“Van Gogh, che è stato colpito da otto proiettili di pistola, ha avuto il tempo di implorare:<<Pietà, pietà>> e <<Non farlo>>. Da morto è stato sgozzato ritualmente, e sul suo ventre l’assassino ha conficcato con un coltello una meticolosa lettera, di cinque fogli, di devote bestemmie e minacce feroci. Ha fatto da bacheca per il manifesto minatorio di quel fanatico islamista che annunciava la condanna a morte di Hayaan Hirsi Ali, e qualcun’altro. Lei vive scortata e nascosta.”
Ritrovo questa righe nel risguardo di copertina di un libro che ho letto ormai tre anni fa. Per me queste sono assai più di una descrizione esaustiva di quanto accaduto quel 2 novembre del 2004, nella civilissima Olanda. Sono la terribile ammissione che “il razzismo degli antirazzisti” è una insidia letale per il sogno dell’integrazione. Come ci dirà la stessa Ayaan il rischio in cui le nostre società sono immerse fino al collo è che “si cerca di essere tolleranti con la diversità solo per consenso. Ma il consenso è vuoto“.
Avevo alcuni appunti con la traccia di una breve recensione del volume pubblicato da Einaudi nel 2005, nella collana “Stile Libero”. Oramai è trascorso molto tempo dalla prima lettura; quindi mi sono chiesto se non sarebbe stato meglio, dopo un cenno al classico di Ayan Hirsi Ali che comunque farò, cioè a “Non sottomessa“, aggiungere qualche nota più generale sull’argomento della dissidenza islamica, sulle diverse evidenze di discriminazione razziale e religiosa, che si verificano addirittura al contrario. Assai strano poi è che questi fatti, pur essendo tutti i giorni sotto i nostri occhi, passano quasi inosservati.
Torniamo al libro scritto da questa giovane somala, figlia di un leader dell’opposizione al dittatore Siad Barre, un libro che nasce dal coraggio della fuga. Ayaan poco più che ventenne si ritrova, per seguire le tradizioni della sua gente, promessa sposa ad un connazionale che vive in Canada e che lei nemmeno conosce. Durante i viaggio fugge dalla Germania ai Paesi Bassi; qui viene accolta ed apprende l’olandese, lavora, si laurea, porta avanti diverse esperienze di assistenza a profughi e perseguitati. Verrà poi eletta in parlamento nelle fila di un partito di stampo liberale, vivendo sotto strettissima scorta, costretta ad abitare addirittura in una base militare. Infine dovrà emigrare negli Stati Uniti. Anche qui, dove ora si trova, vive sempre sotto scorta in quanto tutt’ora le minacce di morte la perseguitano.
Scontato ammettere che il libro mi abbia molto colpito. Non solo per i contenuti decisamente forti e laceranti, ma, senza nulla togliere alla insistente tragicità dei fatti raccontati, anche per il modo con cui è stato realizzato.
Su 115 pagine di testo ben 49 sono riservate ad una lunga ed articolata introduzione, opera della felice penna di Adriano Sofri. Tutta da leggere e con una miriade di riferimenti a fatti, persone, eventi che tutti noi conserviamo nel retaggio dei ricordi. Quindi queste pagine sono già un libro nel libro; qui le descrizioni, le analisi, i racconti ed i riferimenti molto puntuali toccano sempre il tragico problema della donna nell’Islam. Ulteriori contributi completano il volume; oltre la sceneggiatura del film di Van Gogh, “Submission Part 1“, vi compare anche una ragionata lista di dieci suggerimenti per le donne musulmane che vogliano andarsene di casa. Provate a leggerli solo per calarvi un attimo in una realtà che è mille miglia lontana dalle nostre società e dalle nostre culture. Nel libro si trova anche una sintetica scheda con i principali riferimenti alla vita di questa donna, ma oltre la biografia, se dovessi presentare Ayaan, lo farei scegliendo le sue stesse parole. Sono tratte da una intervista, rilasciata in occasione della presentazione dell’autobiografia dal titolo “Infedele“, uscita con Rizzoli nel 2007 (ma si trova anche in edizione economica con la BUR, nel 2008, pp 392, 9,60 €). Lei si esprime così:” Anche con le minacce di morte mi sento fortunata di essere viva e libera. Più di chi è nato nella libertà e la dà per scontata“.
Comunque credo che in Italia se ne sia parlato poco, anche dopo la terribile vicenda olandese del 2004. Eppure Ayaan Hirsi Ali ha pubblicato diversi libri; di Lei è stato scritto sul Corriere della Sera, su Il Foglio e, qui tra le mie carte, trovo anche diversi lanci d’agenzia.
Molto recente è un libro, questa volta siamo al romanzo, scritto assieme ad Anna Gray: “Se Dio non vuole“, 116 pp, Rizzoli, 2008. Si tratta della storia di Adan ed Eva; due dodicenni di Amsterdam compagni di scuola. Tra i due nasce un’amicizia osteggiata dalle famiglie in quanto lui è musulmano, di origine marocchina, mentre lei appartiene alla borghesia ebraica.
La vicenda si svolge tra significative incomprensioni culturali fino a veri incidenti religiosi, cioè quando i due ragazzi, in un epilogo classico, tentano insieme una ingenua fuga. Quindi Adan viene cacciato di casa ed Eva spedita in un collegio in Svizzera. Così come è stato definito il racconto è una sorta di ” favola moderna”, favola che però evidenzia, con impressionante chiarezza, i pericoli del fanatismo religioso nonché le barriere che questo interpone ai comportamenti più istintivi e naturali.
Ci tengo molto a segnalare il rapido passaggio su Radio3, avvenuto durante la bella trasmissione del pomeriggio, Fahreneith, il 29 maggio del 2008. Meno di due minuti d’intervista che si possono vedere clikkando qui. E’ qualche mese ormai che in rete c’è questo filmato, ma non molti purtroppo lo hanno visto. Forse proprio per questo motivo mi sono sentito sollecitato a scrivere su Ayaan Hirsi Ali. Diciamo anche perché sempre più ho la sensazione che il dissenso islamico sia un argomento che faccia paura, un tema sconosciuto ai più, un argomento se possibile da evitare magari con l’ipocrita giustificazione del rispetto della religione altrui.
Non a caso mi pare che anche la recente proposta di Ripa di Meana per una “Biennale del Dissenso Islamico“, sia passata quasi inosservata. Invece una “biennale del Dissenso”, sullo stesso modello di quella famosa del 1977 sul dissenso nei paesi del blocco comunista (oggi definita “la più grande occasione perduta dai riformisti dell’allora PCI“!) sarebbe una via per una netta affermazione per la difesa dei diritti umani, per combattere “il razzismo degli antirazzisti”, per stare attivamente dalla parte della libertà ed offrire un aiuto tangibile anche ai regimi moderati.
Potrei chiedermi dove sono finiti i nostri politici, escludendo dal panorama Emma Bonino. Dove sono tutti gli altri? Dove sono le tante donne impegnate, emancipate, moltissime anche assai note ed importanti, un tempo così attive per la difesa dei diritti femminili? Qualcuno forse ricorda un fatto avvenuto solo pochi mesi fa, nel febbraio scorso. In quei giorni una famosa cantante siriana, Assala Nassry, in occasione della festa di S. Valentino, avrebbe dovuto tenere un concerto nello Yemen. Non lo ha fatto perché è stata minacciata di morte in quanto avrebbe cantato in pubblico. La solita rete terroristica di Osama Bin Laden con un comunicato, puntualmente letto dalla tv satellitare Al Arabya, faceva sapere questo:
Avvertiamo la cantante di non azzardarsi a venire nell’islamico Yemen e, se Iddio non voglia, si presenterà lo stesso, le promettiamo di farle fare la stessa fine della sua maestra Benazir Bhutto.
Il tutto era rafforzato da una sentenza, la cosiddetta fatwa, emessa da un gruppo di Ulema pronunciatosi con queste parole: “Tenere concerti di canto equivale a corruzione e decadenza“.
A me non risulta che qualcuno dalle nostre parti, nelle nostre civilissime ed impegnate democrazie, abbia espresso niente di più che un cenno di dissenso. Tacciono anche quelle signore che un tempo, nella piazza principale nella nostra cittadina di provincia, erano impegnate a manifestare come le cosiddette” donne in nero”.
Così anche non si trova traccia sui giornali italiani della recente, assurda storia di un vignettista olandese, di cui ci riporta l’accaduto solo un giornale d’oltre manica, (il Wall Street Journal del 12 luglio). L’artista è finito in prigione, quasi a scontare una pena preventiva!, per aver disegnato vignette, vignette che avrebbero potuto offendere i musulmani sulla scia di quelle danesi che tanto clamore e tante ire avevano suscitato qualche tempo fa. Ciò accade mentre la satira su Benedetto XVI arriva a punte di rozza ferocia e quella sugli Ebrei viene raccolta esemplarmente in una mostra, organizzata dagli stessi israeliani, nella città di Gerusalemme.