Liturgia cattolica: Mencucci risponde a Langone

L’ultimo intervento della sera di sabato 14 novembre a Ancona al convegno :”Il divino ed il Demoniaco nell’Arte”, è stato quello di Camillo Langone.
Si chiudevano così i due giorni organizzati dal Centro Studi Oriente Occidente, associazione molto nota per le sue qualificate attività nel campo degli studi teologici, filosofici e letterari.Di notevole impatto è stata la relazione di questo noto e quotato giornalista e scrittore, che si autodefinisce “critico liturgico”. Il tema da lui sviluppato, che potete ascoltare nel podcast qui ospitato, è stato questo: “La liturgia italiana oggi tra sacro e troppo umano”.
Nel mettere quindi a disposizione la brillante conferenza (un rinnovato grazie agli organizzatori) ci è parso utile pubblicare, come contributo critico di approfondimento, lo scritto che segue. E’ opera del nostro amico Professor Don Vittorio Mencucci che, su nostra sollecitazione, ha ascoltato la registrazione. Lo ringraziamo per la disponibilità e, come sempre, per le intrinseche qualità dello scritto (N.d.R.).

Mi stupisce la “leggerezza”, non solo di stile, con cui viene trattata la situazione della messa domenicale. Il fatto che gran parte di quanti si professano cattolici non la frequentino è segno evidente che non dice più nulla alla loro coscienza. Questa interiore crisi la sentono sia quanti si aggrappano alla sua forma più tradizionale, come ad ancora di salvezza, per non farsi travolgere, sia quanti tentano nuove forme che possano parlare all’uomo moderno. In questa situazione credo innanzitutto opportuno ripensare la storia, in primo luogo per sfatare la presunta intangibilità della forma attuale, come se fosse quella originaria, in secondo luogo per cogliere stimoli per nuove forme che ancora nessuno possiede, ma che vanno ricercate nell’esperienza di fede di una comunità che cammina nella storia.

Gesù per lasciare un ricordo di sé e continuare la presenza tra i suoi, ha pensato al gesto più semplice e umano che si radica in uno dei due istinti fondamentali di ogni essere vivente: il nutrirsi per conservare il proprio essere; ma nell’uomo la nutrizione non comporta soltanto il riempirsi lo stomaco: sente il bisogno di sedersi a tavola condividendo il cibo con le persone che ama, in un’esperienza che, partendo dall’istinto, si arricchisce di sentimenti e di dialogo. Nei primi tempi del cristianesimo è dominante il modello di cena e di pane condiviso, anche se non manca una lettura sacrificale.

Nel terzo secolo il linguaggio sacrificale diventa esclusivo, di conseguenza la cena diventa il sacrificio, la mensa diventa altare, chi presiede (apostolo o anziano = presbitero) diventa sacerdote. In quanto sacerdote sacrificatore, lui stesso deve fare della sua vita un sacrificio. Il sacrificio comporta la purità rituale, soprattutto intesa come astinenza dalla sessualità (rispunta il linguaggio della legislazione mosaica sul puro e impuro, che Gesù aveva criticato).

Cristo non ha parlato di sacerdoti e non poteva parlarne, perché il sacerdote è il gestore del sacro, e nel cristianesimo non c’è il sacro (la religiosità del tempio cede il posto alla fede nella sua umanità, morta in croce e risorta: distruggete questo tempio e in tre giorni lo ricostruirò non fatto da mani d’uomo…), e nemmeno c’è un nuovo sacrificio da compiere per la salvezza degli uomini, perché la salvezza l’ha donata Cristo sulla croce una volta per sempre e per tutti, si tratta solo di annunciarla e riviverla in ogni luogo e in ogni tempo: questo è il compito degli apostoli, non dei sacerdoti. Non solo manca la parola, ma tutta la mentalità nuova del Vangelo è estranea e persino contrapposta alla casta sacerdotale esistente e alla figura sacrale in genere. Netto è il contrasto con la categoria in generale e in particolare con i sommi sacerdoti, travolti dalla fine del regime del tempio per essere sostituiti dal nuovo modo di vivere l’incontro con Dio attraverso la mediazione della persona di Gesù.

In verità, in verità vi dico: io sono la porta delle pecore. Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti. (Gv.10,8).

La condanna di Gesù è perentoria e, nel contesto culturale del tempo, dissacrante: presuppone una rivoluzione culturale, un rovesciamento di valori:

E Gesù disse loro: “In verità vi dico: I pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio.” (Mt.21,31)

Il termine sacerdote compare nel terzo secolo. Per la prima volta Tertulliano distingue all’interno della comunità cristiana due ordini: il clero (i scelti) e la plebe. All’interno del clero diventa dominante il termine sacerdote ripreso dall’Antico Testamento e configurato con le stesse caratteristiche (Tertulliano, Cipriano, Origene, Ippolito). L’uso del termine sacerdote dipende dal diverso modo di interpretare l’eucaristia.

Questa nuova organizzazione della comunità cristiana permette la soluzione di due problemi aperti: la liceità del sesso e della guerra. In precedenza era in discussione se il battesimo fosse conciliabile con la vita sessuale nella stesso matrimonio. Ora la soluzione sta proprio nella distinzione degli ordini. I semplici fedeli, anche se esortati alla continenza, possono vivere la vita matrimoniale, necessaria per la riproduzione, i sacerdoti, anche quando tengono con sé la moglie, sono tenuti all’astinenza. La inconciliabilità tra il santo e l’immondo (al dire di S. Gerolamo: “omnis coitus immundus“) è la motivazione ricorrente per il celibato in questo periodo.

Analoga vicenda riguarda il servizio militare. Nella comunità primitiva sembrava inconciliabile con la fede cristiana. S. Massimiliano lo afferma con decisione e coerentemente affronta il martirio. Tuttavia dopo la vittoria di Costantino a Ponte Milvio (312) la militanza diventa dovere per difendere l’impero cristiano. Il dilemma viene risolto: la proibizione delle armi rimane per gli appartenenti al clero, chiamati alla perfezione evangelica, i semplici fedeli invece debbono compiere il loro dovere nel servizio militare a difesa della fede e per la costruzione di una pace duratura.

Il processo di sacralizzazione dipende dal clima culturale che si viveva durante la crisi dell’Impero Romano. Non fa meraviglia, anzi è la cosa più naturale che la chiesa si muova dietro lo stimolo di istanze presenti nella storia umana, come in tempi più recenti riguardo alla questione sociale.

Vittorio Mencucci

3 pensieri riguardo “Liturgia cattolica: Mencucci risponde a Langone”

  1. —-Analoga vicenda riguarda il servizio militare. Nella comunità primitiva sembrava inconciliabile con la fede cristiana. S. Massimiliano lo afferma con decisione e coerentemente affronta il martirio… Vittorio Mencucci—

    Ehmmm…non per fare il teologo alle vongole e con tutto il rispetto per il Prof, ma ormai, nell’era di Internet è facile verificare certe affermazioni. Su http://www.kattoliko.it/leggendanera/modules.php?name=News&file=article&sid=1649
    si legge fra l’altro:
    “…la vicenda di Massimiliano è di poco anteriore alla cosiddetta epurazione militare con cui Diocleziano, ispirato da Galerio, costrinse i soldati cristiani a sacrificare agli dei o ad abbandonare l’esercito, con una decisione che dopo quarant’anni di tolleranza apriva di nuovo la strada alla persecuzione anticristiana e ne era la prima avvisaglia. Lattanzio (De mortibus pers. 10) ed Eusebio (H. E. VIII, 4, 3) riferiscono che furono molti allora i cristiani che resero testimonianza alla loro fede, abbandonando l’esercito con la rinuncia all’honesta missio e ai privilegi che ne derivavano. L’epurazione militare rivela dunque chiaramente che erano molti i cristiani che, a differenza di Massimiliano, non sentivano la militia incompatibile con la loro fede e che, nello stesso tempo, non erano disposti a compromessi con la fede quando la richiesta del sacrificio agli dei li poneva di fronte a una scelta decisiva….la posizione radicale di Tertulliano e di Ippolito (il caso di Massimiliano è diverso, perché egli non pretende di assolutizzare la propria scelta) non è certamente quella della Grande Chiesa: di Ippolito è nota la posizione rigorista che lo indusse alla polemica contro Papa Callisto e lo portò ad alimentare in Roma uno scisma contro di lui; in quanto al De Corona di Tertulliano, si sa che esso esprime, come altri scritti polemici verso la Chiesa dello stesso periodo (ad esempio il De Idolatria), la scelta montanista (eresia protocristiana-ndr.) dello scrittore africano. Quindi nel De Corona Tertulliano esprime la posizione sua e del suo gruppo, non la convinzione dei cristiani del suo tempo e della Chiesa, con la quale anzi polemizza apertamente….”. Il tutto corredato con tanto di bibliografia (vabbe’ che l’illustre storica si chiama Marta e non Maria, ma tant’è, errare humanum est…):
    Maria Sordi, Il Cristianesimo e Roma, CappeIli 1965, pp. 481-483.
    Maria Sordi, I Cristiani e l’impero romano, Jaca Book 2004, p. 112; p. 149 e sgg; p. 162 e sgg.
    Maria Sordi e Ilaria RamellI, In Parola spirito e vita (Quaderni di Lettura biblica 41, 2000, Il montanismo, pp. 201 e seguenti).

  2. Il “critico liturgico” Camillo Langone ci ha deliziato nei giorni scorsi con un articolo su “Il Foglio” a proposito dell'”attentato” a Berlusconi, in cui si legge:
    «Silvio Berlusconi dalla faccia massacrata è Gesù Cristo flagellato e coronato di spine dopo essere stato picchiato (proprio in volto) durante l’interrogatorio del Sinedrio. Due maschere di sangue perfettamente sovrapponibili. […] Tutta la vicenda sembra un libro di René Girard, il sommo antropologo che ha svelato come Cristo, agnello di Dio che toglie i peccati del mondo, sia il capro espiatorio che fondando il cristianesimo abolisce il capro espiatorio, e la lapidazione».

    Langone, a quando l’ostensione della Sindone?

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