Elogio della bocciatura

Il titolo di questo pezzo m’è venuto in mente ascoltando la conferenza stampa dell’avvocato Paradisi dopo che uno studente del Liceo Classico “Perticari” era stato bocciato agli esami di maturità per la seconda volta: a luglio e a settembre, dopo il ricorso al TAR.

Il ragazzo «non è mai stato l’“Einstein dei libri”», ha detto l’avvocato; ci potrebbe però diventare, rispondo io, dato che lo stesso Albert Einstein nel 1895 fu bocciato all’esame d’ammissione al Politecnico di Zurigo per insufficienze nelle materie letterarie. Quell’ingenuo di Einstein non pensò neppure di fare ricorso, non gridò allo scandalo, non misurò quant’era durato l’«interrogatorio di terzo grado» (pardon: il colloquio orale), non si attaccò ai vizi di forma. Se avesse messo di mezzo un avvocato, la sua vita sarebbe cambiata da così a così, e a quest’ora chissà quale carriera avrebbe fatto…!
Pare invece che il ragazzo del Perticari non l’abbia presa bene. Contro la bocciatura di giugno ha fatto ricorso al TAR, contro quella di settembre staremo a vedere.
Intanto, giù tutti a solidarizzare con lo sventurato, e dalli ai professoracci cattivi che ce l’avevano con lui non si sa bene perché. E pensare che lui aveva studiato 10 ore al giorno tutta l’estate e addirittura aveva portato la tesina su Pasolini. Niente: quegli zozzoni crudeli bastardi cinici incompetenti l’hanno interrogato per un’ora e tre quarti e alla fine l’hanno bocciato di nuovo.

Non è dato conoscere tanti particolari della vicenda (a proposito: perché tante bocche cucite? Come mai non è dato conoscere il nome del ragazzo ma solo quello dell’avvocato?) e il giudizio nel merito l’ha dato il TAR.
Devo però essere sincero: quel che ho letto sui giornali non m’è piaciuto per niente. E qualcosa voglio dire, da semplice osservatore.

Premetto che, nella scuola italiana, dopo le “riforme” Berlinguer e Moratti:

  • Il sapere deve essere personalizzato, la scuola modellata sullo studente, anzi con l’autonomia degli istituti si vuole che «i docenti e i ragazzi siano chiamati a gestire la scuola» (ma quando mai nella storia del genere umano?!), si rimbocchino le maniche, adottino decisioni, trovino il modo di comporre i conflitti.
  • Non si deve più parlare d’insegnamento ma di “offerta formativa”, di “crediti” o “debiti” come davanti ad uno sportello bancario.
  • Si dovrebbe discutere di tutta la paccottiglia politicamente corretta (guerra, pace, politica, sport, sesso, AIDS, anoressia, fumo, educazione stradale, inquinamento, depressione, violenza negli stadi, pedofilia eccetera) senza capir bene quanto tempo resterebbe allo studio. Ah, scusate, per studiare intendo: sedersi su una sedia, chinarsi un po’ sul tavolo, aprire un libro ed iniziare a leggerne i contenuti fino ad averli assimilati, eventualmente ripetendo la lettura un certo numero di volte e aiutandosi con appositi esercizi.
  • C’è il condono perenne dei debiti formativi (che poi sarebbero le insufficienze) e in pratica non si boccia più nessuno dal primo all’ultimo anno. Le insufficienze gravi a giugno diventano 6 rossi e vengono perdonate.
  • Tutti devono essere ammessi all’esame di maturità, e le prove sono svolte con professori interni che conoscono il ragazzo: il rischio che l’esito dell’esame stravolga completamente quello che ci si è guadagnati nei cinque anni non esiste.

Detto questo, mi piacerebbe sapere per quale motivo i professori si sarebbero dovuti accanire contro il ragazzo, usando un potere cinico e arbitrario. Vorrei davvero che qualcuno me lo spiegasse.
Non capisco di quale potere, di quali soprusi si sta parlando. Piuttosto vedo gli insegnanti in una condizione professionalmente ed umanamente debolissima: quali leve hanno da usare con gli studenti meno capaci e volenterosi, che li prendono quotidianamente a pernacchie, forti del fatto che studiare o meno non fa più differenza?
E come mai siamo a questo punto? Perché da tempo nella scuola è venuta meno una cosa molto semplice: la meritocrazia, che vuol semplicemente dire: cari studenti, le cose da studiare e da sapere sono queste, sarete giudicati in base a quel che sapete, chi sa verrà premiato, chi non sa verrà penalizzato ed anche bocciato. Senza criteri di merito cade ogni metro di giudizio, ed allora vale tutto: il legittimo sospetto, la persecuzione, i ricorsi, il lei-non-sa-chi-sono-io, eccetera.
Vadano, vadano a vedere il livello medio di preparazione degli studenti al primo anno d’università, sia nelle facoltà scientifiche che in quelle umanistiche, e lo confrontino con quello dei loro colleghi di 15-20 anni fa.
E poi tocca sentire dal preside del Perticari che l’obiettivo è «la promozione per tutti gli studenti». Signor Preside, non le pare che l’obiettivo dovrebbe essere quello di assicurare parità di condizioni a tutti gli studenti e poi, in funzione dei risultati, premiare i bravi – ce ne sono ancora, eccome! – e bocciare i somari?

Chi si straccia le vesti per la bocciatura, farebbe meglio a preoccuparsi d’altro.
Ad esempio, quali spunti di maturazione e di crescita trarrà il ragazzo da questa storia? Cosa imparerà per il futuro? Invece di fargli capire che nella vita non sempre siamo trattati e valutati come vorremmo, e per questo dobbiamo attrezzarci, gli s’è detto che forse era vittima di un complotto, ordito non si sa bene per quale motivo. E se domani, nella vita lavorativa, non sempre vedrà il suo capo sereno nel giudicare chi si merita l’aumento o l’avanzamento di carriera, cosa farà, di nuovo ricorso al TAR?
Se, nella situazione di sfascio in cui versa la nostra scuola, introduciamo anche il legittimo sospetto allora stiamo freschi! Se inoculiamo nello studente il dubbio che i suoi successi o insuccessi scolastici dipendano non solo dalle sue capacità ma anche da eventuali congiure, allora abbiamo dato il colpo di grazia a quella che una volta si chiamava l’istituzione scolastica. Così come ci sono il giusto processo e il giudice terzo, dobbiamo aspettarci anche il giusto esame e il professore sereno, munito di bilancino e cronometro? Mi vengono i brividi al solo pensiero.
Per quel che mi riguarda, vorrei solo stringere la mano a quei professori che, nonostante tutto, vivaddio, hanno avuto il coraggio di fare il loro mestiere, rispolverare una parola desueta e metterla in pratica: bocciare.