Dunque, niente funerali religiosi per Piergiorgio Welby. E la cosa non suscita in me né scandalo né meraviglia.
Dice: ma come, tu mi difendi il Vicariato che nega, ultimo gesto di misericordia, la benedizione ad un poveretto che ha sofferto le pene dell’inferno per quarant’anni?
E poi, la Chiesa che nega i funerali religiosi a Welby non è la stessa che fa riposare in pace il boss della banda della Magliana Enrico De Pedis detto “Renatino”, in un comodo loculo della Basilica di Sant’Apollinare, accanto a Papi, cardinali e martiri? E come la mettiamo con Pinochet?
Io non difendo il Vicariato, cerco solo di vedere le cose come stanno. E di non pretendere da qualcuno comportamenti che non gli appartengono.
La dottrina cattolica, ai sensi degli articoli bla-bla-bla del Catechismo, esclude Welby dai funerali religiosi «a causa della sua reiterata volontà di affermare il diritto all’eutanasia». Poi, siccome i bizantinismi si applicano anche all’aldilà, si precisa che «non vengono meno la preghiera della Chiesa per l’eterna salvezza del defunto e la partecipazione al dolore dei congiunti» (ma non si capisce in che modo).
Insomma, i precetti sono chiari. Lo stesso Welby lo sapeva, e non posso credere che abbia chiesto per sé funerali cattolici.
Rinfacciare all’istituzione Chiesa di applicare le sue regole è come prendersela con l’istituzione Stato perché fa arrestare i ladri. Se si va contro le regole di un’istituzione, è giusto aspettarsi la sanzione.
Potremmo disquisire all’infinito sulla motivazione (ad esempio le “colpe” di Welby sarebbero la pubblicità e la reiterazione della richiesta d’eutanasia, come se commettere lo stesso peccato in privato o in pubblico facesse differenza), ma non ne usciremmo.
Il punto è un altro.
Essere o meno figli di Dio può e deve misurarsi dall’obbedienza a una serie di regole e di precetti, o piuttosto dall’adesione a una Fede?
La Chiesa Cattolica storicamente ha cercato di coniugare i due aspetti: il momento privato ed interiore (la Fede) con il momento pubblico ed esteriore (la Liturgia). Ma, fatalmente, quanto più ha voluto regolare la sfera pubblica con precetti e proibizioni, tanto meno ha potuto esercitare il suo magistero morale in quella privata.
Non è un caso che, quando l’Autorità certificava la fede e assolveva dai peccati in cambio di denaro, per reazione al mercato delle indulgenze nacque la Riforma luterana.
Poiché l’intreccio Fede-Autorità è la cifra irrinunciabile del magistero di questa Chiesa, non credo se ne possa uscire senza una seconda radicale Riforma.
Nel frattempo, da una parte i fedeli risolvono autonomamente il conflitto, coniugando la propria fede con scelte di libertà nella sfera personale. Sic et simpliciter, ignorano i precetti e le imposizioni: sono letteralmente fuori dalla Chiesa, ma non per questo si sentono meno credenti.
Dall’altra parte una gerarchia sempre più sclerotizzata, mentre s’illude di esercitare autorità spirituale e indirizzo morale, si relega sempre più nell’insignificanza e nell’indifferenza. Quanto più sfoggia potenza e reclama influenza, tanto più diventa impotente nei fatti e prepotente negli atteggiamenti.
Dunque, il fatto che a Welby sia stato negato il funerale cattolico (la liturgia) è insignificante.
Insignificante per il non credente, va da sé; ma insignificante anche per il credente, per colui che crede in altro che nel potere e nei precetti di questa Chiesa.
A questo potere che, con sentenze in stile Giordano Bruno, si arroga il diritto di giudicare della vita e della morte, la migliore risposta (in primis del credente) è: non riconosco il vostro tribunale.
Ho un altro punto di vista e tenterò di esporlo con osservazioni successive. Non me ne voglia Andrea se non riesco, in questi giorni cosi intensi per vari motivi, a sviluppare un intervento organico. D’altronde se lo facessi sarebbe una sorta di “contro-articolo” e non un commento, con il taglio che invece dovrebbero sempre avere queste righe.
Dapprima una premessa: il mio punto di vista sulla vicenda è certamente quello di un cristiano deluso, mentre lo scritto di Andrea è quello di un avvocato, se volessi provocarlo direi, agguerrito in diritto canonico! La forza della Chiesa Cattolica, rispetto ad altre religioni ad esempio, è nel fatto che “le chiavi” della vita eterne sembra siano state consegnate a Pietro. Quindi è la gerarchia che adatta le norme ai tempi. Da cattolico esclamo per fortuna, altrimenti ci troveremmo come per la sharia nell’islam, dove nulla è cambiato nei secoli perché così, allora, era stabilito.
Come sempre abbiamo assistito, ed una collezione infinta di esempi lo provano, al fatto che la Chiesa arriva in ritardo; sempre di decenni, talvolta anche di secoli. Quando si convince su qualcosa poi, magari chiede anche scusa. Gli ultimi pontefici non le hanno lesinate a nessuno, anzi ne hanno fatto un rito insistente, a mio avviso ecessivo. Ascolteremo presto levarsi anche le scuse ai vari “Welby”?
Solo per prendere un esempio nell’arco della mia vita, ricordo l’inizio dei trapianti: Christian Barnard in Sud Africa, con quello di cuore nel 1967. La Chiesa era contraria. Vero? Poi, poi sapete tutti com’è finita: oggi c’è da stare davvero sull’altolà, anche se ti ricoverano al Bambin Gesù, in quanto rischi l’espianto di tutto il possibile solo se t’addormenti in corsia, per una mezz’oretta! Che dire poi sulla vicenda degli studi anatomici, quella delle autopsie ve la ricordate? Scomunicati tutti, maestri ed allievi. Pensare che nella sala settoria (che ebbi la ventura di frequentare in quel di Bologna) c’è scritto: “ Hic est locu ubi mors gaudet vita succurrere”.
Nulla scrivo sul parto cesareo dove il primo scopo, a qualunque costo e nella efferatezza più indescrivibile, era solo quello di estrarre il nascituro. Della vita della madre non ci si poteva curare. Per i casi più disperati era stato inventato un mostruoso marchingegno che consentiva di battezzare, a qualunque costo, il feto.
Tornando al nostro funerale con rito religioso, vorrei che qualcuno chiarisse come si può benedire la salma di chi decide, anche per supremo amore del prossimo, di sacrificare la vita.
Casi questi verificatisi anche in Italia, durante la seconda guerra mondiale, persino di religiosi che si sono fatti uccidere. Un “suicidio” consapevole e deliberato, anche se per un nobile scopo: salvare la vita altrui. Salvo D’Acquisto è il primo nome, che con grande commozione e rispetto, mi viene in mente.
Ecco: ho lanciato il primo sasso nello stagno di Popinga. Scrivo questa postilla anche perché tra le molte, anche se non ancora tantissime persone che hanno letto il pezzo di Andrea, nessuno ha avuto voglia di farci conoscere il suo punto di vista.
Dal comunicato ufficiale del Vicariato di Roma:
«In merito alla richiesta di esequie ecclesiastiche per il defunto Dott. Piergiorgio Welby, il Vicariato di Roma precisa di non aver potuto concedere tali esequie perché, a differenza dai casi di suicidio nei quali si presume la mancanza delle condizioni di piena avvertenza e deliberato consenso, era nota, in quanto ripetutamente e pubblicamente affermata, la volontà del Dott. Welby di porre fine alla propria vita, ciò che contrasta con la dottrina cattolica (vedi il Catechismo della Chiesa Cattolica, nn. 2276-2283; 2324-2325). Non vengono meno però la preghiera della Chiesa per l’eterna salvezza del defunto e la partecipazione al dolore dei congiunti».
Ho scritto in corsivo le parole che consentono un paragone, un raffronto su cui riflettere.
Dio non voglia che si verifichi: però conosco un caso per il quale, purtroppo da anni, un distinto signore, ha affermato, in molte e ripetute occasioni ed anche pubblicamente, la “volontà di porre fine alla propria vita”. Nella sua città ci sono anche un paio di preti che ne sono perfettamente a conoscenza.
Ebbene se dovesse verificarsi il patatrac cosa faranno questi sacerdoti? Lo riferiranno alla Curia oppure, come spesso accade, per non dare scandalo, celebreranno il funerale?
Aiutatemi a chiarire il dubbio: magari i miei pensieri sono distorti!
Non vorrei gestire il monopolio dei commenti, però devo scrivere.
Voglio dire che nel turbinio delle idee che mi frullano in mente, a proposito di Piergiorgio Welby, non sarei di certo riuscito a condensare in così poche parole un concetto completo, che condivido a fondo.
Roberto Silva, su Il Foglio del 27 dicembre, a pag. 2, è riuscito ad esprimerlo nello spazio di un titolo. Anzi con la metà soltanto!
“IL VICARIATO HA STACCATO LA SPINA A DIO”
Umberto Silva, da “Il Foglio” del 27 dicembre 2006
Leggo e riporto un commento alla notizia che ho preso dal profilo facebook di Raffaella Notariale, la giornalista Rai che ha trovato e mostrato i documenti e le foto inedite relative alla sepoltura di Renatino in territorio vaticano. Spero di non farle un torto, ma la sua opinione mi sembra fondamentale.
Raffaella Notariale ha scritto:
“In realtà, sempre in una nota, il Vicariato aveva già dato il suo assenso qualche anno fa. Evidentemente, i piani alti del Vaticano hanno voluto ribadire la propria disponibilità nel caso in cui l’Autorità giudiziaria competente avanzi una richiesta in tal senso. Mi sembra quasi un invito… un invito a trabocchetto, a dirla tutta. E’ chiaro che in quella tomba ci sono esclusivamente i resti di De Pedis. Del resto, dal 1990 ad oggi, se altro ci fosse stato, rei e conniventi avrebbero avuto tutto il tempo di farli sparire. In ogni caso, considerato che Emanuela Orlandi è stata sequestrata nel 1983, dubito che chicchessia, tanti anni dopo, si sarebbe preso la briga di recuperare i suoi resti e trasportarli nella stessa bara di Renatino. Spero che la magistratura non faccia l’errore di abboccare”.