Dalla parte di chi abolirà le province /2

Esistono partiti, o meglio deputati che hanno dato prova, anche nel corso dell’ultima legislatura, di fare sul serio? Sono stati promotori di credibili iniziative e/o hanno depositato proposte di legge chiare il tal senso? Lo hanno fatto soltanto i deputati socialisti (Rosa nel Pugno) Buemi e Villetti, con una eccellente proposta di legge costituzionale, la 2818 del 21 giugno 2007. Questa, di fatto solo assegnata alla competente commissione e per la quale non è mai stata iniziata la discussione, propone esplicitamente, modificando la Costituzione, una effettiva semplificazione del governo locale, attraverso l’abolizione delle province.

In parte anche i radicali della Rosa nel Pugno con la PdL n 2250, che propone “Norme per il contenimento dei costi della politica, delle istituzioni e delle pubbliche amministrazioni”, hanno chiesto l’abolizione dei consigli circoscrizionali e precise, concrete misure per una effettiva riduzione della spesa.

Tra le numerose anomalie del quadro logico dell’istituto provinciale è opportuno sottolineare le analogie formali della struttura logistica con il modello parlamentare, come se anche quella fosse una assemblea legislativa. Il fatto è accettabile, seppur in scala ridotta, per la struttura regionale, ma l’esatta replica dell’organizzazione, dagli uscieri ai commessi, dalle tanto discusse auto blu ai gruppi consiliari, dalle procedure per le interpellanze e per le interrogazioni alle cosiddette modalità ispettive dimostra, a mio avviso, che in pratica viene esattamente duplicato il modello complesso (perché necessariamente garantista) di una vera assemblea legislativa.

Non secondaria mi sembrerebbe anche questa osservazione che si estende per l’arco di quasi quarant’anni dal 1970, data della nascita delle Regioni. Si è verificato un progressivo, continuo, e per alcuni aspetti addirittura travolgente, trasferimento (o delega) delle funzioni e delle attribuzioni agli enti di livello subordinato, quindi alle Province ed ai Comuni. Questo comportamento poteva certo avere una logica all’epoca, negli anni ’70, quando si rivendicava dalla “periferia” verso il “centro” una più diretta ed agevole partecipazione ai momenti amministrativi e di governo del territorio. Oggi, nel terzo millennio, e soprattutto con l’esplosione, oltre ogni possibile scenario immaginabile all’epoca, delle molteplici opportunità dell’informatica, pone già e fra breve lo sarà compiutamente, qualsiasi cittadino in grado d’essere presente, di partecipare, di vedere, d’interagire. Tutto ciò pur rimanendo fisicamente a casa e restando nel suo territorio.

Faccio un solo esempio per tutti e lo prendo dalla mia regione, le Marche. Che senso ha avuto ed a quali risultati ha portato il trasferimento delle competenze urbanistiche alle province? Al tempo quattro, ora addirittura cinque! Si pensi che la popolazione dell’intera regione non oltrepassa il milione e mezzo di abitanti (1.542.106 ) con un territorio pari a 9694 kmq. Ebbene cosa dovrebbero fare Milano o Roma con oltre 2.700.000 abitanti l’una e 3.900.000 l’altra. Cosa fare solo per gestire la pianificazione urbanistica o la rete dei trasporti?

Chi può dimostrare che il decentramento equivalga sempre ad una maggior partecipazione? Non magari il contrario, com’è tangibile nell’esperienza quotidiana, quando perfino le sedute del Consiglio Comunale vedono un vuoto assoluto di pubblico! Per di più il mito indiscusso del decentramento espone ad un rischio concreto (tratto dall’esperienza quotidiana in periferia) che annovera una vasta casistica di meccanismi perversi di nepotismo e di corruzione. Infatti il livello di operatività del “controllore” s’interseca, e si confonde paurosamente, con quello del “controllato”.

Infine mi sembra opportuno sottolineare anche il rischio di “battaglie di bandiera” condotte appunto con passi ed iniziative formali si (ad esempio le proposte di legge), ma che poi non trovano nessuna convinta azione di supporto da parte dei partiti. Questa situazione mostra ancor di più una curiosa dicotomia, proprio nell’ambito del mondo radicale. Ciò trova da un verso giustificazione nella numerosa messe di iniziative che vengono attivate dai parlamentari radicali; però dall’altro denota una netta cesura, con il famoso “metodo pannelliano”. Metodo ben noto, almeno un tempo, per la scelta di affrontare una battaglia alla volta con tutte le forze e le risorse possibili e immaginabili, metaforicamente “usque ad sanguinem“. Chi non ricorda gli anni della battaglia per la lotta contro la fame nel mondo, oppure è sotto gli occhi di tutti oggi quella “per il rispetto della parola data”.

2 pensieri riguardo “Dalla parte di chi abolirà le province /2”

  1. Aboliamo le province! Sono arrivati i moduli per la raccolta delle firme per la presentazione della legge di iniziativa popolare.
    In attesa di organizzarci tra noi, almeno con quelli che se la sentono, vorrei che il dibattito ripreso qui su Popinga, possa crescere ed articolarsi ancor meglio. Per questo credo che la lettura del rapporto EURISPES, linkato sul precedente post, possa aiutare. E’ un lavoro ben documentato, redatto da chi non può certo essere accusato di faziosità o di superficialità. Le possibili critiche quindi si faranno su fatti e dati concreti, non su ciance e generiche impressioni.

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