Un brutto clima /1

Su questo argomento, che pur m’interessa molto, non avrei scritto una sola riga se il mio “antico maestro”, naturalista di grosso calibro, non mi avesse obbligato a farlo per la rivista che dirige. Da quanto preparato per il prossimo numero ne traggo una parte che, in parte modificata ed aggiornata, anticipo qui su Popinga. In questa sede, spero a vantaggio anche dei lettori, posso indicare in ipertesto diversi link e quindi le fonti delle principali argomentazioni riportate.

Ciò non toglie che resti forte in me la sensazione che anche queste parole aggiungano confusione a confusione! Credo non ci sia altro da fare: un po’ dappertutto si trovano testi davvero partigiani, spesso enfatici, quasi sempre approssimati e qualche volta, purtroppo, anche davvero faziosi.

Lo spunto iniziale di questo contributo è nato dal fatto che leggo pochi scritti che contrastino una lunga serie di “fesserie”. Le vediamo pubblicate a “go-go” su tutta la stampa. Infatti ogni giorno, da qualsiasi fonte, una massa impressionante di scritti ed altri prodotti della comunicazione si riversa sugli ignari (e spesso anche ignavi) lettori e ascoltatori. Però, come si sa, è meglio stare nel branco e, dal grande settimanale che tira migliaia di copie al piccolo foglio di provincia, la musica sull’argomento è più o meno la stessa.

Comincio citando i fatti accaduti a Roma, nello scorso mese di settembre. Qui, a ragione della notorietà dei personaggi coinvolti, nonché della grandiosità degli eventi, un parata di grande effetto mediatico al palazzo della FAO, abbiamo avuto una consistente ricaduta sui media, per giorni e giorni.

Ecco alcune riflessioni prendendo lo spunto dalla cronaca di qualche vicenda.

Siamo stati volutamente esclusi dalla conferenza nazionale sui cambiamenti climatici”. Così ha dichiarato il professor Franco Prodi, direttore del Dipartimento dell’Isac-Cnr di Bologna ed ha aggiunto, sottolineando che erano quasi duemila gli invitati, che: “non posso credere che sia stata una svista”. Sempre il professor Prodi (che è anche fratello del Presidente del Consiglio) ha dichiarato: “Non ci sono elementi per dire che l’Italia è un caso a se nel riscaldamento globale. Le variazioni di temperatura, in base alle serie storiche rilevate in 50 stazioni meteo in Italia in due secoli, non fanno pensare a cambiamenti climatici profondi e drastici: Le precipitazioni sono diminuite di pochi punti percentuali, del 4%”. E come se non bastasse, in palese polemica con il Ministro per l’Ambiente, Alfonso Pecoraro Scanio, ha aggiunto: “sono in linea con il Rapporto dell’Ipcc” specificando che “comunque non sto a minimizzare, un grado per secolo non è poco”. Però, quanto alle affermazioni del Ministro, che ha indicato l’aumento con un valore di 4° C in Italia rispetto al resto del mondo, il professor Prodi si è espresso lapidariamente: “è assurdo”!
Non aggiungo commenti: mi sembra abbastanza chiaro.

Il ministro per la ricerca scientifica Fabio Mussi ha incautamente affermato che il dissenso veniva da “un pugno di scienziati”. Si da invece il caso che la totalità dei cattedratici di climatologia, cioè i “professori ordinari del settore scientifico disciplinare FIS/06”, abbiano disconosciuto “qualunque valore di scientificità” alla conferenza. Per di più hanno sottolineato che loro non sono “negazionisti”, ma che la discussione si deve “spostare sulla realtà scientifica per sapere se i cambiamenti climatici sono causati o meno dall’azione dell’uomo”.

L’impressione di chi scrive, come già ebbe a sostenere il professor Francesco Corbetta nel redazionale di Natura & Montagna, n° 1 del 2007 alle pagine 4-5, è che l’effetto antropico sul clima globale sia indiscusso: purtroppo però le drammatizzazioni, per non dire di frequente anche gravi e palesi imprecisioni, sono spesso predominati. Oltre tutto, a mio avviso, andrebbe sempre specificato che non si è ancora in grado di valutare certi effetti con sufficiente precisione. Tanto meno correlarli con univocità alle cause. Mai e poi mai si dovrebbero proporre quelle correlazioni che invece, con estrema facilità, sono propalate anche da divulgatori e giornalisti.
Ad esempio abbiamo letto nelle cronache della recente frana in Val Fiscalina, nelle Dolomiti; con estrema disinvoltura si è proposta come possibile, anzi da taluni è stata data per sicura, la connessione dell’evento con il riscaldamento del pianeta. In questo caso siamo a livello di crassa ignoranza (o peggio ancora di assoluta spregiudicatezza!?) perché non occorre aver sudato sui testi di geologia per conoscere l’origine e dinamica dei meravigliosi paesaggi dolomitici.

Vorrei affrontare qualcuna delle considerazione maturate dalla Conferenza sul Clima di Roma. Prima di tutto, sapendo quanto sia importante valutare le priorità, segnalo una semplice, ma essenziale osservazione. Anche questa viene dal professor Franco Prodi ed è tratta da una intervista radiofonica. Qui si puntualizza nel merito il problema ed è lui ad individuare, con concretezza, nella scelta della raccolta differenziata e nel riciclo dei materiali il punto pratico, di buon governo e di assoluta priorità. Infatti l’aumento della anidride carbonica nell’atmosfera dipende soprattutto “dall’utilizzo dei combustibili fossili”.

Sono andato a curiosare fuori casa, in Europa. Per l’esattezza in Inghilterra dove di Tony Blair, poco prima di lasciare la carica, ha prodotto un rapporto sull’argomento, commissionato a Sir Nicholas Stern. Lo stesso primo ministro non ha esitato a definirlo come “il documento più importante realizzato in materia”. Infatti chi ha avuto l’occasione di leggerlo e studiarlo, lo ha considerato una “summa” sulla questione. Però quando uno scienziato come Richard Lindzen, ordinario di meteorologia presso il Massachusetts Institute of Technology, lo ha avuto sotto mano non ha esitato a scrivere una vera stroncatura, apparsa qui in Italia in un “focus” in materia pubblicato dal prestigioso Istituto Bruno Leoni. Quindi ora abbiamo a portata di mano una plausibile dimostrazione di come “il rapporto Stern sia costellato di fondamentali errori concettuali”. Lindzen lo ha fatto con facilità in quanto Stern è caduto in abbagli grossolani, scrivendo ad esempio “che l’innalzamento delle temperature globali recentemente registrato non ha precedenti negli ultimi anni di storia”. Ora sappiamo benissimo che i dati certi a disposizione sono solo quelli degli ultimi cinquant’anni, mentre sui secoli passati quanto si può ricostruire non ha “alcuna certezza”. Ignorare ad esempio che nel Medioevo l’Europa fosse decisamente più calda di oggi o che nel XVII° secolo ci sia stata una “piccola era glaciale” durante la quale “le acque del Tamigi rimanevano gelate per mesi di fila” vuol dire, come poi ha fatto lo stesso Stern, ammettere che “quando il governo britannico gli aveva affidato lo studio lui aveva una vaga idea di cosa fosse l’effetto serra”.

Quando non si riconosce un dato accertato in sede scientifica, come quello relativo addirittura all’ampliamento della calotta glaciale in Groenlandia, si resta interdetti. Il notevole incremento della popolazione degli orsi polari che la popolano, quadruplicata in mezzo secolo, offre il destro ai critici più feroci per contestare anche l’impianto generale di molte pubblicazioni. (… continua)

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