La parola d’ordine è una sola, categorica e impegnativa per tutti: Europa.
Il grido di battaglia risuona alto ogni volta che c’è da far passare, magari a colpi di fiducia, una qualsiasi misura restrittiva: lo vuole l’Europa!
Cambiare lo Statuto dei lavoratori? Ce lo chiede l’Europa. L’IVA al 21%? Ce lo chiede l’Europa. Ridurre le pensioni? Ce lo chiede l’Europa.
È l’alibi di ferro, il passepartout che non conosce barriere. È la Dolce Euchessina del nuovo millennio, il caro e vecchio confetto Falqui: basta la parola. Ce lo chiede l’Europa e i dubbi svaniscono. Tutto diventa semplice, chiaro, unilaterale.
Il ritornello ci è entrato in casa, persino in camera da letto. “Amore, non puoi avere mal di testa stasera: non te lo chiedo io, te lo chiede l’Europa”. Un afrodisiaco naturale.
L’Europa ci può chiedere di tutto, tranne di far pagare l’IMU alla Chiesa, regolarizzare le concessioni delle frequenze televisive, o ratificare la convenzione anticorruzione di Strasburgo. In quei casi facciamo orecchie da mercante.
Ultimamente l’Europa s’è pure impicciata delle questioni elettorali degli stati membri.
La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha stabilito che vi è stata una violazione dell’articolo 3 del Protocollo n° 1 (“diritto a libere elezioni”) del Parlamento europeo e Convenzione sui diritti dell’uomo.
Ekoglasnost, un partito politico bulgaro, non era riuscito a presentare due documenti richiesti dalla legge elettorale approvata poco prima delle elezioni del 2005, per presentare i suoi candidati. La Corte Europea ha rilevato che il periodo di 1 anno raccomandato dalla Commissione di Venezia per l’adozione di modifiche sostanziali alla legge elettorale non è stato osservato. E l’adozione di una nuova legge elettorale poco prima del voto può avere l’effetto di squalificare le nuove forze politiche favorendo quelle già al potere. In sintesi: è bene non cambiare la legge elettorale alla vigilia delle elezioni.
Il discorso vale pari pari in Italia. Che l’obiettivo della riforma sia impedire alle nuove formazioni quel successo elettorale che l’attuale legge consentirebbe, lo ammette perfino la seconda carica dello Stato, in teoria super partes: la legge elettorale va modificata, sennò Grillo prende l’80%.
In uno stato di diritto tutti si muovono entro il perimetro delle regole stabilite. Da noi il perimetro è variabile a piacimento, dunque anche la legge elettorale è à la carte. Si fa una bella riunione tra i segretari di partito, in cui ognuno batte i pugni sul tavolo e difende i propri interessi di bottega. Qualcuno vuole il sistema francese corretto alla tedesca con premio di maggioranza al 42.5% (è lo 0.5% a far la differenza); a qualcun altro piace il sistema neozelandese con quota proporzionale alla sudafricana corretto alla canadese.
Per tutti, un caffè corretto alla sambuca. La bottiglia di sambuca rimane a centro tavolo, e alla fine della cagnara i sopravvissuti alla sambuca vanno dal sarto e gli fanno confezionare il vestito che metta d’accordo tutti: un costume da Arlecchino.
È nato così, nel 2006, il Porcellum, per arginare la frana del PdL. Sta per nascere così anche il Porcellinum, per neutralizzare i danni che tutti gli attuali inquilini del Parlamento avrebbero se si votasse col Porcellum (peraltro loro creatura).
Una porcata al quadrato. A dire il vero, l’Europa ci chiederebbe di non farla, ma noi facciamo finta di niente.