudo, erano addirittura più banali.
    Tuttavia l’opuscolo del Valla, De falso credita et ementita Constantini donatione declamatio (Discorso sulla donazione di Costantino, altrettanto malamente falsificata che creduta autentica), poté essere pubblicato solo nel 1517 ed in ambiente protestante, mentre la Chiesa cattolica difese ancora per secoli la tesi dell’originalità del documento…”

    (http://it.wikipedia.org/wiki/Donazione_di_Costantino)
    Nessuno ha mai battuto la Chiesa Cattolica quanto a imbrogli e mistificazioni.
    Ahi, Costantin, di quanto mal fu matre,
    non la tua conversion, ma quella dote
    che da te prese il primo ricco patre
    (Dante Alighieri – Inferno, Canto XIX)

    La Donazione di Costantino è risultato infatti essere un banalissimo falso confezionato ad arte in epoca carolingia, che riuscì tuttavia per quasi un millennio a giustificare i possedimenti terreni dei pontefici, ad attirare le ire di Dante davanti ai dannati simoniaci e ad impedire in tutta Europa la formazione di un impero formalmente laico e indipendente fino almeno alla riforma protestante. Ci sono casi, e questa ne è una dimostrazione lampante, in cui anche il falso, l’invenzione, l’inesistente riescono ad incidere profondamente sul reale. E’ Il falso da idea si fa Storia, smuove eserciti, influisce sul corso dell’arte e della filosofia.

    (http://www.instoria.it/home/editto_costantino.htm)
    Per il resto d’accordo con Gianluigi, a cui va aggiunto un  altro “piccolo” dettaglio, e cioè che gli abitanti dello Stato Pontificio non costituivano “una Nazione a sé”, me facevano semplicemente parte della “Nazione italiana”, in quanto avevano in comune con gli altri italiani, che abitavano negli altri regni della Penisola, l’etnia, la lingua, la religione e la cultura.
    Pertanto il paragone con il Tibet è assolutamente fuorviante!
    Leggasi definizione di Nazione:

    Una nazione (dal latino natio, in italiano “nascita”, derivato dal latino nasci, in italiano “nascere”) è un complesso di persone che, avendo in comune caratteristiche quali la storia, la lingua, il territorio, la cultura, l’etnia, la politica, si identificano in una comune identità a cui sentono di appartenere legati da un sentimento di solidarietà. È questa coscienza di un’identità condivisa, questo sentimento di appartenenza a tale identità e di solidarietà che li lega, diffusi a livello di massa e non solo tra ristrette cerchie di persone, che rende una comunità etnica, culturale, politica una nazione.

    « Ogni collettività umana avente un riferimento comune ad una propria cultura e una propria tradizione storica, sviluppate su un territorio geograficamente determinato […] costituisce un popolo. Ogni popolo ha il diritto di identificarsi in quanto tale. Ogni popolo ha il diritto ad affermarsi come nazione. »

    (Dichiarazione Universale dei Diritti Collettivi dei PopoliCONSEU, Barcellona, 27 maggio 1990)

    (http://it.wikipedia.org/wiki/Nazione)
     
    Il Tibet è una Nazione, la nazione dello Stato Pontificio semplicemente non esiisteva, in quanto i suoi abitanti erano italiani…
     
    Chiedo scusa per le citazioni da Wikipedia.
    Ma quanto sopra riportato si può trovare in qualunque buon libro di Storia e di Diritto Internazionale.
     
    Saluti
     

  3. Pur apprezzando la vena ironica e il raffinato esercizio di retorica dell’ultimo zuavo, non concordo con i presupposti dell’articolo e non mi è, quindi, possibile concordare con le sue conclusioni. Mi sembra, però, che anche i suoi commentatori partano da premesse un po’ troppo assertive. Indubbiamente lo Stato pontificio del 1870 non è il Tibet della seconda metà del XX secolo, ma come affermare che «gli abitanti dello Stato Pontificio non costituivano “una Nazione a sé”, ma facevano semplicemente parte della “Nazione italiana”, in quanto avevano in comune con gli altri italiani, che abitavano negli altri regni della Penisola, l’etnia, la lingua, la religione e la cultura»? Oppure che «Il Tibet è una Nazione, la nazione dello Stato Pontificio semplicemente non esisteva, in quanto i suoi abitanti erano italiani…»? Nel primo caso, infatti, fondando una nazione su basi del genere, non solo si finirebbe col negare la legittimità dell’indipendenza della Repubblica di San Marino, ma si finirebbe anche col mettere indirettamente in discussione l’esistenza di Stati plurilingui, multiculturali e dal profilo religioso non sempre uniforme come sono la Spagna, la Svizzera, il Belgio e buona parte degli stati africani, favorendo discutibilissime pretese indipendentiste. Il fatto, poi, che lo Stato pontificio non dovesse esistere perché i suoi abitanti erano già italiani mi sembra chiaramente un’affermazione costruita a posteriori e, quindi, un anacronismo in cui le conclusioni si giustificano, non alla luce della situazioni coeve, ma alla luce dell’attuale punto di vista ideologico dell’osservatore. In poche parole, lo stesso errore ideologicamente e provocatoriamente commesso dallo “zuavo”…

  4. Ma davvero vogliamo prendere in considerazioni la retorica papalina dopo 140 anni della fine del potere temporale del papa ? Non dico certo di non pubblicare certi scritti; per carità, ognuno ha il sacrosanto diritto di scrivere quello che vuole e se trova una tribuna dove pubblicare buon per lui ma, prenderlo sul serio no.  E niente lezioni di storia abbiamo fatto le elementari da ormai settant’anni e non ne abbiamo bisogno.

  5. http://www.youtube.com/watch?v=1PY2iPXJGaM

    Per bilanciare.

    A me il revisionismo piace piu’ delle fanfare e le fronde piu’ delle rivoluzioni. Per cui ho letto con piacere l’articolo, interessante e ben scritto.
    Ci sarebbe molto da dire, non gia’ per la causa, persa e stantia, di granducati, ducati, serenissime e reami; piuttosto per la nota questione della larghezza del Tevere, dei cascami concordatari e tutte altre questioni che conosciamo e non sappiamo piu’ sbrogliare.
    Invece a me i ricordi del Risorgimento fanno venire in mente altro.
    Avrete notato che Republica abbina alle interviste ai suoi attuali maître à penser (le ingrate passeggiatrici del transatlantico) delle querule rassegne stampa nelle quali la stampa estera (spesso inglese, spesso buona frequentatrice di terrazze romane e trattorie toscane) dipinge il paese come il Regno delle due Sicilie e Berlusconi come Franceschiello.
    A quei tempi fu un ottima mossa. L’Europa si commosse per le miserie del paese, l’arretratezza dei suoi sudditi e l’inettitudine dei suoi governanti. Forni’ aiuti, copetrure e piroscafi ed il resto e’ noto.
    Cosi’ oggi, quando leggo le grida di dolore che si levano da quel giornale e che vengono diligentemente raccolte dagli impettiti colleghi d’oltralpe, mi vedo scalzo, con le pezze al culo ed un forcone in mano, pronto ad infilzare gli intrepidi patrioti democratici che ad ogni elezione sbarcano giovani e forti e ci lasciano le penne.
    Dopo quella di farsi laidi amici e confidenti delle mignotte che hanno appena staccato dal turno, siamo sicuri che la strategia di mostrarci cenciosi e supplici (politicamente) e chiedere ai nostri partner e co-fondatori europei di prenderci sotto la loro illuminata tutela, giovera’ alla sinistra ed al paese?

  6. Concordo con Giorgio. E aggiungo che l’Italia unita non è altro che il frutto della conquista manu militari da parte del regno sabaudo degli Stati precedentemente esistenti sulla penisola italica. E il maggior difetto di tale conquista – a mio immodesto avviso – non sta tanto nel modo più o meno “irrituale” in cui si fece (senza dichiarazione di guerra, uso surrettizio di milizie garibaldine ecc.), bensì piuttosto in quello che successe dopo: plebisciti che farebbero impallidire d’invidia:-) Ahmadinejad (leggasi il passo dedicato nel “Gattopardo”) e soprattutto l’adozione del sistema rigidamente centralistico francese – buono per uno Stato formato da secoli –  invece di quello federale tedesco, molto più adatto a uno Stato formato da poco e composto da precedenti stati dalle tradizioni secolari.
    Però, come si dice nel Belpaese “cosa fatta capo ha” ed “è inutile piangere sul latte versato”…ma per favore, non diciamo che non ci fu alcun versamento di latte perché, chessò, la “donazione di Costantino” era un falso…..Tutto ciò detto con tutto il rispetto dovuto da un “ospite” alle sacrosante opinioni dei “padroni di casa”:-).

  7. x commento n.7
    E “W l’Italia fondata sul lavoro” l’ha dimenticata?! Sci vergogni, cribbio!:-)

    x commento n.8
    Anche l’applicazione ecclesiale del “disegno intelligente” alla geografia la troviamo di nostro gusto quando ci fa comodo, eh?:-)

  8. Ragazzi, scusate, ma volevo dire che basta prendere in mano un qualunque libro di storia italiana per sapere che l’Unità d’Italia fu una espansione savoiarda.  Scopriamo adesso che Vittorio Emanuele giostrasse con i francesi per prendersi Roma? Resta il fatto che le menti più illuminate della borghesia e della cultura italiane vollero fortemente l’Unità.  Le diverse sponde politiche repubblicane e liberali operarono per questo. La Chiesa cattolica vi si oppose con tutte le forze ponendo scomuniche e intimidazioni ai governanti e tutto in funzione del potere temporale.  
    Tanto è vero che  il Risorgimento  fu in pratica “scomunicato” .
    Vale la pena di leggere  il bel volume  dello storico inglese Denis Mack Smith “Storia d’Italia dal 1861 al 1977”  ( ed. Laterza ) che sia pure succintamente da una visione abbastanza chiara degli accadimenti di allora.   Sono lieto che Bagnasco si sia reso conto della naturale vocazione unitaria dell’Italia. E’ già qualcosa.

    Viva l’Italia unita e indivisibile
    W l’Italia laica!
    W l’Italia repubblicana!
    W l’Italia libera!
    W l’Italia indipendente!
    W l’Italia democratica!
    Haereticus

  9. A Gaspa, grazie per l’invito alla Borghezio. Visto che non c’hai capito ‘na cippa dei miei ironici commenti, te lo spiego come a mio figlio di 12 anni: l’Italia non mi fa schifo ma sono semplicemente un pochino allergico alla retorica tronfia, quella demo-patriottarda compresa. E preferisco i discorsi ragionati agli slogan. Tutto qui.

  10. Io invece preferisco gli slogan, non tronfi ma sentiti ed onesti, ai commenti ironici (ironici?) di chi ci onora con la sua presenza e non perde occasione per dimostrarsi simpatico come un dito nel culo.

  11. —-simpatico come un dito nel culo. accurimbono—–

    Beh, almeno sarò simpatico ai gay, no?:-) Tu, invece sei gradevole come un foruncolo sul culo: e non mi replicare, per favore, che così saresti gradevole ai masochisti:-).

  12. —–Ah ok, perché ogni volta non si fa sfuggire l’occasione di farci sentire il suo profondo amore verso la nostra nazione…Gaspa—-

    A cosa ti riferisci in particolare? Sai, a bollare noi gommonisti col calderoliano “sputa nel piatto in cui mangia”, senza uno straccio di pezza d’appoggio, son bravi tutti….

  13. Mi pare evidente come, fatta l’Italia, gli italiani (vecchi o nuovi, è del tutto indifferente) siano ancora in buona parte da fare…

  14. —-Ah ok, perché ogni volta non si fa sfuggire l’occasione di farci sentire il suo profondo amore verso la nostra nazione…Gaspa—-

    Visto che non rispondi, ti riferisci forse al fatto che sono stato l’unico qui – mi pare – ad esprimere cordoglio per i figli della tua nazione morti mentre aiutavano altri popoli ed apprezzamento per la loro opera in Albania? Beh, scusami tanto per tale Sanguinosa Offesa Alla Tua Nazione e rimedio subito: siete una Nazione composta in maggioranza da pecoroni rincoglioniti dalla TV che votano un PdC mafioso, corrotto, pedofilo, cannibale e chi più ne ha più ne metta (qui c’andava la faccetta buffa, ma per rispetto alla tua nota allergia alle faccette buffe la ometto). Cuntent della riparazione, kompagno Gaspa? (idem sulla faccetta buffa).

  15. @Ritvan: grazie per il suo apprezzamento, ora finalmente possiamo sentirci orgogliosi di essere italiani!
    Non ho risposto perché non ho certo voglia di spulciarmi tutti i suoi 6 milioni di commenti conditi da altrettante faccine…
    Se ho frainteso il suo atteggiamento verso l’Italia, chiedo scusa.
    E’ solo che, da liberale, non vorrei mai trattenerla in un paese che non la merita!

  16. —-@Ritvan: grazie per il suo apprezzamento, ora finalmente possiamo sentirci orgogliosi di essere italiani! Gaspa—–

    Di nulla, dovere di “ospite” nei confronti di cotanto gentile “padrone di casa” (faccina ridens omessa).

    —-Non ho risposto perché non ho certo voglia di spulciarmi tutti i suoi 6 milioni di commenti conditi da altrettante faccine…—–

    Sono solo 6 milioni? Minchia, pensavo fossero almeno 8 milioni, come le famose baionette del fu DVX ! (ecco, adesso potresti accusarmi a ragion veduta di vilipendio della Nazione Italiana impersonata dal sullodato DVX-faccina siempre omessa)
    In ogni caso, potevi andare a memoria, mica ti stavo chiedendo n. del commento e titolo del post, eh…oppure la memoria comincia a far cilecca? (siempre omessa la faccina).

    —–Se ho frainteso il suo atteggiamento verso l’Italia, chiedo scusa.—–
    Sì, hai decisamente frainteso: comunque, scuse accettate e amici come prima.

    —–E’ solo che, da liberale, non vorrei mai trattenerla in un paese che non la merita!—-
    Ecco, qui andava messa la faccina!

  17. —–Refuso: hai messo una C al posto di una l…LorenzoMan—–

    Poffarbacco, dici che l’intero Pdl – e non solo il suo capo e PdC – è “mafioso, corrotto, pedofilo, cannibale e chi più ne ha più ne metta”??!! Ma allora mi sa che devo riprendere subito il gommone, prima che qualcuno di loro faccia di me un arrosto allo spiedo con contorno di patatine!!! (faccina buffa omessa, in omaggio all’amico Gaspa).

  18. —-Ah, ok. Non avevo capito l’acronimo. LorenzoMan—-

    Di’ la verità, credevi che con l’acronimo PdC io mi riferissi al PdCI, sai, per via dei bambini che loro si mangiano (faccetta ridens siempre omessa in omaggio all’amico Gaspa)?

  19. Restando in tema, preannuncio che l’Autore, “l’ultimo zuavo pontificio” , ha promesso risposte, magari brevi,  a tutti i commenti. Ovviamente a quelli che riguardano lo scritto sulla Breccia di Porta Pia. Così penso io.

  20. A Gianluigi. Esistono anche Stati multietnici, conosci l’Africa e sai che gli Stati nati dalle spartizioni coloniali comprendono diverse etnie, anche se spesso in conflitto fra loro, pertanto “l’etnia tibetana” può convivere con un’ “etnia cinese” in un unico Stato. Neppure la lingua è un limite; in Svizzera vi sono tre lingue ufficiali. Quanto al Plebiscito, esso è un’arma a doppio taglio, teoricamente massima espressione democratica ma, se manipolato, può servire per avallare qualsiasi tirannide.
    A Valeria vorrei dire che lo Stato della Chiesa, dopo la giusta e inconfutabile analisi di Lorenzo Valla, è stato riconosciuto per circa 370 anni da tutti gli Stati con cui ha mantenuto relazioni diplomatiche, compreso il Regno di Sardegna. Mi sembra questa una valida legittimazione dello Stato Pontificio. Quanto a Dante, uomo del Medioevo, il suo risentimento era dovuto alla contrapposizione Chiesa-Impero, nulla quindi a che vedere con l’Unità. Inoltre, è ben nota la partigianeria del sommo poeta. Se parliamo di nazione italiana, oltre a dover osservare che la storia non è comune per tutto il territorio. Mentre il Regno del Sud nasce, infatti, con i Normanni e i loro successori come Stato unitario intorno al 1200, nello stesso periodo, al centro si consolida lo Stato della Chiesa e al nord comuni e signorie si agitano fino a provocare un’invasione straniera. Se parliamo di lingua comune, direi che è più opportuno parlare di dialetti differenti (il fiorentino assurge a dignità di lingua nazionale con I promessi sposi e Manzoni che “i panni in Arno corse a sciacquare”) Se la lingua, poi, è da considerarsi come primario fattore unitario, vedo in grande pericolo, non solo l’indipendenza di San Marino, ma anche quella del Canton Ticino… Vogliamo dichiarare guerra alla Svizzera?
    A Giorgio. Devo un ringraziamento per le sue cortesi parole, anche se non concorda con la conclusione del mio breve scritto.
    A Haereticus. Rallegramenti per essere rimasto alle elementari, così ci si mantiene giovani.
    A Luca Breccia. Posso solo dire che condivido le sue considerazioni sulla crisi della politica che, purtroppo, a mio parere, è simbolo di una crisi più generale perché, come si dice, “la botta da il vino che ha”.
    A Ritvan Shedi. Concordo con lei che “cosa fatta capo ha”, anche se fatta male.
    Ad Accurimbono. Non sarebbe meglio dire semplicemente “Viva l’Italia!”, ispirandoci agli inglesi “che abbia torto o ragione è il mio paese”? Eviteremmo così sterili occasioni anti-unitarie. Vorrei sapere, inoltre, il pensiero del Cardinal Bagnasco riguardo alla penisola iberica, notoriamente divisa da secoli fra Spagna, Portogallo e Principato d’Andorra.
    A Haereticus. Cito dal suo prediletto Denis: “L’Italia otteneva così Roma in maniera del tutto casuale (…) I patrioti rimasero sinceramente sorpresi del modo in cui erano finalmente riusciti nel loro intento. Non riuscivano a capire per quale motivo Aspromonte, Mentana e la Breccia di Porta Pia si fossero susseguiti tutti senza che avesse luogo alcun insurrezione spontanea del popolo romano, e tutto l’insieme si presentava, comunque, come un coronamento ben poco soddisfacente delle guerre di liberazione.” (D. Mack Smith, “Storia d’Italia”, vol. I, Roma-Bari, Laterza, 1977, p. 154).
     Gli argomenti trattati dal punto 11 al punto 17 non mi interessano.
    A Giorgio. Purtroppo l’Italia è lunga e gli italiani un faticoso progetto ancora lontano dalla realizzazione.
    Per concludere, permettetemi però di considerare la cosa da un altro punto di vista; quello di “Roma Caput Mundi”, centro di importanza universale, de secoli depositaria di memorie di un impero che ebbe a costruirla. Nonché centro spirituale di una religione che parla a milioni di fedeli sparsi in tutto il mondo. Era proprio necessario degradarla a capitale di un singolo Stato? Non si poteva lasciarla in uno splendido isolamento? L’urbe, capitale emblematica e spirituale del mondo! Tutto ciò senza pregiudizio alcuno per uno Stato unificato dalle Alpi alla Sicilia. Forse una buona occasione perduta. Vogliate scusare la malinconica utopia dell’Ultimo Zuavo.

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