Leggendo su “l’Espresso” una intervista al ministro dei trasporti Alessandro Bianchi, il professore designato per questo importante dicastero dai comunisti italiani, sono venuto a conoscenza del “Piano Rosso” per salvare la moribonda Alitalia.
Innanzitutto bisogna ricordare che è tuttora in corso una OPA sul 100% delle azioni della nostra compagnia di bandiera dopo che lo Stato ha messo in vendita il 30% dell’intero capitale azionario.
Prodi ha infatti capito che nella situazione attuale non ci sono margini di manovra per far tornare la società in attivo e non è più possibile finanziarla in eterno con i soldi provenienti dall’erario.
La soluzione sarebbe intelligente in via teorica anche se i paletti posti dall’estrema sinistra rischiano di farla naufragare miseramente.
Se il governo pensa di obbligare gli ipotetici compratori a mantenere gli attuali livelli occupazionali, gli attuali livelli salariali, di mantenere le tratte in perdita, chi sarebbe così pazzo da spendere più di 2 miliardi di Euro per accollarsi una azienda che solo nel 2006 ha perso più di 200 milioni di Euro?
Montezemolo ha già detto che gli imprenditori italiani non sono dei kamikaze, ma anche quelli stranieri dovrebbero essere degli autolesionisti per acquistare una società in queste condizioni.
Le soluzioni sembrerebbo due:
-la prima consiste nell’allentamento dei vincoli occupazionali e salariali, il vero problema della nostra compagnia di bandiera, permettendo al nuovo management di farli arrivare a quei livelli medi europei che permettono a molte compagnie di bandiera di produrre utili.
Questa soluzione non piace però ai comunisti (ma anche la destra ha fatto la sua parte da questo punto di vista), ai sindacati confederali e a tutta quella miriade di sigle sindacali che, col loro conservatorismo e con la loro chiusura, hanno portato allo sfascio l’Alitalia.
-la seconda è il fallimento della società nel caso in cui l’asta andasse deserta.
Questo fallimento, in realtà, non sarebbe una catastrofe, come dimostrato nei casi della belga “Sabena” e della svizzera “Swissair, società per cui il portare i libri in tribunale è stato funzionale ad un successivo rilancio verso la redditività.
Il ministro Bianchi ne ha invece formulata una terza che lascia un pò perplessi e interdetti: per salvare l’Alitalia bisogna bruciare il terreno in cui si muovono le compagnie low cost.
La trovata geniale del ministro consiste infatti nel taglio degli aeroporti minori (quelli usati proprio dalle low cost), declassando quelli sotto un milione di passeggeri da “internazionali” a “nazionali, regionali o stagionali”.
In questo modo, aeroporti come Ancona, Pescara, Reggio Calabria, Trieste e tanti altri, perderebbero le linee internazionali dei vettori a basso prezzo i quali si troverebbero praticamente fuori dal mercato italiano da un giorno all’altro.
Bianchi non nasconde affatto la volontà di aiutare Alitalia che secondo lui “finora è stata molto danneggiata dalle compagnie low cost”.
Qualcuno però dovrebbe spiegargli che il fenomeno delle “low cost” non esiste solo in Italia, ma negli altri paesi le compagnie di bandiera producono lo stesso degli utili. Perchè?
E’ chiaro ad ogni persona di buon senso che i problemi di Alitalia sono interni all’azienda, ma, siccome questi problemi non vogliono essere affrontati e risolti, si cercano misure protezionistiche per rendere meno concorrenziale il mercato in cui opera.
Bianchi in questo caso sbaglia sia la diagnosi sia la cura e così il malato potrà probabilmente rimanere in vita grazie a questa specie di respiratore artificiale, ma certamente non potrà mai guarire.
Nel concreto i risultati di questa operazione saranno:
-L’abbandono dell’Italia da parte delle linee low cost che produrrà una diminuzione della disponibilità di voli soprattutto internazionali ed un aumento esponenziale dei costi dei biglietti aerei (visto che potremo viaggiare solo con le tariffe Alitalia).
-Una diminuzione della possibilità di viaggiare in aereo per le classi meno abbienti, le quali erano le più avvantaggiate dalla possibilità di muoversi a prezzi bassi e di avere degli aeroporti più vicini ai luoghi di residenza.
-La scomparsa di un “mercato” con il ritorno di un altro monopolio di fatto.
-La perdita di turisti stranieri, che non potranno più venire in Italia a prezzi competitivi e sceglieranno quindi altre mete. Sono infatti le compagnie low cost a dettare le mete turistiche alla stragrande maggioranza dei viaggiatori.
Raramente si sono visti casi di miopia politica così eclatanti.
Viene da chiedersi che cosa significhi veramente, al giorno d’oggi, definirsi comunisti.
I comunisti dovrebbero essere dalla parte dei ceti meno abbienti e popolari, coloro che hanno minori possibilità (anche di viaggiare) e che costituiscono la stragrande maggioranza dei “consumatori”.
Invece questi “comunisti” hanno il solo scopo di difendere dei lavoratori che sono già iper-tutelati, che guadagnano molto di più dei loro corrispettivi europei (non faccio confronti con la Cina, ma con paesi a noi omogenei) e che hanno una produttività nettamente inferiore.
Come al solito per difendere dei privilegi, ed in questo caso la parola privilegio calza a pennello, a rimetterci sarà la stragrande maggioranza dei consumatori!
A rimetterci saranno proprio i ceti che votano a sinistra.
A rimetterci sarà l’intero paese.
Complimenti Sig. Bianchi, lei ha proprio delle belle idee
Condivido al 100% l’analisi di Gaspa (ben tornato su Popinga!) e la severa, inappuntabile critica alle idee, quanto meno bislacche, del Ministro dei Trasporti Alessandro Bianchi. Stavolta un ministro che è anche professore universitario. Verrebbe quindi da esclamare: “poveri studenti”!
Il mio commento però vuole essere una annotazione soltanto su un punto particolare, cioè sul compenso annuale che riscuote l’attuale amministratore delegato Giancarlo Cimoli. Con questa annotazione offro un spunto che si collega anche al precedente post di Popinga, a firma di Franco Scaloni, a proposito dei recenti aumenti delle retribuzioni dei dirigenti della Regione Marche. Cimoli da parte sua porta a casa ogni anno ben 2 milioni e 400 mila euro. Oltre il doppio dei suoi omologhi della British Airlines (Rod Eddington, 1,37 milioni) o tre volte tanto di quello che è il compenso del manager che dirige, con grande successo, la Ryanair (Michael O’Leary, 686 mila euro lordi).
Con queste premesse e con questi esempi, al Governo ed all’Alitalia, dove vogliamo andare?
Sono veramente senza parole!!!
Bella idea… davvero!!
Ma, scusate, questa soluzione scellerata non dovrebbe essere impedita dalle norme anti-trust europee ??
Se l’Italia adottasse una misura così ingerente nel mercato aereo e di fatto di abolizione della concorrenza, non rischia di incorrere in pesanti sanzioni economiche?? Mi pare che già ci sia stato qualche avviso da parte europea…
Quanto allo stipendio di Cimoli, è semplicemente vergognoso… Un tale che già ha dimostrato incapacità nel gestire le ferrovie italiane, è stato messo al comando di Alitalia con uno stipendio stratosferico e si sono visti i risultati che ha prodotto…
W la meritocrazia !!!
Con questo andazzo c’è una sola direzione per l’Italia: il DECLINO.
E onestamente con la gente che ci governa è veramente difficile sperare in una inversione di tendenza!!!