Il primo fermo-immagine è sulla villa di Gatsby: la piscina dietro, e davanti tavoli e sdraio, ghiaccio, selz. C’ho visto le estati della buona borghesia nei nostri anni ’50, preludio di “anni ruggenti”. Una mondanità da ricchi, esistenze leggere come lino, giovani come il prato verde. C’ho visto i playboy, le serate mondane, il brusio, un aria leggera, quieta, decadente. Chissà che pace per Gatsby, che libertà, che spensieratezza. Ma forse non è così.
Il secondo fermo-immagine è fisso sull’orizzonte: sulla città che, dall’alto, Gatsby mirava, e alla lucina accesa di una casa lontana. Chissà quali pensieri scatenava in Gatsby quella luce, e quanti rimpianti generava, quali folli speranze. Per Gatsby era motivo di vita. La sua vita un folle “remare contro corrente”, con l’ostinazione di ritrovare quello che il tempo aveva cambiato e consumato. Un amore lungo trent’anni, un sogno troppo grande da dimenticare per Gatsby, il Grande Gatsby.
Il grande Gatsby
di Francis Scott Fitzgerald, 1925
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