Anna Karenina è l’eroina dell’omonimo romanzo di Leo Tolstoj dove, nello sfondo della russia zarista, convivono la società aristocratica ed elitaria, che vive di agi e privilegi, chiusa nella propria oziosità, e la società dei deboli, dei proletari e dei contadini, che faticano a sopravvivere.
Nel romanzo però il tema predominante non è tanto il conflitto delle classi sociali, sebbene ci siano riferimenti e commenti alle neo nate idee filo-comuniste a proposito dell’arte di governare il paese e le masse popolari, quanto il tema della disgregazione dei valori, ed in particolare della famiglia.
Anna Karenina, dopo un viaggio a Pietroburgo intrapreso per salvare il rapporto coniugale del fratello, reo di aver tradito la propria moglie, si trova coinvolta nelle stesse tentazioni, e si lascia trascinare dalla passione per un giovane ufficiale di nome Vronsky, incontrato nel viaggio di ritorno. Questa relazione la porta ad odiare sempre più il marito, a fuggire da lui e dal figlio, a cercare di crearsi una nuova vita, fatta di passione ed eros, e vissuta inzialmente sotto mille sotterfugi. Il suo tentativo non è però facile, perchè la società vive la sua relazione extra-coiugale come uno scandalo, e ben presto il senso di emarginazione contribuirà ad espaperare il dolore di Anna che porta con sè i rimorsi di una vita vissuta come peccato, come colpa, dove la gravità dell’abbandono del figlio prenderà più coscienza col passare del tempo. Il conflitto interiore di Anna la porterà poco a poco a spegnersi e a vaneggiare, fino a cercare nel suicidio il termine della propria agonia.
In genere Anna Karenina viene vista come un’eroina che non si inginocchia alla conformità della società, ma si ribella cercando la propria identità, pur rischiando l’emarginazione e il rifiuto della società che fino a poco prima la immolava e la amava.
Il marito in tutto questo fa sempre la figura della persona priva di sentimento, meschina, piatta e monotona, dalla quale è giusto allontanarsi e cercare la passione altrove, ma a me è sinceramente sembrato un elemento positivo, perchè in tutto il libro non serba mai rancore ad Anna, ma la invita costantemente a redimersi e ritornare sulla propria strada, pronto ad accoglierla di nuovo con sè nonostante l’adulterio. Da una parte le sue motivazioni sono legate sicuramente a motivi pratici (evitare lo scandalo in società), ma dall’altra parte è anche ferma la convinzione che nel matrimonio si è formato quel vincolo del ‘per sempre’ che chiede a due coniugi di continuare insieme, nel rispetto non solo della propria religione (vista come strumento dietro cui nascondere mille contraddizioni), ma anche del valore della famiglia.
Del resto il romanzo propone la figura di una persona tentata dal volere la morte pur di cercare una vita fatta di passione ed estasi. Personalmente mi dissocio, perché credo che la sofferenza umana è un punto fermo in ogni uomo, non va semplicemente elusa ma affrontata, pur se con sacrificio. Il detto “meglio un giorno da leoni che cento da pecore” per me non vuol dire niente, se con questo si intende il dover sempre cercare la trasgressione a tutti i costi, pur di non sembrare uniformati alla società.
Insomma, non si vive di solo passioni, ma anche di rinunce e della consapevolezza dei propri limiti.