Cosa sono gli OGM?
Con questo termine si intendono organismi in cui sono state introdotte molecole di DNA utilizzando le tecniche dell’ingegneria genetica. Queste tecniche consentono di tagliare e cucire le molecole di DNA e di integrarle nei cromosomi di un organismo, che diventa così “geneticamente modificato”.
I microrganismi sono stati i primi ad essere stati modificati geneticamente e sono alla base della produzione di molti farmaci, vaccini e altre molecole utili.
Comunemente, però, quando si parla di OGM ci si riferisce alle piante geneticamente modificate (PGM). Queste sono state ottenute per la prima volta nel 1983 e sono coltivate dal 1996 (USA). Nel 2007 la loro coltivazione ha interessato circa 120 milioni di ettari e più di un milione di agricoltori in decine di Paesi nel mondo: una diffusione rapidissima.
Piantine di tabacco che crescono in vitro. Le piantine verdi sono geneticamente modificate e resistono ad una sostanza tossica presente nel terreno di coltura.
Le PGM più diffuse sono di due tipi: piante resistenti a diserbanti e resistenti agli insetti. Le specie coltivate interessate sono quasi esclusivamente la soia (resistente a diserbanti), il mais e il cotone (resistenti ad insetti parassiti). Anche colza (una pianta da olio) geneticamente modificata per resistere ad erbicidi viene coltivata su superfici apprezzabili.
Da alcuni anni si stanno diffondendo varietà coltivate che sommano i due tipi di resistenza. In entrambi i casi, nelle piante sono stati introdotti un paio di geni di origine batterica, che si aggiungono alle decine di migliaia di geni della pianta ospite.
Gli agricoltori di molti Paesi hanno adottato queste varietà, perché rendono più facile la coltivazione per quel che riguarda il controllo delle erbe infestanti e degli insetti nocivi. Nel primo caso, si utilizzano diserbanti molto efficaci contro tutte le erbacce, che hanno bassa tossicità per l’uomo e sono attivi a dosi minori rispetto ai diserbanti tradizionali; nel secondo caso, la quantità di insetticidi utilizzata può essere ridotta di molto, con vantaggio sia per la salute che per le tasche degli agricoltori, e per l’ambiente agrario.
Tuttavia, queste nuove tecnologie devono essere gestite con attenzione per non perdere i vantaggi iniziali a causa della selezione di piante o insetti resistenti, e per controllare eventuali impatti ambientali.
Più di recente, le ricerche si indirizzano a prodotti alimentari con proprietà nutrizionali migliori e a piante capaci di produrre quando coltivate con meno acqua, meno concimi, o in terreni poveri, così come all’uso delle piante per produrre sostanze di interesse farmaceutico o industriale. Un esempio è il riso arricchito di provitamina A, il noto golden rice, creato pensando ai paesi in cui l’alimentazione, basata sul riso, è gravemente carente di vitamina A. Un altro esempio è un tipo di mais che richiede meno irrigazione, che può essere molto utile a fronte della crescente carenza d’acqua.
Gli OGM fanno male?
Quelli coltivati oggi no, a giudizio di un gran numero di ricercatori e tecnici. Infatti, dopo più di 10 anni di studi, la letteratura scientifica è largamente concorde sull’innocuità per la salute umana e animale. Sottolineo che la letteratura scientifica è soggetta, prima della pubblicazione, al vaglio anonimo di ricercatori del settore. Non così per la pubblicistica ambientalista o la stampa quotidiana, che guadagna ascolto amplificando rischi reali o presunti.
Qualche pubblicazione ha sollevato dubbi, ma i loro risultati non sono stati confermati da altre ricerche. Ad esempio, si è temuto che un particolare mais GM (Starlink) avesse causato reazioni allergiche ma non era così. Con l’ingegneria genetica, d’altra parte, è stato possibile ridurre o eliminare, per ora su scala sperimentale, proteine allergeniche da piante alimentari come la soia, il riso, l’arachide.
Insomma, dopo 12 anni di coltivazione, per fortuna neanche un mal di pancia può essere attribuito agli OGM, segno che i controlli funzionano a sufficienza. Si sente dire che a causa del cotone GM siano aumentati i suicidi tra gli agricoltori indiani: queste notizie sono infondate, come dimostrato da studi recenti. E’ vero, al contrario, che il reddito medio dei coltivatori che hanno adottato il cotone GM è aumentato, e che le intossicazioni da insetticidi tra gli stessi agricoltori sono diminuite.
Come ho già detto, l’ingegneria genetica è molto utilizzata per produrre farmaci (ad esempio l’insulina) e vaccini. E’ possibile che quando le stesse tecniche vengono applicate alle piante alimentari diventino pericolose? Il fatto è che, quando si parla di OGM, i ricercatori si sentono chiedere di dimostrare che non esiste alcun rischio, cosa che è impossibile. Ciò che può essere dimostrato è che, alla luce delle conoscenze che abbiamo oggi, non ci sono rischi apprezzabili. Non è accettabile, su base scientifica, che si dica, come si sente nei supermercati: “nel dubbio meglio non rischiare”. Siccome l’assenza di rischio non può essere dimostrata, con questa logica non si farebbe mai alcuna innovazione.
In realtà, la tecnologia degli OGM di per se è neutra; tuttavia trattandosi di una tecnica nuova la sicurezza dei suoi prodotti deve essere valutata attentamente caso per caso.
Ricerca pubblica o ricerca privata?
Le varietà GM coltivate oggi sono state prodotte da grandi aziende multinazionali che detengono molti dei brevetti sulle tecnologie coinvolte. Questo è un aspetto criticato da molti, perchè le grandi aziende quotate in borsa obbediscono alle fallaci (oggi più che mai considerate tali) leggi del profitto. Negli ultimi 10 anni alcune aziende maggiori ne hanno acquistate altre più piccole e ora sono pochissime quelle che hanno la possibilità di realizzare gli investimenti necessari a portare sul mercato nuove varietà di piante GM. E’ responsabilità dei legislatori fare in modo che questa concentrazione di tecnologie in poche mani non diventi rischiosa.
D’altra parte, gli enti pubblici di ricerca, anche in Italia, non hanno generalmente le risorse per confrontarsi con il settore privato. Inoltre la loro possibilità di fare sperimentazione è fortemente ostacolata dalle normative estremamente (a mio giudizio esageratamente) restrittive vigenti in Europa e con la contrarietà delle amministrazioni locali, inclini ad assecondare l’opinione pubblica. La conseguenza e che gli enti pubblici sono di fatto tagliati fuori dalla possibilità di sviluppare e portare sul mercato PGM per così dire “di pubblica utilità”.
Foto aerea fatta nelle Hawaii che mostra piante di papaia transgenica resistente al virus “Ringspot” (al centro) che crescono tra piante di papaia non transgeniche suscettibili.
Innovazione o tradizione?
E’ stato detto che la tradizione di oggi è l’innovazione di ieri. Verissimo. I pomodori, quando introdotti dal continente Americano appena “scoperto” erano considerati un’oscura minaccia. Le patate e i fagioli vengono pure dalle Americhe, a cui noi del vecchio mondo abbiamo donato i frumenti. Introdurre una nuova specie coltivata in un continente è molto più sconvolgente, a mio parere, che introdurre un gene in una pianta.
Sembra che l’innovazione ci interessi solo quando riguarda automobili e telefonini. Forse questo dipende dai tanti allarmi e scandali legati a prodotti alimentari, dal vino al metanolo, al pollo alla diossina, alla mucca pazza. Tuttavia questi fatti gravi non costituiscono una ragione sufficiente per impedire che si vada avanti con l’innovazione sulle piante coltivate e l’agricoltura, resa necessaria se non altro dalla necessità globale di produrre più alimenti.
L’innovazione in agricoltura ha significato lavoro meno duro e produttività enormemente aumentata. Non vedo perché fermarsi di fronte ad una nuova tecnologia che ha dato finora ottima prova.
Naturale o artificiale?
E’ stato anche detto che tutti vogliono tornare alla natura, ma non a piedi. L’agricoltura non è “naturale”, al contrario, è l’attività umana che da 10.000 anni a questa parte ha modificato l’ambiente in modo più profondo. Quello che probabilmente si intende per agricoltura naturale è probabilmente l’agricoltura biologica, ma anch’essa fa ampio uso di mezzi tecnici moderni e anche potenzialmente inquinanti, come i trattori, il solfato di rame e i concimi.
Neanche le piante coltivate sono “naturali”, perché sono piante “addomesticate” spesso incapaci di vivere senza l’uomo, che derivano in molti casi da mutazioni spontanee delle piante selvatiche che gli agricoltori hanno selezionato molti secoli fa. Un esempio? I cereali hanno tutti una mutazione che fa sì che il seme non cada a terra quando è maturo e quindi può essere raccolto facilmente. Un altro esempio? Il mais deriva da una pianta selvatica del tutto improduttiva, grazie ad alcune mutazioni selezionate migliaia di anni fa dagli agricoltori del centro america.
In Italia oggi sembra si voglia andare verso un’agricoltura basata sui prodotti tipici, meglio se ottenuti con metodo biologico. Nulla in contrario, ma si dica tutta la verità. Se il prodotto tipico ha un vero radicamento sul territorio e viene valorizzato commercialmente senza turlupinare i clienti dei supermercati o turisti nei ristoranti vantando proprietà salutistiche per lo meno dubbie, allora può avere senso. Però va detto chiaramente che non si può avere “slow food per tutti”. Non tutto il mondo può sfamarsi con i prodotti dell’agricoltura biologica, tanto meno con quelli tipici e locali. Nel 2050 saremo circa 10 miliardi e la FAO ha calcolato che nemmeno il Nord America, oggi esportatore di alimenti, sarà più autosufficiente se continuasse a produrre la quantità di alimenti che produce oggi. L’agricoltura biologica, se praticata bene, può avere una sostenibilità maggiore di quella convenzionale, principalmente perché fa necessariamente uso degli avvicendamenti che favoriscono la fertilità dei terreni. Ma bisogna dire che presenta costi maggiori, produttività minore, e il costo del prodotto biologico è di conseguenza sensibilmente maggiore. Ora, chi ha un buon reddito e cultura sufficiente può apprezzare e acquistare prodotti biologici, ma questo non riguarda tutti. La maggior parte delle persone cerca cibo sicuro a prezzi bassi, specie in tempi di crisi economica.
Slow food esalta la terra e i “contadini”. Come studente della facoltà di agraria, negli anno ’80, sono stato redarguito dall’utilizzare il termine “contadino” (il “contado” era il feudo di un Conte!), che doveva essere sostituito da “agricoltore” o, meglio “imprenditore agricolo”. Il movimento che ruota intorno a slow food ha “risdoganato” i contadini, circondandoli di un’aura di tradizione e naturalità.
Io credo che quando c’erano davvero i contadini il lavoro delle campagne era molto più duro, subalterno e rendeva poco. Un contadino americano nel 1940 produceva alimenti per 20 persone; un agricoltore oggi produce alimenti per 140 persone. Sembra quasi che i buongustai di città alla ricerca dei sapori di una volta vogliano tornare a quei tempi.
E’ spesso vero che l’agricoltura convenzionale oggi non è sostenibile, cioè tende ad impoverire i terreni e inquinare l’ambiente. Ma bisogna ancora dire che le tecniche evolvono continuamente e anche l’agricoltura industriale tanto vituperata utilizza pesticidi molto meno tossici di una volta e la legislazione pone molti vincoli alle tecniche di coltivazione nell’interesse della difesa dell’ambiente e della salute. Insomma, la “primavera silenziosa” è stata per fortuna scongiurata e, ad esempio, nei meleti della valle dell’Adige, pur soggetti a coltura intensiva, volano numerosi i merli e cantano i tordi.
Biodiversità e PGM
Si accusano le PGM di causare perdita di biodiversità, cioè delle varietà coltivate tradizionali, fonte preziosa di geni che non devono andare perduti. La perdita della diversità genetica delle piante coltivate è iniziata con la diffusione su larga scala delle varietà migliorate moderne, a partire soprattutto dagli anni 60-70 del ‘900. Qualcuno arriva a sostenere che quello fu un errore, dimenticando che senza varietà migliorate la produzione di alimenti oggi sarebbe molto inferiore e molta più gente soffrirebbe la fame.
Per fortuna la conservazione della variabilità genetica in agricoltura è ormai una realtà consolidata grazie soprattutto a enti di ricerca pubblici sparsi per il mondo. L’introduzione degli OGM di per sè non aggrava il problema, si tratta infatti di una nuova generazione di varietà moderne.
Conclusione
A mio parere è necessario guardare a tutte le nuove tecnologie, comprese le biotecnologie genetiche applicate alle piante coltivate, con mente aperta chiedendo: cosa possono fare di buono? Quali rischi presentano? Gli esperti daranno le risposte al meglio delle conoscenze scientifiche e la società parteciperà al dibattito. Se il rapporto rischi-benefici sarà a vantaggio dei benefici, allora avanti con prudenza. Per realizzare questo mi sembra necessario che i ricercatori e la società comunichino di più e meglio, e che le scelte politiche di indirizzo della ricerca tengano più conto delle conoscenze scientifiche e delle reali esigenze della società che dei sondaggi d’opinione. In molti altri Paesi gli investimenti pubblici e privati nella ricerca e sviluppo di nuove PGM sono forti: speriamo di non restare irrimediabilmente indietro.
Daniele Rosellini
Professore associato di genetica agraria e biotecnologie vegetali
Dipartimento di Biologia applicata, Università degli Studi di Perugia
Consigliere della Società Italiana di Genetica Agraria
Grande dani!!
Qualcuno dei nostri lettori, magari i corregionali marchigiani, sanno come la pensano in proposito di OGM gli ammnistratori di questa Regione?
Da quel poco che ho visto, con la scusa della qualità, si enfatizza il concetto di “rischio”.
Basato su cosa? Perchè?
Caro Scaloni, quella che segue è una risposta al fazioso articolo di Daniele Rosellini, tratta dal libro “Comportamenti solidali” di Michele Altomeni. Credo che sia esaustiva e di fronte a d essa solo uno sciocco potrebbe non arrivare a comprendere la portata devastante degli OGM che vengono troppo spesso criticati (giustamente) solo per le supposte ricadute sulla salute, mentre le implicazioni che hanno sono straordinariamente più vaste e ben più pericolose.
Roberto Chiostergi
L’INVASIONE DEGLI OGM
Le biotecnologie, in senso letterale, esistono da millenni. Questo termine, infatti, indica l’utilizzo di fenomeni biologici per ottenere qualcosa che in natura non si verificherebbe senza l’intervento
umano. In questo senso sono biotecnologie i processi di produzione di birra, vino, yogurt, formaggio.
Nel linguaggio comune la parola biotecnologie viene usata per indicare la manipolazione dei geni, ossia la capacità, acquisita negli anni ‘70, di modifi care o sostituire porzioni di informazione genetica. Gli OGM (Organismi Geneticamente Modifi cati) sono organismi in cui sono stati inseriti geni a loro estranei, ottenendo una specie nuova. In natura fenomeni simili possono avvenire solo in casi eccezionali e limitati.
A partire dagli anni ‘80 sono nate le prime aziende biotecnologiche (prima nel campo bio-medico e poi in quello agro-alimentare). Da allora le manipolazioni genetiche hanno trovato innumerevoli applicazioni diventando un grande affare economico. Nel settore alimentare gli OGM stanno compiendo una vera e propria invasione, spodestando le colture tradizionali. Numerose sono le prove su effetti negativi per l’ambiente e la salute, e su molti altri rischi la discussione è ancora aperta, tuttavia gran parte dei governi del pianeta hanno ritenuto di non doversi opporre al potere economico che ne promuove la diffusione e i cittadini, spesso ignari, si ritrovano a fare da cavie inconsapevoli.
Per molti aspetti la diffusione delle biotecnologie agricole sta seguendo la dinamica della “rivoluzione verde” e allo stesso modo è propagandata come soluzione alla fame nel mondo e addirittura come
soluzione dei problemi ecologici.
Non è un caso che le principali imprese del settore transgenico siano anche le maggiori produttrici di sostanze chimiche per l’agricoltura. La propaganda propone le biotecnologie come mezzo per ridurre
l’uso di sostanze chimiche, la realtà è che gran parte degli OGM coltivati nel mondo sono piante manipolate per diventare più resistenti agli erbicidi prodotti dalle stesse multinazionali, così l’agricoltore
può spargerne dosi massicce sui campi senza preoccuparsi di danneggiare il raccolto, trascurando le conseguenze per l’ambiente, per i lavoratori del settore e per i consumatori che i pesticidi se li
ritrovano nel piatto.
Sul versante dei parassiti l’industria ha creato piante che sviluppano batteri insetticidi. Questo accelera la selezione delle specie aumentando la resistenza degli insetti dannosi e, allo stesso tempo, si
danneggiano gli insetti utili, come i predatori che si nutrono di parassiti.
La diffusione delle biotecnologie prelude ad una ulteriore riduzione della biodiversità, in quanto tende a restringere la produzione agricola ad un numero sempre più limitato di specie selezionate.
Numerose ricerche scientifiche hanno confermato le preoccupazioni rispetto all’inquinamento genetico, ossia la diffusone nell’ambiente di caratteri genetici che in quel dato ambiente possono produrre
effetti sconvolgenti e modificare gli equilibri naturali. Gli OGM sono in grado di interagire con altre forme di vita, riprodursi, trasferire le loro caratteristiche e mutare in risposta alle sollecitazioni ambientali.
Frequenti sono i casi in cui il polline di piante OGM ha contaminato coltivazioni biologiche o tradizionali, provocando danni ai coltivatori.
Attorno alle preoccupazioni sulle conseguenze sanitarie degli OGM si sviluppa il macabro balletto degli esperti che affermano che la pericolosità non è ancora dimostrata, in barba al principio di precauzione secondo cui sono i promotori di una nuova tecnologia a doverne dimostrare l’innocuità. In realtà molti pericoli sono già stati dimostrati e tanti altri emergeranno nel lungo periodo.
Tra le conseguenze sanitarie degli OGM ci sono le nuove allergie. La manipolazione genetica introduce nella dieta umana proteine che non ne facevano parte. Gran parte della popolazione umana potrebbe non subire effetti dall’ingestione di queste proteine, mentre alcuni soggetti potrebbero essere allergici e subirne gravi conseguenze. Per migliorare il potere nutrizionale della soia vi è stato introdotto un gene della noce brasiliana, alimento a cui circa il 5% della popolazione mondiale risulta allergico.
Alcuni di questi consumatori ignari, ingerendo soia manipolata, si trovarono ad ingerire senza saperlo ciò che per loro è veleno.
Altro problema è lo sviluppo delle resistenze. L’abuso di farmaci tende a sviluppare la resistenza degli agenti patogeni che causano le malattie. Anche per questo si consiglia di farne un uso moderato. E’
ampiamente dimostrato come l’aumento della resistenza dei batteri e la diminuzione dell’efficacia dei farmaci abbia tra le sue cause l’inclusione sistematica di antibiotici nella dieta degli animali destinati al consumo umano. Nei processi di manipolazione genetica sono utilizzati geni che forniscono la resistenza agli antibiotici e che potrebbero passare all’organismo che li ingerisce, trasferirsi ai patogeni rendendoli immuni alle cure mediche, con grave danno per l’organismo che li ospita.
Sul piano socio-economico la diffusione degli OGM sta già producendo conseguenze negative che vanno a discapito di un modello produttivo sostenibile e di qualità e delle condizioni di vita di tanti coltivatori e abitanti del sud del mondo.
Siamo di fronte ad una nuova evoluzione dell’agricoltura moderna, trasformata da attività produttiva tradizionale a vera e propria industria. Questo mutamento non può essere liquidato come semplice
evoluzione tecnologica e va letto in tutte le sue ripercussioni sociali, economiche e politiche, come storia di potere, di espropriazione della libertà e della sicurezza alimentare; come fenomeno di controllo sociale.
L‘industrializzazione ha provocato la quasi scomparsa dell’artigianato e della produzione su piccola scala. Allo stesso modo l’industrializzazione dell’agricoltura ha prodotto la progressiva cancellazione delle piccole aziende e la concentrazione economica della produzione. Il meccanismo è lo stesso: quando entrano in gioco fattori di produzione costosi, capaci di aumentare la produttività (e quindi
diminuire i prezzi), che richiedono grandi investimenti, i piccoli imprenditori non riescono più a stare sul mercato. Per acquistare tecnologie costose occorrono capitali inaccessibili a chi non offre solide garanzie. Molti restano indietro e poi soccombono, schiacciati e “assorbiti” dai vincitori della gara. I frutti avvelenati di questo processo sono la distruzione delle comunità locali, l’urbanizzazione selvaggia e disordinata, disoccupazione e criminalità.
Già oggi il mercato delle biotecnologie è in mano ad un ristretto numero di multinazionali, le stesse che controllano i settori paralleli dell’agricoltura: sementi e chimica, e anche quello farmaceutico.
Le biotecnologie prefigurano un ulteriore salto in avanti in questo processo drammatico. L’idea di fabbriche in cui ortaggi e cereali crescono, non più a terra, ma dentro immensi bagni di coltura, è ormai
uscita dall’immaginario della fantascienza per farsi realtà in laboratori di ricerca. In poco tempo questa trasformazione epocale e devastante potrebbe rendere “superflui” milioni di contadini in tutto il mondo.
Alla fine degli anni ‘80 un laboratorio americano ha annunciato di essere in grado di produrre vaniglia direttamente in fabbrica, saltando completamente un processo di lavorazione molto complesso che
richiedeva un meticoloso intervento umano. E’ facile immaginare le conseguenze per un paese come il Madagascar che basa una fetta consistente della sua economia sull’esportazione di questo prodotto.
Allo stesso modo è già possibile coltivare in laboratorio del cotone e vescicole di arance e limoni, senza tronchi, rami e bucce.
La concentrazione di potere nelle mani di poche multinazionali è favorita dalla legislazione sui brevetti.
Il brevetto è una forma di tutela giuridica di un’invenzione, in base alla quale si riconosce all’inventore la paternità della sua creazione ed il diritto a godere di una parte dei proventi del suo sfruttamento
commerciale.
I brevetti sono stati originariamente concepiti per tutelare l’invenzione di cose, escludendo le forme di vita, ma sin dai primi esperimenti di ingegneria genetica le imprese hanno chiesto la possibilità di brevettare i loro prodotti e le tecnologie utilizzate. Questa richiesta viene motivata con la necessità di recuperare con i proventi commerciali gli investimenti effettuati nella ricerca. Nelle loro campagne a favore della brevettabilità le imprese parlano sempre di ricerca farmaceutica, accusando gli oppositori dei brevetti di voler scoraggiare ricerche che potrebbero portare alla cura di tante malattie.
Il primo brevetto su un essere vivente (su un batterio) è stato concesso nel 1980 negli Stati Uniti.
Infranto il tabù le multinazionali hanno iniziato una crociata per vedere riconosciuto quel “diritto” in tutto il mondo. La battaglia si è giocata in seno a numerose conferenze internazionali in cui gli USA fecero pesare tutta la loro forza di ricatto. I paesi ricchi posero il problema come una semplice questione commerciale mentre si trattava di una questione politica ed etica dato che molti paesi avevano già
delle leggi che vietavano di brevettare beni di prima necessità come alimenti e farmaci. Il negoziato per l’”Accordo sui Diritti Intellettuali””(Trade Related Aspects of Intellectual Property – TRIPs) fu tutt’altro che democratico e si concluse con l’imposizione degli interessi delle multinazionali. Da allora gli Stati Uniti
incassano ogni anno centomila miliardi di lire dai paesi del sud del mondo come diritti sui brevetti.
Le norme sui brevetti sugli OGM rappresentano un’enorme forzatura dei principi basilari del diritto, secondo i quali un oggetto può essere brevettato solo dimostrando che si tratta effettivamente di
un’invenzione, e non di una scoperta; se è descrivibile in modo completo e tale da consentire ad un esperto di riprodurlo; se l’oggetto è nuovo e utilizzabile a scopi commerciali. Il brevetto è stato
concepito per le cose, ed estenderlo alla materia vivente significa già implicitamente equiparare la vita a qualunque altra merce. L’unicità della vita dovrebbe per natura renderla non inventabile, non completamente descrivibile e non riproducibile in laboratorio. Ma anche sul piano tecnico questi principi non reggono, infatti una pianta o un animale non sono certamente un invenzione dell’uomo, il fatto di averne modifi cato il DNA non significa avere realizzato qualcosa di nuovo, tant’è vero che nessuno potrebbe brevettare come sua la Divina Commedia dopo averne sostituito un brano con un brano di un altro poema. Eppure è questo che avviene con la ricombinazione del DNA. In più, brevettando materia vivente, si brevettano i geni, la pianta e tutta la sua discendenza, possibilità che non esiste con nessun
oggetto.
Mentre le multinazionali affermano che i brevetti sono necessari per incoraggiare la ricerca, la realtà ha mostrato in più occasioni che sono proprio i brevetti ad inibirla. Essi l’imitano l’utilizzo di geni e
di organismi brevettati anche per scopi sperimentali e fanno lievitare i costi (dovuti al pagamento di licenze) della ricerca.
In campo agricolo gli organismi, i geni e le tecnologie sotto brevetto sono proprietà delle imprese che vendono agli agricoltori delle semplici licenze di utilizzo, sulla base di precisi contratti che li vincolano a produrre secondo determinate condizioni. Tra l’altro agli agricoltori è fatto divieto di conservare parte del raccolto da usare come semi, costringendoli a ricomprarli ogni anno.
I brevetti proteggono i prodotti tecnologici e chi li sviluppa, ma non garantiscono in alcun modo i popoli che detengono la diversità genetica originaria da cui questi prodotti derivano, a differenza di quanto
prevede la Convenzione sulla Biodiversità. Ciò ha favorito il diffondersi della biopirateria, una vera e propria rapina, da parte delle multinazionali occidentali, del patrimonio genetico costituito e conservato in millenni di storia dalle popolazioni mondiali. In pratica si prelevano piante e microrganismi con particolari caratteristiche, se ne analizza la struttura genetica e la si brevetta, al che se ne diviene
proprietari. Un esempio tipico è rappresentato dall’albero neem, i cui derivati da più di un migliaio di anni vengono utilizzati in India in campo medico e agricolo. Questa scoperta appartiene alla storia
ed alla cultura del popolo e nel tempo è stata sempre messa a disposizione di tutte le popolazioni dell’area dell’Oceano Indiano, senza nemmeno concepire la possibilità di chiedere i diritti d’autore. Con la crisi della medicina occidentale ed il diffondersi delle medicine alternative, tradizionali e naturali, il neem ha acquisito un valore commerciale anche da noi. Diverse società, intravedendo l’affare, hanno chiesto e ottenuto brevetti sull’uso di questa pianta e dei suoi principi, senza avere inventato nulla, ma semplicemente copiando quanto i contadini locali facevano da tempo immemorabile
Esempi di biopirateria si ritrovano in tutti i paesi del sud del mondo. Di tutte le specie vegetali conosciute, il 90% proviene dai paesi della fascia tropicale; la maggior parte di tutti i prodotti farmaceutici derivanti da piante (il cui mercato corrisponde ad un valore di oltre 43 miliardi di dollari) provengono proprio dalle medicine tradizionali. Ma la biopirateria non riguarda solo le piante e ci sono già diversi casi di “rapina” di geni umani. In un solo anno un’unica ditta americana ha richiesto di brevettarne 6500.
I paesi industrializzati, di fatto, controllano l’agricoltura a livello mondiale già da tempo. Biotecnologie e brevetti contribuiscono ad accentrare nelle mani di poche multinazionali tutta la produzione di cibo mondiale, con gravi conseguenze sulla sicurezza alimentare dei cittadini, sia al sud che al nord del mondo, e con pericolose conseguenze geopolitiche.
I profeti biotecnologici affermano che gli OGM consentiranno di aumentare la produzione alimentare a livello mondiale, facendo finta di non sapere che il problema della fame nel mondo non è una conseguenza
della scarsità di risorse. Già oggi le risorse alimentari prodotte sul pianeta sarebbero sufficienti a sfamare una popolazione di circa 9 miliardi di persone. Basta ricordare le enormi quantità di prodotti
agricoli che anche nel nostro paese restano invenduti o vengono distrutti, nonostante la produzione sia molto inferiore a quella potenziale. Dagli anni ’70 la fame è andata progressivamente aumentando
nonostante un aumento della disponibilità di cibo pro capite dell’8/9%; almeno 800 milioni di esseri umani (la maggior parte dei quali bambini) sono denutriti, mentre una buona parte di risorse alimentari
viene distrutta in nome delle regole economiche, per non far crollare i prezzi, per rispettare i parametri dei trattati commerciali e così via.
La fame nel mondo ha poco a che fare con la produzione di cibo, e molto con la sua distribuzione, con le scelte politiche, con le regole dell’economia internazionale, con la distribuzione della ricchezza
e del potere.
Nel corso degli anni, ai paesi del Sud del mondo è stato imposto un sistema industriale che ha sempre più espropriato i contadini delle loro terre per ricavarne prodotti da esportazione che arricchiscono solo
piccole minoranze. Milioni di contadini hanno perso le loro terre generando un meccanismo di dipendenza alimentare esterna. Là dove gli agricoltori producevano per il mercato locale e si garantivano
la sicurezza alimentare con l’autoproduzione, ora dominano le monocolture destinate ai mercati ricchi (caffè, cacao, cotone, frutta tropicale…).
I contadini espropriati dipendono dal denaro per l’acquisto di cibo e se non hanno fonti di reddito, situazione tutt’altro che insolita, non serve a nulla raddoppiare la produzione mondiale di cibo. Anziché
risolvere il problema della fame, le biotecnologie agricole contribuiranno a consolidare quel sistema
economico e produttivo che sta alla base del problema.
Animali e chimere
Le biotecnologie trovano numerose applicazioni anche sul mondo animale. Basti pensare a tutte le polemiche sulla clonazione, oppure alla produzione di cavie su misura, manipolate per sviluppare
determinate malattie, o alla produzione di organi per trapianti umani. Naturalmente non sfugge il settore alimentare, cioè gli animali da allevamento. Spesso la manipolazione genetica in questo campo
ha lo scopo di accelerare e aumentare la crescita. Conseguenza di questi interventi sono enormi sofferenze per questi animali deformi i cui organismi non rispondono più all’evoluzione raggiunta in
millenni di storia. Ma i rischi, come è facile immaginare, riguardano anche il consumatore che si troverà ad ingerire carne geneticamente manipolata.
Rispetto agli OGM i consumatori europei si sono mostrati più attenti che su altre questioni, dando vita ad un importante movimento di opposizione. Questo ne ha rallentato la diffusione e ha favorito
l’introduzione di alcune norme, ma la battaglia è tutt’altro che vinta. Le lobby delle multinazionali continuano il loro lavorio sotterraneo e i cittadini non si possono permettere distrazioni.
BIODIVERSITÀ, RICCHEZZA DEI POPOLI
Il termine biodiversità è stato inventato da Walter G. Rosen nel 1985 e sta ad indicare la varietà delle forme di vita esistenti, considerando sia la diversità tra le specie, sia le differenze genetiche all’interno
di una stessa specie, e anche le interazioni che avvengono tra queste diversità.
La diversità genetica riveste una grande importanza soprattutto in presenza di fattori patogeni: è grazie alla biodiversità se batteri o virus riescono ad infettare solo una parte della popolazione. Annullandola o riducendola un singolo agente patogeno potrebbe sterminare un’intera specie.
La storia ci offre numerosi casi che stanno ad indicare l’importanza di questo valore. Un esempio significativo riguarda la carestia che si verificò in Irlanda nel XIX secolo: la patata, importata dal Nuovo
Mondo, era in breve tempo diventata un alimento base degli irlandesi, soprattutto dei più poveri. Ma di questi tuberi venivano coltivate pochissime varietà che si rivelarono particolarmente vulnerabili ad
un morbo che comparse nel 1845 e resistette per 5 anni. Solo quando i ricercatori trovarono nelle Ande una nuova varietà di patate resistente alla malattia fu possibile riprendere la coltivazione, ma nel frattempo era morto più di un milione di persone e tante altre erano state costrette ad emigrare in Nord America.
Pochi anni dopo in Brasile andò distrutta metà dell’intero raccolto di caffè, basato su un’unica varietà importata dall’Indonesia. Agli inizi degli anni ’70 negli USA una malattia distrusse, per lo stesso motivo,
gran parte del raccolto di mais. In Danimarca invece si è recentemente constatato che un quinto delle mucche del paese soffrivano di malattie cardiache: tutte le mucche danesi discendono da soli 5 tori, uno dei quali era ammalato al cuore.
La biodiversità rappresenta una delle principali ricchezze dell’umanità, e si tratta, in gran parte, di una ricchezza ancora da esplorare. I vari organismi viventi presenti sulla terra possono racchiudere innumerevoli caratteristiche utili (gran parte dei farmaci che attualmente utilizziamo sono frutto della biodiversità). Ogni volta che una specie si estingue perdiamo irrimediabilmente una parte importante di possibilità.
L’uomo occidentale e il modello socio-economico di cui è portatore sottovalutano questa ricchezza in quanto non traducibile in guadagno monetario immediato. Così avviene che ogni anno si estinguono
quasi 30.000 specie viventi. La FAO stima una perdita di circa il 75% delle varietà agricole presenti all’inizio del ‘900.
Una delle principali cause di perdita di biodiversità è proprio l’introduzione di specie estranee all’ambiente.
La natura vive e si evolve nel quadro di equilibri molto complessi, all’interno dei quali i vari elementi si “controllano” a vicenda: introdurre elementi estranei all’ambiente significa modificare questi
equilibri con conseguenze anche molto gravi. Diffondere una specie in un ambiente “troppo” favorevole, in cui non esistono agenti che ne regolano lo sviluppo, consente a questa specie di diffondersi
senza limiti mettendo in pericolo l’ecosistema.
L’agricoltura industriale, basata sulle monocolture, ha enormi responsabilità rispetto alla perdita di biodiversità. Su gran parte dei terreni agricoli in tutto il mondo, la moltitudine di varietà coltivate sono state sostituite da un ridotto numero di specie adatte alla produzione industriale per renderne più semplice la trasformazione. Molte varietà sono sparite dai cataloghi delle industrie sementiere e non si trovano più nemmeno nelle cosiddette “banche dei semi” create per conservare il patrimonio genetico: una sorta di museo dell’assurdo.
10.000 anni fa la popolazione umana si nutriva di 5.000 diverse specie di piante. Fino a poco tempo fa, in Europa, se ne coltivavano diffusamente circa 2000. Oggi l’alimentazione si basa su 150 piante,
e all’interno di queste varietà il 50% è rappresentato da tre specie (grano, riso e mais), mentre prodotti come farro, miglio, grano saraceno, orzo, avena, quinoa, cicerchia, carrube, semi di girasole, semi di zucca e sesamo, ottimi per sapore e valore nutritivo, rappresentano una fetta di consumi molto ridotta. Tutta la soia piantata negli USA (cioè il 75% della produzione mondiale) deriva da sole 6 varietà originarie. Nello stesso paese, in 80 anni si è estinto il 97% delle varietà dei vegetali coltivati, l’86% delle varietà di mela e l’87% delle varietà di pera. In India, fino a pochi decenni fa, si coltivavano 30.000 varietà di riso, oggi 10 sole varietà coprono il 75% della produzione.
Altre cause della perdita di biodiversità sono la deforestazione (circa metà delle specie viventi popolano le foreste pluviali tropicali), il prelievo di risorse, il commercio di specie in via di estinzione, la
desertificazione, l’inquinamento delle acque e della catena alimentare.
P.S. – se credi puoi anche pubblicarla, come risposta alla precedente.
Il commento n. 3, a firma Roberto Chiostergi, per me si esaurisce nelle 6 (sei) righe a sua firma.
Si esaurisce e si commenta quando definisce l’articolo di Daniele Rosellini (che conosco e stimo da una vita) come “fazioso“. Non pago della stroncatura aggiunge che “solo uno sciocco non potrebbe non arrivare comprendere la portata devastante degli OGM“.
Io mi ritengo tale.
Per ora senza far nomi ed altri riferimenti aggiungo che mi sento in buona compagnia.
Non so se può dire altrettanto lui che in Italia ha un leader come Mario Capanna. Purtroppo ho avuto la ventura di conoscere e frequentare quando forse il nostro commentatore era soltanto un allegro bambino.
Però non è questo il terreno di confronto e quindi spero che, con l’aiuto determinante di altri ed il passare del tempo, si dibatteranno i fatti con l’unico metodo che conosco: quello scientifico.
“I meleti della valle dell’Adige” sono la cosa più agriculturalmente triste che mi sia mai capitato di vedere: un tubo per l’acqua e un altro tubo per le sostanze. Quando li ho visti mi sono venute in mente le oche che vengono ingozzate a forza per il foie gras.
Che vantaggi avrebbe un contadino a comprare sementi brevettate (!!!) da utilizzare come/quando/perché dice la multinazionale di turno ovviamente in abbinamento con le medicine (brevettate anche quelle si intende) vendute dalla stessa multinazionale? Aumenta la produzione??? Certo, ma se la produzione aumenta per tutti il guadagno va a farsi benedire… e nel frattempo si è diventati schiavi dei proprietari dei detentori dei brevetti delle sementi.
“E’ responsabilità dei legislatori fare in modo che questa concentrazione di tecnologie in poche mani non diventi rischiosa.” Appunto: conosciamo bene la “responsabilità” dei nostri legislatori…
Una cosa in cui l’ingegneria genetica potrebbe essere utile ci sarebbe: recuperare l’Olmo. Se si riuscisse a trovare il modo di sconfiggere la grafiosi, si potrebbe recuperare un simbolo delle campagna marchigiane e non solo. Oltretutto si tratterebbe di un intervento in campo non alimentare. Chissà se la cosa sia fattibile e se sia abbastanza remunerativa per una multinazionale o un’università. Sono abbastanza scettico.
Dopo questo articolo a dir poco di parte, mi piacerebbe leggere qualche notizia da chi invece fa ricerca seria, non finanziata dalle multinazionali del biotech, e che dica esattamente quello che sono gli OGM.
Rispondo a Robero Chiostergi.
Qualche tempo fa un politico italiano disse che chi votava a sinistra era un “c…”. Chiostergi invece dice che chi non crede alla tesi di Altomeni e’ una sciocco: riconosco lo stesso stile di scarsa tolleranza e di disinteresse al dialogo. Oltre a “c” e “sciocco” forse sono anche “fazioso”, se per questo si intende che difendo una tecnologie che puo’ essere molto utile da che ne ha fatto oggetto di propaganda. Attenzione, pero’, difendo la tecnologia, non le multinazionali o le singole applicazioni della tecnologia stessa.
Il copia-incolla di Chiostergi da Altomeni contiene una serie di affermazioni false e molte altre approssimative. Non credo sia degno di un atto di fede come quello di Chiostergi, che mi pare abbracci senza condizioni le tesi di Altomeni. Perche’ mi pare che di questo si tratti: siccome Altomeni e’ “dei miei” allora credo a quello che dice e non ho l’onere di verificare che dica il vero. Fino al punto di dare dello sciocco a uno che lavora nel settore e forse ne sa qualcosa.
Alcune delle affermazioni false.
1. Un OGM non e’ una “specie nuova”
2. Non ci sono prove di effetti negativi la salute
3. L’introduzione delle piante GM resistenti agli erbicidi ha determinato una forte diminuzione delle quantita’ totali di erbicidi utilizzate (migliaia di tonnellate negli USA), perche’ gli erbicidi in questione si usano a dosi minori; essi sono anche meno tossici di quelli che sono andati a sostituire
4. Le piante GM non “sviluppano batteri insetticidi”; alcune di esse producono una proteina insetticida, la stessa che viene prodotta da batteri (Bacillus thuringiensis) che si usano come insetticidi in agricoltura biologica.
5. Non e’ vero che la soia in cui era stato introdotto un gene della noce brasiliana ha provocato allergie: i controlli che vengono fatti sugli OGM PRIMA della commercializzazione hanno dimostrato che la proteina introdotta era un allergene e quella soia non e’ stata mai messa sul mercato: un esempio semai che i controlli funzionano.
6. “I geni degli OGM possono passare all’organismo che li ingerisce”; questa affermazione ha la stassa base scientifica delle seguenti: “a chi mangia molto coniglio dopo un po’ si allungano le orecchie e ai vegetariani i capelli diventano verdi”.
Non voglio annoiare e per questo mi fermo qui.
Se un articolo contiene tante falsita’ per le cose che conosco, penso che ne possa contenere altettante sugli argomenti che non conosco.
—–“I geni degli OGM possono passare all’organismo che li ingerisce”; questa affermazione ha la stessa base scientifica delle seguenti: “a chi mangia molto coniglio dopo un po’ si allungano le orecchie e ai vegetariani i capelli diventano verdi”.Daniele Rosellini—–
🙂 :-). Touché!
P.S. Io credo che -come per ogni altra innovazione – bisognerebbe distinguere bene – senza scadere in ridicolaggini demagogiche da dott. Dulcamara, come quella sopra – fra le qualità intrinseche dell’innovazione e l’uso che se ne fa o che se ne possa fare. Perché p.es. l’atomo ci dà energia elettrica ma anche le testate nucleari…..
Rispondo brevemente anche ad “Accurimbono” (chi sara’?).
Gli agricoltori (aziende) che nel mondo utilizzano varieta’ GM sono piu’ di 12 milioni, sia grandi che piccoli, in termini aziendali. Mi sembra improbabile che siano tutti abbindolati dalle multinazionali e incapaci di valutare quello che gli conviene. Penso anzi che in generale sappiano fare i conti. Di sicuro si intossicano meno con insetticidi ed erbicidi.
I meleti della valle dell’Adige fanno un po’ impressione anche a me, con piante alte 1 metro e mezzo piantate a 50 cm! ma i pesticidi che si usano oggi sono molto meno peggio di quelli del passato.
Rispondo a Pacchi, che forse non lo meriterebbe per il suo tono, che non ho mai avuto finanziamenti da multinazionali per le mie ricerche, che sono finanziate solo da enti pubblici italiani.
Credo che se si vuole sapere cosa sono gli OGM conviene rivolgersi a chi li fa.
Un commento generale: mi sembra che nel fronte anti OGM il rispetto, non solo per le idee altrui, ma anche per le persone, non sia molto diffuso.
In effetti anche Mario Capanna mi ha disgustato, nel corso di un dibattito televisivo tempo fa, per la volgarita’ della sua mancanza di rispetto per l’interlocutrice, una ricercatrice rispettata del settore della genetica e biotecnologie delle piante.
Grazie per la risposta, non sono pregiudizialmente contrario agli OGM, solo da profano vorrei capire meglio, le rispondo in alcuni punti.
Credo che lei sopravvaluti la capacità delle persone (me compreso) di non farsi abbindolare dalla multinazionali o da chicchessia. Ad esempio si vedano i vari casi cirio, parmalat, vannamarchi, crisi finanziaria in corso e numerosissimi altri… vere e proprie truffe oppure i numerosi casi di vendor lock-in in ambito informatico o tecnologico in genere, tanto per cambiare campo. Se l’umanità fosse così sveglia non ci sarebbe cascata, ma magari sono io ad essere troppo pessimista.
Non ho capito una cosa: perchè sostiene che gli OGM riducono le quantità e la tossicità degli erbicidi? Io credevo che dal momento che si creano piante + resistente agli erbicidi, questo serva per utilizzarne in quantità/tossicità maggiore. Altrimenti a che pro spendere soldi per modifiche genetiche: basterebbe semplicemente ridurne la quantità di erbicidi… Scusi ma questo ragionamento sinceramente non l’ho capito, se ha voglia/tempo potrebbe gentilmente spiegarmelo?
Riguardo il recupero degli Olmi, crede sia una cosa tecnicamente fattibile? C’è qualcuno che fa ricerche a proposito, o sono tutti concentrati nel trovare nuove accoppiate sementi/medicine?
Se vuole sapere chi sono, non c’è problema, basta che mi dia il suo indirizzo mail e le risponderò in privato, ma sono sicuro che il mio nome le dirà nulla. E poi, anni di studi scientifici (in tutt’altro campo) mi hanno insegnato che quello che conta è “cosa” si dice e non “chi” lo dice, no? 🙂
Saluti cordiali
Grazie. Non sono abituato ai blog; capisco e accetto ben volentieri l’anonimato.
Le piante GM resistenti agli erbicidi riguardano sostanzialmente due erbicidi, glifosate e fosfinotricina, QUesti sono erbicidi totali, cioe’ agiscono contro tutte le piante o quasi, a meno che non vi si introduca un gene di resistenza. La loro efficacia e il loro successo sta proprio in questo; per gli erbicidi convenzionale la selettività (non tossicita’ per le piante coltivate e tossicita’ per le erbacce) e’ difficle da ottenere. I due erbicidi citati si impiegano a dosi basse per ettaro , grazie alla loro efficacia, e hanno bassa tossicità per gli animali. Ne consegue che il loro impiego su vaste aree comporta la riduzione della quantita’ totale di erbicidi utilizzata e una diminuzione dell’impatto ambientale. E’ possibile che alcuni agricoltori li usino in quantita’ eccessive, ma non gli conviene molto a causa del loro costo.
Mi da’ anche l’occasione di dire che questi erbicidi permettono di praticare con piu’ facilita’ il no-till, cioe’ eliminare l’aratura, cosa che riduce l’erosione del terreno e le emissioni di CO2.
Non considero questa tecnologia molto interessante, anche se ha molto successo. Si possono fare cose piu’ utili con l’ingegneria genetica applicata alle piante.
grazie a lei per la risposta e la spiegazione!
@ Daniele Rosellini:
Sono d’accordo con te che l’ingegneria genetica e gli OGM, come ogni tecnologia, sono intrinsecamente neutri, né buoni né cattivi in sé stessi. Le applicazioni che se ne fanno, invece, hanno, potenzialmente, delle pesanti ricadute sulla società, sull’economia, sull’ambiente e sulla salute umana.
Nello specifico, la coltivazione di piante OGM pone due ordini di problemi: quelli di tipo socio-economico e quelli di tipo ambientale-sanitario.
Mi vorrei soffermare innanzitutto sulla prima categoria: il punto chiave è che gli OGM sono in genere brevettati: gli agricoltori che acquistano sementi geneticamente modificate in realtà acquistano solamente una licenza d’uso per le stesse: licenze spesso molto restrittive, che di norma impediscono ai coltivatori di accantonare i frutti del raccolto come sementi per l’anno successivo, generando in questo modo un perverso meccanismo di dipendenza dalle aziende fornitrici. Se a questo aggiungiamo che le sementi GM spesso funzionano in abbinamento a pesticidi prodotti dalla stessa azienda, risulta evidente che il risultato netto è che gli agricoltori perdono il controllo sul loro lavoro e diventano poco più che dei dipendenti delle multinazionali del biotech (qualcuno ha dato un nome a questo fenomeno: “bioschiavitù”).
Quali sono quindi le conseguenze di questi meccanismi sull’agricoltura nei paesi poveri (e non solo…) ? Scomparsa delle piccole aziende, abbandono dell’agricoltura di sussistenza in favore di un’ agricoltura industriale, intensiva, orientata all’esportazione, a forte utilizzo di sostanze chimiche (fertilizzanti, pesticidi), fenomeni che a loro volta conducono all’impoverimento dei suoli, inquinamento delle falde acquifere e del suolo, distruzione delle comunità locali, indebitamento dei contadini, migrazioni di massa verso le grandi città e i paesi “ricchi”.
Di conseguenza, l’argomento “gli OGM consentiranno di ridurre la fame nel mondo” è infondato; anzi, il modello di produzione agricola che essi promuovono porta ad affamare intere comunità nei paesi in via di sviluppo.
Vogliamo combattere la fame nel mondo ? Iniziamo a ridurre gli sprechi (in Italia il 50% del cibo che passa attraverso la grande distribuzione viene buttato), contrastiamo la cementificazione, riduciamo le monocolture da esportazione nei paesi poveri (caffè, cacao, frutta esotica,…), limitiamo il consumo di carne, tanto per fare qualche esempio.
Oggi nel mondo si produce già cibo a sufficienza per tutti (anzi, per il doppio della popolazione attuale): il problema sta nella distribuzione del cibo, non nella produzione.
Per quanto riguarda i rischi per l’ambiente e la salute umana, mi limito ad una considerazione di carattere generale, che illustro con un’ analogia informatica.
Spesso il codice genetico di un organismo viene paragonato al codice sorgente (l’algoritmo) di un programma per computer: la cellula, in questo paragone, è il computer che esegue il codice genetico.
Pensiamo allora ad un sistema informatico complesso, come può essere il sistema operativo di un pc: esso è formato da una grande numero di programmi che interagiscono tra di loro. Facciamo un esperimento: scegliamo un programma e modifichiamone il codice sorgente inserendo una porzione di quello di un altro programma: secondo voi il sistema operativo continuerà a funzionare correttamente ? Io dico che, a meno di non essere molto fortunati, il risultato sarà un disastro.
Se poi pensiamo che i sistemi biologici sono infinitamente più complessi di quelli informatici, molto meno compresi, e che le tecniche di manipolazione genetica non sono molto precise (per usare un eufemismo), potete immaginare i rischi che corriamo coltivando piante GM su larga scala.
Mi fa sorridere perciò l’affermazione: “Gli OGM oggi coltivati sono sicuri”. Ma come facciamo a valutare completamente gli effetti che la manipolazione genetica di organismi (che si riproducono autonomamente) può produrre sul delicatissimo equilibrio della biosfera ?
Un conto è un laboratorio, un conto è il mondo vero…
Lorenzo Franceschini
Rispondo a Lorenzo Franceschini.
Aspetti ambientali socio-economici.
Concordo sulle considerazioni riguardo alla fame nel mondo. D’altra parte, siccome i gravi problemi della distribuzione delle risorse, dello sfruttamento dei Paesi ricchi nei confronti di quelli poveri, ecc. non si possono risolvere rapidamente, ne’ possiamo imporre a tutti di diventare vegetariani (cosa che risolverebbe immediatamente e forse definitivamente il problema della disponibilita’ di alimenti nel mondo!), e’ necessario utilizzare tutti gli strumenti a disposizione per produrre piu’ alimenti, almeno per alcuni decenni, senza rovinare il pianeta. Perche’ escludere a priori le biotecnologie?
Il quadro che lei dipinge sulle conseguenze della brevettabilità delle piante coltivate mi sembra un po’ apocalittico, onestamente. Per ora (dopo 12 anni di coltivazione degli OGM) non mi sembra che si stia realizzando. Di nuovo: i dati che ho non mi sembrano sufficienti per dire no, tutt’altro.
Aspetti genetici-ambientali.
Il paragone con l’informatica e’ interessante ma non appropriato, secondo me. Introdurre un gene o due in un genoma (come quello della pianta) non puo’ essere paragonato all’inserimento di “errori” in un programma di computer. Il genoma delle piante, in cui avvengono spontaneamente e continuamente mutazioni di molti tipi diversi, reagisce a ogni sollecitazione e corregge gli “errori”. Anche i geni introdotti artificialmente a volte vengono messi a tacere. Altre volte invece la loro espressione è “permessa” dalla pianta e non da’ problemi. Ribadisco che gli OGM che coltiviamo oggi sono sicuri, al meglio delle conoscenze scientifiche di oggi. Di piu’ non si puo’ dire. Non si puo’ escludere che nuove conoscenze mettano in evidenza qualche problema che oggi non vediamo. L’impatto degli OGM sull’ambiente e sulla salute viene studiato continuamente da molti gruppi di ricerca. Pochi minuti fa e’ uscito un articolo di ricercatori tedeschi che dicono che un certo mais GM non fa alcun danno a insetti “non target”. Se ci saranno problemi ho fiducia che saranno individuati tempestivamente.
Questo non vale solo per gli OGM, ma per tutte le tecnologie, dalle reti wireless, alle microonde di tutti i tipi, alle tecnologie dell’industria alimentare….
Il “delicatissimo equilibrio della biosfera” deve naturalmente preoccuparci ma non credo, sulla base delle mie conoscenze, che sia minacciato dalle piante GM.
@ Daniele Rosellini:
Alcune considerazioni di merito riguardo a tue affermazioni:
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Giusto, ma il punto è: avere piante che producono il proprio insetticida è una buona idea ? Gli agricoltori biologici di solito impiegano il Bt nelle loro colture con parsimonia e come ultima risorsa: un uso indiscriminato può portare all’emergere di varietà di insetti resistenti, un po’ come accade per gli antibiotici. Se ciò accadesse, non solo gli OGM Bt diventerebbero inutili, ma soprattutto l’agricoltura biologica perderebbe un’ arma importante per il controllo dei parassiti, facendo lievitare i costi dell’attività. Inoltre c’è il rischio che le colture OGM trasferiscano per impollinazione il loro gene a varietà infestanti imparentate: ciò porterebbe ad erbacce resistenti agli insetti, che si moltiplicherebbero a dismisura. Inoltre una produzione massiccia di Bt potrebbe danneggiare, insieme agli insetti molesti, anche quelli utili (coccinelle, farfalle, ecc.).
“5. Non e’ vero che la soia in cui era stato introdotto un gene della noce brasiliana ha provocato allergie: i controlli che vengono fatti sugli OGM PRIMA della commercializzazione hanno dimostrato che la proteina introdotta era un allergene e quella soia non e’ stata mai messa sul mercato: un esempio semai che i controlli funzionano.”
Sarebbe meglio dire: QUESTA VOLTA i controlli hanno funzionato. Cosa sarebbe successo se l’allergene fosse poco conosciuto o difficilmente individuabile ? Inoltre, molti dei geni estranei inseriti nei prodotti alimentari derivano da batteri, virus e insetti, e producono proteine che non hanno mai fatto parte della catena alimentare umana, con conseguenze immaginabili.
Il primo paragrafo era riferito all’affermazione
“4. Le piante GM non “sviluppano batteri insetticidi”; alcune di esse producono una proteina insetticida, la stessa che viene prodotta da batteri (Bacillus thuringiensis) che si usano come insetticidi in agricoltura biologica.”.
(saltata a causa di un errore di formattazione da parte del sito, presumo)
Concordo che un uso errato della tecnologia BT potrebbe favorire la comparsa di insetti resistenti. Finora questo non si e’ verificato, per lo meno non in scala significativa, anche perche’, a causa di questo rischio, che e’ stato preso in considearzione da chi proponeva questa tecnologia, e’ obbligatorio coltivare una porzione di campo con mais convenzionale, dove gli insetti nocivi si concentrano e viene cosi’ ridotta la pressione selettiva verso la resistenza.
Riguardo l’allergenicita’, posso dire che prima di commercializzare una pianta GM si fanno molti controlli sull’allergenicita’ potenziale delle proteine codificate dai geni introdotti, ovviamente sulle base delle conoscenze, sempre maggiori, su che cosa rende una proteina allergenica.
Non e’ vero, in generale, che se una proteina viene da un batterio a da un virus non e’ mai entrata nella catena alimentare. Mangiamo spessissimo piante che sono infestate da virus, specialmente quelle che crescono negli orti di casa. Batteri, poi, ne mangiamo a iosa e molti miliardi vivono dentro di noi.
Non ci sono invece, a mia conoscenza, sul mercato piante che contengono geni di insetti; d’altra parte, in diversi paesi gli insetti fanno parte della dieta umana.
La nostra diversita’ di opinione in sostanza dipende dal fatto che, per me, una nuova tecnologia che abbia potenzialità riconosciute, deve essere utilizzata, con cautela, fino a che non emergano prove che e’ dannosa.
@ Daniele Rosellini
Io credo che le nostre divergenze d’opininione vadano al di là di questo.
Ribadisco che la mia obiezione primaria nei confronti degli OGM è di tipo socio-economico: il modello agricolo-industriale fondato sugli OGM ha un impatto devastante, prima che sull’ambiente, sulla libertà e autonomia alimentare dei popoli, a causa di quei meccanismi di dipendenza economica e tecnologica che ho descritto in precedenza.
La proprietà intellettuale applicata alla vita e alla produzione alimentare è una sciagura per l’umanità, oltre ad essere una mostruosità giuridica.
In effetti, molto dipende dalla nostra visione del mondo: riteniamo che la produzione del cibo debba essere in mano a pochi, enormi soggetti economici ? Gli OGM sono la risposta.
Crediamo nel diritto al cibo per tutti e in un modello in cui la produzione agricola è legata al territorio e rivolta in primo luogo al sostentamento delle persone ? Gli OGM sono una minaccia.
E’ chiaro che il problema non sono gli OGM in sé, ma i brevetti che gravano su di essi. D’altra parte, quale azienda svilupperebbe una tecnologia tanto costosa senza la certezza di un ritorno economico superiore all’investimento fatto?
Per quanto riguarda invece l’impatto ambientale e sanitario degli OGM io mi chiedo: siamo in grado di valutare accuratamente i rischi ? Possiamo arrischiarci ad intervenire a così basso livello nei meccanismi biologici senza una conoscenza esauriente dei sistemi su cui andiamo ad operare ?
Un’analogia informatica può essere d’aiuto per capire cosa intendo per “intervenire a basso livello”: un utente di un software può modificare il comportamento dell’applicazione agendo sull’interfaccia grafica, sui files di configurazione o direttamente sul codice sorgente. Ovviamente il rischio di “rompere” il software è maggiore agendo sui files di configurazione e ancora di più toccando il codice sorgente, perché l’interfaccia grafica fornisce dei meccanismi di protezione dagli errori di configurazione. A livello biologico, selezionare una semente con metodi tradizionali, mendeliani, è molto meno rischioso che farlo agendo direttamente su DNA, perché la natura ha predisposto dei meccanismi di protezione opportuni.
In conclusione: il mio è un NO ragionato e argomentato alle biotecnologie agricole, almeno fino a quando saranno brevettate e fino a quando la conoscenza scientifica non sarà sufficientemente avanzata da consentirci di agire con sicurezza sul “codice sorgentee” della vita (sempre che questo momento arrivi…); d’altra parte io auspico che la ricerca di base e applicata proseguain tutte le direzioni, purchè rimanga libera e indipendente.
Concordo con Lorenzo Franceschini su diversi punti. Anch’io vedo con preoccupazione la concentrazione della proprieta’ materiale e intellettuale nell’industria sementiera. Ma l’equazione OGM = brevetti non è del tutto esatta. Ci sono alcune iniziative interessanti nel mondo (CAMBIA, Australia, UC Davis, USA) per la raccolta e condivisione di strumenti tecnologici per l’ingegneria genetica delle piante. Il mio laboratorio, come tantissimi altri condivide gratuitamente le “novita’” con altri laboratori pubblici del mondo. Ci sono poi esempi positivi anche nel privato: nel caso del Golden Rice II, le multinazionali hanno rinunciato alle royalty nei paesi poveri cui il riso arricchito di vitamina A e’ destinato. Inoltre i brevetti scadono! Per questi motivi, pur con qualche preoccupazione, sono abbastanza ottimista anche sul piano socio-economico.
Sul piano biologico lo sono di piu’. La nostra conoscenza e capacita’ di controllo sull’espressione del genoma della pianta è discreta e crescente. L’inserimento di uno o pochi geni (di cui possiamo conoscere il sito di integrazione nel genoma ospite, il trascritto (mRNA), la proteina codificata e sue proprieta’, la sua concentrazione e sito di accumulo…..) non mi preoccupa, se tutti i controlli danno esito positivo. La mutagenesi con raggi gamma (anni 1960) aveva certamente un impatto maggiore sul genoma, eppure il suo impiego nel miglioramento genetico delle piante non ha data alcun problema. Anche l’incrocio interspecifico, praticato correntemente, e’ molto “innaturale” e ha creato addirittura nuove specie oggi coltivate (triticale), senza che sia emerso alcun problema.
Mi piace la sua conclusione a proposito della ricerca, naturalmente! Sottolineo che consentire alla buona ricerca pubblica di competere con quella privata sarebbe un buon modo di scongiurare i rischi legati alla concentrazione proprietaria.
Concordo anch’io in gran parte con i dubbi espressi negli ultimi due interventi (22 e 23).
IMHO sarebbe giusto che anche in Europa, così come avviene negli USA, i risultati della ricerca scientifica pubblica, quella che viene pagata con i “soldi del contribuente”, fossero sempre in Pubblico Dominio (che non è esattamente la stessa cosa di essere “gratuti”). Il principio dovrebbe essere valido per tutti gli enti pubblici, ad esempio mi interesso di cartografia e mentre la cartografia USA è in PD, in Europa è sotto copyright, in Italia poi essendo di competenza regionale, ogni regione decide come peggio crede con gran confusione per tutti. Scusate se sono andato OT.
Mi spiace dover confutare il Dr. Mazzufferi (“Non so se può dire altrettanto lui che in Italia ha un leader come Mario Capanna”) che mi ritiene amico di Mario Capanna che conosco solo di nome, per qualche comparsa nei telegiornali (in passato) e del quale non credo di aver mai letto qualcosa. Non solo non ho leader, ma credo fermamente nelle sciocchezze che esprimo. Nel bene e nel male me ne assumo tutta la responsabilità. Ho dei preconcetti ideologici sugli OGM. Forse prevale in me quello spirito di precauzione che dovrebbe guidare la ricerca. Da troppi anni lavoro per l’industria farmaceutica e so bene quanti scheletri ha nell’armadio (molti di più, rispetto a quelli che ne sono usciti…). Si prenda ad esempio lo scandalo del Vioxx , un antiinfiammatorio che ha provocato almeno 28.000 morti negli Stati Uniti, tra 89.000 e 139.000 nel mondo. La Merck sapeva che il farmaco aveva effetti dannosi, potendo causare ictus ed infarti del miocardio, ma l’ingordigia dell’azienda e dei ricercatori (legati ai finanziamenti senza i quali le Università non potrebbero fare ricerca) e l’assoluta mancanza di controllo pubblico, ha portato il farmaco nei mercati di tutto il mondo. Se questo vale per i farmaci e per i fitofarmaci, nulla mi vieta di pensare che lo sarà anche per gli OGM, per il nucleare “pulito”, per gli inceneritori e per tutte quelle cose che sono lontane anni luce dalle necessità reali dell’uomo, ma sono estremamente vicine agli interessi delle imprese, il cui scopo principale è fare profitti, sempre più spesso con la complicità della politica che non controlla o non riesce a controllare… Il Dr. Mazzufferi cade nel mio stesso preconcetto di credere a tutto quello che dice Altomeni, una persona che stimo, per le cose che ha scritto, almeno per la filosofia di fondo che lo anima, pur non conoscendolo. Ammetto di non essere un esperto e di cadere di fronte a tutte le questioni tecniche con le quali risponde il Dr. Rosellini, ma ritengo sciocche, e lo ribadisco, le persone che credono alla bontà degli organismi GM in modo acritico. Lo stesso Rosellini esprime alcuni dubbi in merito al problema socio-economico generati dalle industrie che detengono i brevetti: “Anch’io vedo con preoccupazione la concentrazione della proprieta’ materiale e intellettuale nell’industria sementiera.” E parla della ricerca dicendo “Se il rapporto rischi-benefici sarà a vantaggio dei benefici, allora avanti con prudenza”. Per cui ritiro l’accusa di faziosità e me ne scuso. Ma la prudenza, quando ci sono di mezzo i soldi di grossi gruppi privati, non è mai troppa. Posso accettare la ricerca pubblica, non mi fido, preventivamente e precauzionalmente, di tutto il resto.
Nessun dispiacere, anzi grazie. Sono lieto del contradditorio in quanto siamo in sede di dibattito. Per di più il confronto sul tema OGM sta facendo, così mi sembra, dei buoni passi in avanti perché c’è stata molta sostanza nei commenti e nelle relative risposte.
Come diversi dei lettori che conosco ho nozioni generiche sull’argomento e mi aggiorno per quel che posso in maniera del tutto saltuaria.
Però m’indigno quando sento parlare di un “referendum”: sappiamo o no che è stata solo una raccolta di firme, senza regole, gestita con approssimazione e spavalderia sotto la presidenza, per me nient’affatto rassicurante, di Mario Capanna. Mi domando sempre perché ci sia tanta gente come lui non si rassegna ad andare in pensione, magari a coltivare un orticello o ad accompagnare a passeggio i nipotini. Invece lui si è così riciclato a capo di una strana coalizione, dal WWF alla Coldiretti! Il leader sessantottino ha difeso allo stesso tempo posizioni di destra, come l’autarchia alimentare, assieme a quelle di sinistra come la mercificazione delle produzioni agricole o il contrasto alle multinazionali. Tutto ciò è avvenuto con un uso quasi “terroristico” della propaganda anti OGM che da “principio di precauzione” di fatto si è trasformato in “principio di proibizione”.
Restando nel concreto, qui su queste pagine, nelle argomentare controdeduzioni ai vari commenti l’ottimo Daniele Rosellini, professionista del settore, ha cercato di presentare con equilibrio le sue argomentazioni, che sono poi quelle della scienza ufficiale. Si è dimostrato molto attento a quelli che sono i dati scientifici, provenienti da tutto il mondo e da tutte le fonti. Non basta un “pregiudizio popolare” per cancellare dati oggettivi, raccolti appunto con metodo scientifico e con tanta fatica da ogni tipo di ricercatori. Non tutti sono al soldo di oscuri interessi; esistono studiosi assolutamente liberi e pienamente responsabili un po’ dappertutto nel mondo e non solo nelle migliori università ed istituzioni pubbliche.
A me fa molto effetto pensare come in poco tempo, in pochi anni la ricerca agro biotecnologica italiana di fatto si troverà fuori giuoco. E’ un po’ come il discorso della procreazione assistita che molti di noi hanno vissuto, ed anche allargato anche sviluppato, nei pur angusti confini di Popinga, ai tempi del referendum sulla legge 40. Capanna è stato molto soddisfatto per aver raccolto allora la firma del Presidente Prodi e poco dopo premiato anche l’adesione del ministro di Berlusconi, Gianni Alemanno: tutti entusiasti del No agli OGM. Ora sembra però che il ministro delle Politiche Agricole, Luca Zaia, abbia cambiato rotta avendo avviato con le Regioni un percorso che dovrebbe permetter, a breve, di sperimentare in campo coltivazioni di OGM. Un cambiamento questo a mio avviso positivo per evitare chiusure ideologiche. Infatti dal mio limitato punto di vista m’è bastato fare una puntata, via Internet, tra le pubblicazioni internazionali in materia per rendermi conto dove va il mondo e cosa stanno studiando nelle altre nazioni.
A questa pagina si trova tutto il materiale prodotto dalla regione sugli OGM http://www.agri.marche.it/Aree%20tematiche/ogm/default.htm
Fra essi un documento che hanno stampato di recente è il seguente http://www.agri.marche.it/Aree%20tematiche/ogm/O_OGM_2%20versione.pdf
Rispondo a Roberto Chiostergi (intervento 25).
E’ bene che la societa’ sottoponga a controllo la ricerca, privata e pubblica. Il problema e’ che se da una parte ci sono interessi privati ad utilizzare le tecnologie per il profitto, dall’altra ci sono gruppi ed organizzazioni che fanno delle tecnologie uno spauracchio per avere visibillita’ e peso politico, spargendo allarme spesso in modo ingiustificato. Siccome e’ facile spaventare la gente, il risultato e’ che i gruppi e organizzazioni in questione prendono le prime pagine, mentre gli esperti e i ricercatori non hanno alcuna visibilita’. Questo e’ piuttosto frustrante, perche’ riduce la scienza, nell’immaginario di molti, ad un’ancella sciocca delle multinazionali: non e’ cosi’.
Anche la Regione Marche, partecipa, per scelta politica, alla campagna anti-OGM: e’ certamente la cosa piu’ facile per il consenso. La pubblicazione recente di cui Chiostergi fornisce il link (commento 27), con un linguaggio ben studiato, accanto a informazione corretta, fa affermazioni direi quasi “terroristiche” come la seguente: “Le nuove proteine create dalle piante OGM che si accumulano o si sostituiscono a quelle naturali, introducono elementi di disturbo nel
metabolismo umano con possibili ripercussioni a medio e lungo termine”. Nessuna persona sensata vorrebbe piu’ mangiare OGM dop aver letto questa frase in una pubblicazione della propria Regione, Assessorato all’agricoltura! In realta’ nella stragrande maggioranza dei casi, le proteine che mangiamo semplicemente le digeriamo, comprese quelle degli OGM, e le ripercussioni paventate sono puramente ipotetiche. Abbastanza per bloccare tutto? per me no.
Concordo con Gianluigi Mazzufferi (intervento 26).
Capanna, che si dichiara “contadino” (vedi articolo sopra per l’uso scorretto di questo termine), ha guidato un’operazione davvero scorretta e faziosa, spacciando per referendum un plebiscito in cui si chiedeva, in pratica: “vuoi tu un mondo migliore, libero da OGM”?
La cosa per me grave e’ che il ministero dell’agricoltura ha appoggiato l’iniziativa! A detta di uno degli organizzatori della campagna, in un dibattito a cui ho partecipato, gli OGM sono stati utilizzati scientemente come spauracchio per avere attenzione mediatica e politica al settore agroalimentare.
In altre parti del mondo i politici e i ricercatori si parlano. Da noi succede che i politici si scelgano i consulenti scientifici che avallino le decisioni demagogiche che hanno gia’ preso.
@ Gianluigi Mazzufferi:
Sarei curioso di sapere che cosa intendi con la locuzione “scienza ufficiale”: come sa bene chiunque abbia lavorato nel settore della ricerca, nell’ ambito di una comunita’ scientifica di frequente esistono posizioni diverse, spesso in modo sostanziale, a volte addirittura incompatibili. E questo vale in modo particolare nel campo delle scienze biologiche, e a maggior ragione per un filone di ricerca controverso come l’ ingegneria genetica.
Per quello che so, quindi, anche e soprattutto in questo ambito non mancano le diversita’ di vedute e le polemiche anche feroci tra scienziati. Molte di queste controversie sicuramente nascono in buona fede, anche perché le conclusioni di uno studio scientifico si fondano su un’ interpretazione dei dati sperimentali, interpretazione che non è necessariamente univoca per via di fattori di tipo statistico, metodologico e di altro genere.
Purtroppo poi, come in ogni gruppo sociale, non mancano i cialtroni, gli incompetenti e i venduti, o più semplicemente coloro i quali, loro malgrado, devono sottostare a logiche diverse da quella puramente scientifica per assicurarsi finanziamenti per i loro studi; le cronache sono piene di casi di questo genere, a tutti i livelli e in tutti i settori, specialmente quelli attorno ai quali ruotano imponenti investimenti pubblici e privati, come nel caso del nucleare, dei farmaci e delle biotecnologie.
Mi sembra quindi legittima una sana diffidenza nei confronti degli OGM, fermo restando il mio auspicio che la ricerca prosegua senza condizionamenti di sorta; la ricerca, però, non le applicazioni su larga scala di questa tecnologia.
@Daniele Rosellini:
Concordo, ma l’ argomento vale in entrambi i sensi; vale a dire si potrebbe applicare anche per le decisioni pro-OGM. Inoltre questo succede anche in altri paesi, a partire dagli USA: la storia, anche recente è piena di casi di scienziati “di stato” o “di azienda”; di certo sono un minoranza, ma la loro visibilita’ mediatica spesso compensa la loro inferiorita’ numerica.
@ Lorenzo Franceschini chiede (ed argomenta con indubbie motivazioni) cosa intenda io per “scienza ufficiale”. Visto che si stava commentando ho usato un linguaggio corrente, abituale nella vita quotidiana,per farmi intendere (un po’ come si usa dire “parlate come mangiate!”).
I nostri figli li affidiamo alla scuola pubblica e così di seguito quindi all’università. Nella maggior parte dei casi si ritiene, forse a torto ma così è, che questa sia la culla del sapere scientifico. Pensavo a questo: nient’altro.
Poi se mai imbastiremo un dibattito ambizioso su scuola, scienza, ricerca e divulgazione volentieri darò il mio piccolo contributo d’esperienza personale in considerazione anche del fatto che in altri tempi in ateneo ci sono stato, sia dall’una che dall’altra parte.
Bello sapere che una studentessa di lettere ha idee aperte verso la ricerca e l’innovazione biotecnologica in agricoltura e alimentazione. Gli umanisti di solito sono anti-OGM…
Grazie
Daniele Rosellini
Università di Perugia