Un brutto clima /2

Al GoreNigel LawsonWilliam Gray

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Lo scorso 12 ottobre, mentre stavo scrivendo sull’argomento, ho appreso dalla lettura di un lancio d’agenzia, che l’ex vice presidente americano Al Gore ha ricevuto assieme all’IPCC (Comitato Intergovernativo per i Mutamenti Climatici dell’ONU) il premio Nobel per la Pace. La motivazione suona così: ”gli sforzi per costruire e diffondere una conoscenza maggiore sui cambiamenti climatici provocati dall’uomo e per porre le basi per le misure necessarie a contrastare tali cambiamenti” hanno convinto la commissione ad assegnare l’ambito riconoscimento ad Al Gore.

Una prima considerazione mi pare che debba essere svolta, in positivo, rilevando che questa assegnazione tiene conto di una rinnovata attenzione ai temi di politica ambientale. Proprio per questo motivo, almeno da parte degli ambientalisti, andrebbe usato un metro rigorosissimo nel considerare e valutare il lavoro di Al Gore e quello dell’IPCC. Non basta certo fare riferimento al film-documentario, prodotto dall’illustre politico, di cui si è molto parlato. Il film-documentario contiene peraltro non poche sviste scientifiche di notevole rilievo.

Non basta nemmeno che qualcuno attribuisca all’IPCC una specie d’infallibilità per il solo fatto che è costituto da ben tremila scienziati di tutti i paesi. Basterebbe leggere la recente intervista di William Gray, un meteorologo di 78 anni, che è stato a lungo docente all’Università del Colorado che è un severo critico delle teorie del “global warming”. Parlando in una recente conferenza all’Università della Carolina del Nord, ad oltre 300 studenti di meteorologia, ha detto esplicitamente che “mi disturba che i miei colleghi scienziati non si pronuncino chiaramente contro teorie che loro sanno essere sbagliate”. Ma ha aggiunto che lui sa bene “che se parlassero finirebbero per non percepire più i fondi per la ricerca”. Concludendo, come è abbastanza comprensibile per un ricercatore della sua età: “a me dei fondi non importa nulla”.

Per una impostazione di maggior rigore scientifico rispetto agli scritti di più ampia diffusione ci sono evidenze lampanti sotto gli occhi di tutti. Per quanto riporto ora mi avvalgo del lavoro Lord Nigel Lawson, autore di buoni contribuiti in materia. Questi, pur non essendo uno scienziato del ramo, è membro della commissione ristretta per gli affari economici della Camera dei Lord. Poco più di un anno fa ha scritto sul settimanale The Spectator (11 marzo 2006) che “gli scenari climatici riflettono semplicemente le ipotesi di fondo dei modelli di studio” e soprattutto che questi “si basano su assunti estremamente congetturali”. Infatti basta riflettere su questa condizione: quasi sempre non si tiene conto che le variazioni della radiazione solare hanno un ruolo chiave in questo genere di fenomeni. Basterebbe pensare e ristudiare qualche esempio storico. All’epoca dell’impero romano il clima era molto più caldo di oggi: lo dimostrerebbe la coltivazione della vite nell’Inghilterra del Nord.

Ritengo che siano da valutare con grande diffidenza molte delle affermazioni dei sempre più diffusi catastrofisti. Come esempio prendendo il dato relativo alla temperatura. La fonte merita certo maggior rispetto in quanto non è la passerella della Conferenza di Roma (operazione di immagine voluta e gestita dal Ministro Alfonso Pecoraro Scanio), ma il Comitato Intergovernativo per i Mutamenti Climatici, appunto quello a cui è stato assegnato il Premio Nobel. L’IPCC ha stimato che, nel XX secolo, c’è stato un aumento medio pari a 0,6° C. Ora attribuire per intero questo valore all’emissione di CO2 appare perlomeno azzardato e per certo è assai poco scientifico. Una cosa sono le azioni umane e loro conseguenze, un’altra i cambiamenti naturali, un’altra ancora la volontà di procedere concordemente in maniera di ridurre tutti i fattori antropici, per quanto razionalmente possibile.

Il tanto decantato e discusso “protocollo di Kyoto”, presentato anche da taluni politici nazionali come il toccasana per il riscaldamento climatico, ha aspetti assolutamente irrealistici. Potrebbe dircelo meglio addirittura il neo premio Nobel Al Gore, che fu vice di Bill Clinton. Proprio all’epoca in cui era il numero due degli Stati Uniti, il Senato americano votò contro la ratifica di questo accordo. Votò contro: si è vero! Ci siamo mai chiesti con quale maggioranza, allora che Bush era all’opposizione. Lo fece all’unanimità: 95 a zero.

Infine aggiungo qualche considerazione di estrema semplicità ed ovvietà. Mi interrogo su come si potrebbe cominciare a fronteggiare nell’immediato le principali conseguenze dei cambiamenti climatici. Al contempo è noto che comunque il fenomeno avrà una notevole isteresi, sempre ammesso che le cause siano certe ed i fattori di controllo intervengano dappertutto con grande sollecitudine (Cindia ed altre economie emergenti comprese). Come prima misura, per prevenire al massimo gli effetti perniciosi dell’innalzamento del livello dei mari, si dovrebbe evitare una follia costante quella che noi ambientalisti della prima ora denunciamo da almeno mezzo secolo: la cementificazione di tutte le fasce costiere.

Quanto ad un altro gravissimo problema planetario, la crescente penuria d’acqua, la prima regola da adottare sarebbe quella di mettere in atto davvero quell’uso razionale delle risorse idriche di cui si sente sempre parlare. Visto che poi nei fatti trova scarsissime applicazioni cito, uno per tutti, l’esempio del faraonico impianto di fertirrigazione costruito con le acque reflue della città di Senigallia. Impianto mai entrato in funzione ed oggi sembra definitivamente abbandonato dal nuovo ente gestore.

Ancora sull’impiego delle “tecnologie a basso tenore di carbonio” ritengo che sia suonata da tempo l’ora di un diffuso utilizzo, mentre andando a cercarle come pratica attuazione restano, a tutt’oggi, confinate in una nicchia. Quindi non c’è la volontà di applicarle.

Questo catastrofismo sul clima ha trovato nelle nostre società un terreno fertile forse a ragione del fatto che molto faticoso raccogliere e diffondere una informazione razionale ed equilibrata su temi che sottendono interessi politici ed economici.

Scrive bene Nigel Lawson che “nelle nostre società dove le religioni tradizionali hanno uno scarso seguito” la gente cerca “una pseudo religione dell’allarmismo ambientalista”. Per di più non è facile accettare che “sulla base della ragione si critichino i suoi dogmi”. Pensate un attimo se è vero! Anche per la nostra esperienza personale sappiamo che molte di queste discussioni e questi confronti avvengono in termini fideistici. Così, con questo modo di procedere, è impossibile definire, nella gestione della società civile, una condotta razionale.

In breve, concludendo, dico che negare o soltanto ridimensionare i mutamenti climatici equivale ad essere blasfemi. Però non mettiamoci a posto la coscienza, con operazioni di maquillage come quando una nota compagnia aerea nazionale escogita la sua trovata “ecologica” per stare sulla cresta dell’onda. Con un sovraprezzo di 20 centesimi per ogni biglietto emesso, destinando i fondi così raccolti al Ministero per l’Ambiente, si vola con la “coscienza ecologica” a posto. Quello stesso Ministero che a Roma, nel settembre scorso, gridava al lupo al lupo, credo con il precipuo intento di catturare il massimo possibile dei consensi.

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