Scontri di civiltà : Iran vs USA

Sfogliando l’ultimo numero della rivista Newsweek mi sono imbattuto in un articolo firmato da tale Amir Taheri dal titolo: A Clash of Civilisations.

Il titolo mi ha subito incuriosito e leggendo l’articolo ho notato che Taheri ha menzionato proprio il libro di Samuel Huntington, “The Clash of Civilisations and the Remaking of a New World Order” che io avevo a mia volta citato nella discussione con ellie

La tesi principale dell’opera di Huntington è che, dopo la caduta del comunismo, i principali motivi dei conflitti nel mondo non saranno più ideologici o economici, ma, in presenza di profonde divisioni dell’umanità, di “natura culturale”, tra appartenenti a diverse civiltà. Secondo il politologo, il prossimo grande conflitto sarà quello tra le civiltà cristiana e islamica.

Huntington divide infatti il mondo odierno in otto grandi civiltà differenti: occidentale, ortodossa, islamica, africana, cinese, indù, giapponese e latino-americana. Queste civiltà sono in competizione tra loro anche se alcune riescono ad integrarsi maggiormente, mentre altre sono inconciliabilmente divise.

Il testo è stato pubblicato nel gennaio del 1998, quindi ben prima dell’undici settembre 2001 e, seppur criticato da molti, risulta essere abbastanza profetico riguardo alla realtà odierna.

Taheri, analizzando i dati di vendita dell’opera, ha notato che essa ha avuto molto successo proprio in Iran dove ben 1000 copie sono state acquistate e ritirate da un camion dell’esercito appartenente allo “Islamic Revolutionary Guard Corps”, gruppo di cui fa parte anche il neo-eletto presidente Ahmadinejad.

Da queste premesse, l’articolista trae le conclusione che nel futuro sarà inevitabile uno sconto tra Iran e Stati Uniti per le seguenti ragioni:

1) L’Iran è determinato a rimodellare il medio-oriente a sua immagine in uno scontro deliberato con l’immagine americana. Il potere reale in Iran è infatti nelle mani delle “Guardie della Rivoluzione”, che, mentre noi occidentali ammiravamo la “moderazione” dell’ex presidente Kathami, erano già all’opera da tempo per ramificare la loro rete politico-affaristico-militare. In Iran non c’è stata dunque una vera lotta tra moderati e integralisti, ma nelle ultime elezioni è solamente venuto alla ribalta il vero potere con il volto di Ahmadinejad, già sindaco di Teheran.

2) L’Iran ha l’obiettivo di creare un mondo multipolare in cui esso detenga la leadership del mondo islamico.

3) La guerra di George Bush al terrorismo islamico non ha fatto altro che avvantaggiare i mullah, perchè ha di fatto messo fuori gioco tutti i loro peggiori avversari: i Talebani afghani e Saddam Hussein. Inoltre la politica statunitense ha minato la fedeltà dei suoi storici alleti nel mondo islamico, l’Arabia Saudita e l’Egitto.

4) L’Iran può fare la voce grossa perchè le difficoltà incontrate dagli americani in Iraq e Afghanistan fanno ritenere che questi dovranno presto abbandonare la regione.

5) La crescita enorme del prezzo del petrolio ha garantito al nuovo governo iraniano la possibilità di finanziare sia le ricerche belliche, in particolare nel campo del nucleare, sia importanti riforme economoche e sociali.

Questo articolo rappresenta, a mio modesto parere, un classico del giornalismo partigiano. Non conosco la biografia di Amid Taheri, ma dal nome si potrebbe ritenere di origine iraniana. Potrebbe dunque essere uno dei tanti rifugiati politici che lavorano in America per rovesciare i governi dei loro paesi. In particolare le sue tesi non mi convincono per i seguenti motivi:

1) Demonizzare l’avversario sembra strumentale alle proprie esigenze: gli americani, e tutti gli europei, hanno fatto apertamente il tifo per il moderato Kathani prima delle scorse elezioni e ora si vuole insinuare che anch’egli sia intimamente legato con l’integralismo? Un pò di coerenza non farebbe male in certi casi.

2) L’Iran, dal mio punto di vista, non ha alcuna possibilità di divenire la guida del mondo islamico perchè rappresenta solamente gli Sciiti che sono una fetta largamente minoritaria dei musulmani (circa il 10% del totale). Inoltre i rapporti tra Sciiti e Sunniti sono tutt’altro che idilliaci come dimostrato ampiamente dalla situazione irachena.

3) La guerra di Bush in Iraq ed in Afghanistan ha certamente indebolito i rivali storici dei Mullah iraniani, ma ha, allo stesso tempo, mostrato che gli Stati Uniti non stanno certo con le mani in mano e sono pronti ad intervenire dovunque vengano minacciati i loro interessi e la loro sicurezza.

4) Le difficoltà incontrate dagli americani soprattutto in Iraq, sono state superate in maniera soddisfacente e, se veramente si dovesse avviare il processo democratico, si dovrebbe parlare solamente di una loro grande vittoria.

5) Certamente l’Iran vive una fase di grande progresso economico, ma, in caso di conflitto con l’Occidente, l’economia avrebbe molto più da perdere che non da guadagnare.

In definitiva questo articolo mi sembra molto propagandistico e con la volontà di creare un nuovo mostro da combattere. Chissà che l’amministrazione americana non voglia ancora ripetere l’eperienza fatta con l’Iraq quando, per alimentare la fobia del “mostro”, ci rifilò le più grosse panzane, tra cui quella delle armi di distruzione di massa, facendole passare a ripetizione sui mass-media per ottenere il consenso popolare?

Vedremo.

Il vescovo e la minigonna

Vi ricordate quell’insegnante di religione di Fano, Caterina Bonci, che qualche giorno fa il vescovo ha allontanato dall’insegnamento?
Non adatta all’insegnamento in quanto divorziata, sostiene il vescovo; discriminata per la propria avvenenza e per la minigonna, ribatte la diretta interessata.

Sulla vicenda, qualche osservazione intelligente e non convenzionale troviamo sul blog dell’ottimo Antonio Tombolini. Dell’articolo di Antonio due cose voglio riportare. Già conoscevo la prima, mi è nuova la seconda.

      • L’insegnamento della religione cattolica è pagato dallo Stato italiano coi soldi dei contribuenti, ma il Concordato prevede che assunzioni e licenziamenti siano decisi dai vescovi.
      • Una legge d’un paio d’anni fa permette agli insegnanti di religione di partecipare ai concorsi pubblici per la cattedra di ruolo. Per farlo, però, devono essere muniti di un certificato d’idoneità rilasciato discrezionalmente dal vescovo. Una volta assunti (a tempo indeterminato, s’intende), in caso di esuberi o di revoca dell’idoneità, possono passare a insegnare anche altre materie.

A parte il divorzio, la minigonna e le scollature, il succo è questo: lo Stato italiano paga gli insegnanti di religione come suoi dipendenti pubblici e poi consente che questi sottostiano alle regole di un potere altro, cioè l’autorità ecclesiastica.
Stando così le cose, ci piaccia o no, il vescovo ha ragione da vendere: lui ha semplicemente seguito la legge. Quelli che si stracciano le vesti per la poveretta ora disoccupata dovrebbero prima informarsi.

A margine, mi piacerebbe sapere – così, per curiosità – quale sia stato il comportamento della Bonci agli scorsi referendum.
Non voglio fare dietrologia di bassa lega e so bene che questo non sposta d’un millimetro i termini della questione. Dico solo che una delle conseguenze di simili leggi, in determinate situazioni, è annullare la segretezza del voto quando non addirittura limitarne la libertà.
I cattolici sanno ragionare con la propria testa, direte voi. Avete ragione, ma vi faccio una domanda: quale sarà stata, a giugno, la libertà di voto degli insegnanti di religione, ben consci di poter pagare col posto di lavoro la loro “disobbedienza” alla linea astensionista della CEI?

Online la presentazione di Luisa

È da oggi disponibile interamente la registrazione audio della presentazione che Luisa Gasbarri ha fatto del suo romanzo “L’istinto innaturale“, venerdi 26 agosto. L’evento, organizzato dal Club Popinga, ha avuto un ottimo riscontro del pubblico.

Qui di seguito trovate i 17 brani, in formato mp3, ciascuno contenente una domanda e la relativa risposta dell’autrice. Inoltre Luca ha scritto un articolo sull’incontro, pubblicato oggi su Vivere Senigallia.

Link diretti ai brani: 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17

Quelle dighe non dovevano crollare

Qualche giorno fa mi sono imbattuto in un programma della BBC che parlava di uno storm surge (stesso fenomeno verificatosi a New Orleans) capitato nel 1953 nel Mare del Nord.

Uno storm surge è un innalzamento del livello marino provocato dall’azione del vento sulla superficie marina in concomitanza con una bassa pressione atmosferica. Quello storm surge di circa 3 metri di altezza (senza contare il normale effetto di marea) provocò 307 morti sulla costa orientale dell’Inghilterra e circa 1800 in Olanda. Per non parlare dei danni alle abitazioni e all’agricoltura. Lo storm surge risalì persino il corso del Tamigi e alcuni quartieri di Londra furono inondati.
A seguito di quella catastrofe, favorita da inadeguate strutture a protezione di aree situate sotto il livello del mare,  grandi opere di difesa furono costruite sia in Olanda (l’imponente piano Delta, un vero e proprio gioiello di ingegneria idraulica) che in Inghilterra (paratoie mobili alla foce del Tamigi, innalzamento e consolidamento delle difese costiere nelle aree depresse del Norfolk, sistemi di previsione e monitoraggio del fenomeno).

Rimango pertanto stupito nel leggere che a difesa di una città come New Orleans, situata sotto il livello del mare e circondata su tutti i lati dall’acqua, fossero previsti solo dei semplici argini, di cui alcuni in terra.

Differentemente da quanto pensato da molti, non sempre è pratica ingegneristica costruire opere che non collassino mai. Infatti non sempre è possibile o economicamente fattibile evitare una qualche forma di rottura o collasso. Perciò il progettista cerca di condurre il collasso laddove questo crei meno danno.
Tanto per fare un esempio: le case di civile abitazione in cui noi tutti viviamo vengono progettate per non subire danni in caso di terremoti “normali”, subire danni lievi in caso di terremoti “forti” e subire danni pesanti ma non tali da provocare il collasso della struttura in caso di terremoti “catastrofici”.

È però vero che per strutture considerate di importanza strategica un tale approccio non è accettabile. È richiesto qualcosa di più, in quanto tali opere devono garantire la perfetta agibilità anche in condizione di catastrofe. Tra queste, tanto per citarne alcune: ospedali, caserme, ponti, dighe, centrali atomiche e via dicendo.

In altre parole una diga, soprattutto una diga eretta a protezione di una città come New Orleans, non doveva collassare. E parliamo di un uragano forza 3, quindi non la massima.
Non tutti sanno che la tristemente famosa diga del Vajont non è collassata, pur essendo stata  sottoposta a carichi eccezionali. Lì purtroppo l’errore, altrettanto grave, fu quello di costruire un bacino in corrispondenza di versanti instabili.

Chiudo con due citazioni di due miei professori dell’università:

  1. L’ingegnere impara dagli errori degli ingegneri che l’hanno preceduto
  2. L’ingegnere non deve inventare, deve copiare (quel che di buono han fatto altri)

Sembra che negli USA qualcuno (gli ingegneri o i governanti?) si sia dimenticato di questi semplici principi.