Medici, paganti e mutuati nell’Italia degli anni ’60
Nel 1964 Giuseppe D’Agata scrisse “Il Medico della Mutua” reso famoso al grande pubblico dal film omonimo interpretato da Alberto Sordi (1968).
Non mi stancherò mai di ricordare che Alberto Sordi sia stato un attore di grande spessore e dotato di una duttilità fuori dal comune, capace cioè di interpretare una rosa di ruoli e personaggi che vanno dal carbonaro al marchese al buffone al medio borghese, di un’Italia che la mia generazione non ha vissuto ma che ha respirato durante l’infanzia e che, suo malgrado, si porta ancora dietro in una frase o in qualche gesto della vita quotidiana.
Come spesso accade, tuttavia, il libro riesce a dipingere meglio la figura del Dott. Guido Melli (Tersilli nella versione cinematografica) e dell’Italia degli anni sessanta e settanta.
Il Dott. Guido Melli muove i primi passi in un mondo più vasto che si apre con mille possibilità. Appena laureato – dopo anni di sacrifici e rinunce e con l’aiuto della madre e di Teresa, la sua fidanza fedele, gentile, ma basso borghese – frequenta la clinica ed ha appena ricevuto la nomina come medico mutualista. Non che sia un merito perché, come precisa il funzionario, basta farne richiesta! Il problema ora sono i mutuati, una preda che, a quanto pare, non è facile da catturare quando si parte da zero. Ma il giovane Guido ha due armi dalla sua, un’ambizione sfrenata e una madre, a cui è legatissimo, che lo spinge e lo incita a farsi strada con ogni mezzo.
Al bar della clinica Il Sanitario passa di rado solo per avere chiara in testa l’immagine di ciò che non vuole diventare: un medico che in attesa che i mutuati gli piovano dal cielo perde tempo tra la clinica e il biliardo coi colleghi. No, lui troverà un modo. Per prima cosa lascia la clinica, inutile perdita di tempo, e si presenta come assistente volontario all’Ospedale Valsalva, che fa parte di un Ospizio per vecchi indigenti. Qui conosce numerosi medici e impara molto più che in sei anni di medicina e di clinica; impara a comportarsi da medico e ad ostentare sicurezza, che sembra essere più importante di una diagnosi e di una prescrizione corretta.
L’occasione che cercava per riempire il suo studio ambulatoriale di “mutuati” e fare il grande salto verso il successo gli si presenta con la malattia di un collega più anziano, il Dott. Bui. Questi possiede più di duemila mutuati “docili e fedeli” che dovrebbero essere alla sua morte spartiti tra i mutualisti del Valsalva, ma la moglie Amelia, trascurata e confusa a causa della malattia del marito, ingenuamente si presta alle lusinghe e false promesse di matrimonio di Guido. Gli eventi si susseguono veloci nelle ultime pagine: con la morte del Dott. Bui Guido si impossessa dei suoi mutuati, abbandona Teresa perché non è più all’altezza della sua posizione e chiude i conti anche con Amelia che viene consolata dall’amante di sempre, Simeone. Ora egli pensa solo a sposare una donna ricca e…bella, certamente, visto che ormai è un medico affermato e con un’ottima posizione e reputazione, e a farsi un’amante e una nuova automobile.
Le tinte del Dott. Melli sono più grigie rispetto a quelle a colori vivi del film. Qui senza la colonna sonora allegra e l’interpretazione briosa di Alberto Sordi, Guido ci appare nudo e, come un Dott. Tersilli in chiave privata, esprime tutto il suo cinismo, la sua ambizione e la sua voglia di arrivare, di farsi una posizione come medico. Dopo anni di rinunce vissuti a guardare in alto e a considerare la sua vita mediocre ora pensa che sia arrivato il suo turno ed è disposto a tutto pur di emergere, rinunciando anche all’unica cosa vera che ha, Teresa, la cui unica colpa è di essere se stessa, un’impiegata, una “mutuata”. Anche Amelia è solo una pedina da sacrificare verso la strada del successo e Guido non esita a scendere in basso fino a toccare il fondo e a soffiare i mutuati del marito promessi ai suoi colleghi; sordo e insensibile ai loro insulti, riceve però la segreta stima di alcuni che gli invidiano i mutuati e il coraggio. La madre è l’unica persona che Guido veramente rispetta; anch’ella ansiosa di uscire dalla mediocrità di una vita borghese, punta tutto sul figlio e lo appoggia in tutte le sue bassezze.
Il Dott. Melli rimane un personaggio negativo, un antieroe, che vive in un mondo in cui esistono solo tre categorie di persone: i medici, una casta che deve proteggere i propri privilegi ad ogni costo in nome della libera professione, una “laurea in Medicina”, del resto, “non è una laurea come le altre”; i paganti, cioè la classe abbiente costituita dai non medici, che non usufruisce della mutua e che perciò merita una visita accurata e una prescrizione fatta di molte più ricette e da medicinali dai nomi strani e incomprensibili, per differenziarla dalla normale prestazione mutualistica e giustificare l’ingente somma di danaro richiesta; ed infine i mutuati, disprezzati per la loro bassa posizione sociale, ma anche agognati perché unica fonte di ricchezza per il medico mutualista.
Guido si aggira nelle periferie romane a piedi, o in tram e quel che vede non sono persone, ma mutuati, di buona o cattiva qualità, disciplinati e fedeli o disposti a voltare le spalle al proprio medico curante perché qualcuno ha aperto un ambulatorio sotto casa loro, e naturalmente vecchi o giovani; mutuati che si possono vendere o acquistare pagandoli a seconda della loro qualità. Proprio così, il medico, libero professionista, è assoggettato alle leggi del mercato e il mutuato è la sua fonte di guadagno. La realtà vista dai suoi occhi ha toni grotteschi, una realtà fatta di mutuati con il libretto in mano che bisogna convincere a venire spesso nel proprio ambulatorio (la mutua all’epoca pagava il medico a seconda del numero di prestazioni mutualistiche effettuate) e alla quale bisogna diagnosticare le malattie anche se sono sani, che’ altrimenti uno il dottore cosa ce l’ha a fare?
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