but all isn’t lost.
Questo è il titolo di Newsweek della scorsa settimana e questo è anche il motivo della sconfitta di Bush nelle elezioni di metà mandato.
Perchè Bush ha perso? Sostanzialmente perchè gli americani pensavano che quella in Iraq sarebbe stata una guerra facile e di breve durata, mentre ora, dopo più di tre anni, si accorgono di essere impantanati in un palude senza avere delle possibilità di fuoriuscita non dolorose.
Se infatti se ne andassero immediatamente, cosa che neppure i democratici auspicano, lascerebbero mano libera ai terroristi ed ai capi delle milizie etniche e l’Iraq si ridurrebbe ad un paese in guerra civile con il rischio di una sudanizzazione o somalizzazione del conflitto.
Se invece resteranno ancora in Iraq, dovranno attentamente rivedere il loro approccio strategico al conflitto che la fin troppo ottimistica visione dei neocon aveva considerato concluso all’indomani delle prime elezioni democratiche.
Questa visione era essenzialmente sbagliata perchè non teneva conto di un fatto importantissimo che accomuna l’Iraq all’ex Jugoslavia: il solo collante che teneva unito, nel bene e nel male, questo paese era la dittatura di Saddam Hussein come lo era quella di Tito nella ex Jugoslavia.
L’Iraq è infatti composto in tre diverse parti per ragioni etniche e religiose.
Ci sono infatti due etnie, quella araba e quella curda, e due diverse confessioni religiose, quella sciita e quella sunnita, che si sono sempre combattute fra loro.
Abbiamo quindi:
-I curdi sunniti
-Gli arabi sciiti
-Gli arabi sunniti
Questi tre popoli sono stati sempre in lotta tra loro e sono finiti iniseme solo grazie alle penne degli occidentali che li hanno uniti in un solo stato alla fine della II Guerra Mondiale.
Gli arabi sunniti hanno dettato legge sin dai tempi dall’ascesa al potere di Saddam e lo hanno detenuto, sebbene fossero parte minoritaria del paese, in modo assolutamente spietato e brutale.
Era dunque logico attendersi che, alla caduta di Saddam, avvenuta esogenamente grazie alla guerra intrapresa dagi USA, le altre popolazioni avrebbero cercato il riscatto soprattutto prendendo il controllo dell bene più prezioso che c’è nella odierna Mesopotamia: il petrolio.
Questo è l’Iraq attuale: un paese in cui gli sciiti hanno preso il potere “democraticamente” vista la loro maggioranza demografica e i curdi mirano ad ottenere una più ampia autonomia e le zone petrolifere del Nord.
Gli arabi sunniti si sentono messi all’angolo e quindi ricorrono alla violenza per determinare instabilità e per evitare l’instaurazione di uno status quo che li vede fuori dalla gestione sia del potere che della ricchezza.
I Neocon americani, forse per eccessivo ottimismo nell’idea di esportare la democrazia come panacea di tutti i mali, forse per ignoranza od ottusità, hanno del tutto ignorato queste semplici considerazioni storico-demografiche ed hanno avviato una guerra senza analizzarne a fondo le conseguenze.
Ora, citando sempre Newsweek, si trovano come nella guerra di Corea: sono imposbilitati a vincere e devono trovare un modo per non perdere.
Oggi Bush ed i Democratici devono cercare una “strategia di uscita”, perchè gli americani vogliono andarsene al più presto dall’Iraq, che tenga in considerazione lo stato attuale del paese:
“America has to see Iraq as it is now. Not as it once was. Not as it could have been. Not as we [gli americani ndr] hope it will become” dice l’articolista di Newsweek.
A cosa devono mirare dunque gli americani: IMHO la soluzione più facilmente ottenibile è quella di formare uno stato confederato con una forte autonomia dei tre popoli ed una equa divisione della ricchezza (il petrolio).
Di questo stanno discutendo gli stessi iracheni in una conferenza ad Amman, in Giordania, e la soluzione darebbe la possibilità agli americani di ritirarsi gradualmente lasciando solo delle basi strategiche per la difesa del territorio contro eventuali appetiti di vicini voraci (Iran in primis).
Ci sono comunque delle ostilità anche verso questo tipo di soluzione: i turchi vedono come fumo negli occhi la nascita di uno stato autonomo curdo, cosa che darebbe alla forte minoranza curda presente in Turchia un motivo per richiedere delle riforme autonomistiche nella stessa repubblica turca.
Lo stesso Iran non vede bene questa soluzione perchè agli ayatollah farebbe più comodo uno stato cuscinetto interamente gestito dalla maggioranza sciita a loro più vicina.
In definitva gli americani hanno scoperchiato un grosso vaso di pandora e da come riusciranno a risolvere la situazione dipende il futuro dell’Iraq, ma anche degli stessi Stati Uniti, che vedrebbero il loro prestigio internazionale e la loro capacità coercitiva molto ridimensionate da una eventuale nuova Saigon.